Sara De Bellis

Anno: 2019

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Partono oggi gli eventi della #RomaWineWeeks del Gambero Rosso. Dal 14 al 28 ottobre un denso programma per rendere merito alle eccellenze vitinivinicole in primis, ma anche ai Top Italian Restaurant e agli Oli di qualità; e poi ancora focus sul Vino, sostenibilità ed Export, perché all’estero, si sa, siamo sempre più forti. 


Gambero Rosso
 presenta le Roma Wine Weeks, un nuovo format per dare ulteriore risalto all’eccellenza vitivinicola made in Italy nella città eterna. Degustazioni, convegni e approfondimenti: le numerose e qualificate iniziative si terranno in concomitanza con La Vendemmia di Roma 2019, giunta alla sua terza edizione.

Si parte oggi 15 ottobre (17-19) all’IQOS Embassy di via Margutta con The Best Evo, l’evento dedicato all’extravergine di oliva. 
Si prosegue domani 16 ottobre con The Best Wines a Palazzo Fiano di piazza San Lorenzo in Lucina (ore 19-22, fino a esaurimento posti).  
Il 22 ottobre, protagonisti saranno The Best sparkling Wines. 
La Città del gusto ospiterà, il 25 ottobre (ore 11-13, solo su invito) la tavola rotonda Vino, sostenibilità, internazionalizzazione a cura di Equalitas (di cui il Gambero Rosso è partner). 
Un’occasione per fare il punto con il vicepresidente di Federdoc Francesco Liantonio e il direttore di Equalitas Stefano Stefanucci sull’attenzione alla sostenibilità – sociale, ambientale ed economica – sempre più richiesta soprattutto sui mercati internazionali”.

Una serie di appuntamenti che coinvolgono le vie del Tridente romano, cuore pulsante della città, ma non solo e in cui boutique e insegne del lusso e della buona tavola, del fashion e dell’arte si gemellano a importanti cantine presentando in degustazioni i migliori vini d’Italia.

Ed è proprio in questa occasione che verrà presentata la prima edizione del numero speciale “Gentleman e Gambero Rosso” dedicato alla “Vendemmia” di Roma, con testi anche in inglese e cinese e con consigli, approfondimenti e segnalazioni. Lo speciale ha visto coinvolti 285 esercizi della ristorazione romana di eccellenza tra cui più di 40 delle migliori enoteche capitoline. Questo speciale romano è stato redatto in analogia con quello pubblicato a Milano per la omonima vendemmia.

Le Gambero Rosso Roma Wine Weeks si concluderanno con i tre prestigiosi appuntamenti annuali: la presentazione della Guida Top Italian Restaurants sabato 26 ottobre, la Presentazione e Grande degustazione della Guida Vini d’Italia domenica 27 ottobre e la Presentazione della Guida Ristoranti d’Italia lunedì 29 ottobre.  

Gambero Rosso si conferma in prima linea per la promozione e il supporto alle eccellenze vitivinicole del nostro Paese ed anche molto attento alla città di Roma che rappresenta il più importante mercato domestico nazionale”  dichiara Paolo Cuccia, Presidente di Gambero Rosso “Grazie anche al numero speciale realizzato tra la collaborazione di Gentleman e Gambero Rosso, Roma sarà alla ribalta del mondo vitivinicolo italiano e della ristorazione  di qualità  con il 30esimo compleanno della Guida Ristoranti d’Italia 2020.

TIR, Tre Bicchieri e Tre Forchette.

Le guide del Gambero Rosso
A chiudere la prima edizione delle Roma Wine Weeks saranno i tre attesi appuntamenti annuali firmati Gambero Rosso: la presentazione della Guida Top Italian Restaurants sabato 26 ottobre (la guida digitale recensisce i migliori ristorante italiani all’estero; nel corso dell’evento, solo su invito, al Chorus Cafè, saranno consegnati gli Special Awards 2020), la presentazione e grande degustazione Tre Bicchieri della Guida Vini d’Italia domenica 27 ottobre (dalle 15 in poi, presso lo Sheraton Rome Hotel and Conference di via del Pattinaggio), e la presentazione della Guida Ristoranti d’Italia lunedì 28 ottobre (sempre allo Sheraton, per scoprire i protagonisti della 30esima edizione della guida, seguita dalla cena In punte di Tre Forchette).

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Considerazioni sostenibili tra Cucina e Futuro, Comunicazione, Ristorazione, Editoria, Giornalismo e Tempi Umani tratte da LSDM 2019 (Congresso Internazionale di Cucina / 1-2 ottobre, Paestum) perchè “Il tempo della cucina non c’entra nulla con il tempo della comunicazione. Bilanciare questi due aspetti è fondamentale per uno chef.

Tutte le strade portano a Roma” recita un vecchio detto popolare, ma se sulle strade vedete mozzarelle probabilmente vi avranno portato a Paestum, nel cuore della Piana del Sele e del golfo di Salerno, 97km a sud di Napoli, nel Parco nazionale del Cilento, Patrimonio dell’Umanità, nonché Riserva della Biosfera.

Paestum. Conosco questo luogo fin da piccola, dal tempo in cui mi ci portò mio padre. Oltre la bellezza degli scavi e l’unicità dei templi, ricordo con chiarezza lo stato di affascinata contemplazione di fronte all’affresco della “tomba del tuffatore” il quale, gettandosi oltre le colonne d’Ercole – simbolo del confine del mondo noto – si tuffava, senza timore, verso l’ignoto.

Ogni viaggio, ogni scelta, ogni bivio, con le sue incognite e le sue continue scoperte, da un certo punto di vista potrebbe essere ben rappresentato da questa immagine.

Così, con le mie piccole, e poche, consapevolezze in tasca, sono approdata a LSDM* 2019 (acronimo evolutivo e definitivo de *Le Strade Della Mozzarella) sulla strada della curiosità. Si perché questo Congresso Internazionale di Cucina -andato in scena gli scorsi martedì 1 e mercoledì 2 ottobre negli spazi del Savoy Beach Hotel di Paestum- per la sua dodicesima edizione ha deciso di cambiare anima e si è presentato al suo pubblico in una veste completamente nuova.

Sin dagli inizi di LSDM – dichiarano Barbara Guerra e Albert Sapere, ideatori e curatori della manifestazione – abbiamo cercato di uscire dai confini, seppur nobili, della cucina pura e semplice. Giunti alla 12esima edizione abbiamo deciso di imprimere un’ulteriore svolta, offrendo uno spazio importante a personaggi e temi che, pur apparendo in qualche modo solo collaterali al tema centrale, rivestono invece un ruolo assolutamente centrale nell’alta ristorazione del ventunesimo secolo”.

Una veste, dicevo, in cui i banchi d’assaggio sono stati sostituiti dai banchi di scuola; chef e pizzaioli sono saliti in cattedra senza cucinare portando ciascuno la propria visione orientata al futuro di cucina italiana, prodotto ed esperienza sostenibile; gli argomenti sollevati hanno rimbalzato dalla ristorazione alla sala passando per la pizzeria fino agli sguardi sulla ristorazione stellata all’estero, e poi tecnologia, Istituzione, Antropologia dell’alimentazione e food marketing fino agli effetti del troppo lavoro.

Le pause tra una lezione e l’altra sono state scandite da acqua, caffè, sigarette (poche) e tante considerazioni a caldo, perché il tema di questa edizione, volutamente accademica, è stato “Etica, Estetica e Sostenibilità”; argomenti quotidiani quanto ampi e controversi che toccano da vicino i ramificati aspetti della ristorazione, sempre contesa tra gusto, soddisfazione del cliente e reperimento delle materie prime, delle scelte etiche a tavola, delle stagioni, dei prodotti e dei produttori, e più in generale della natura e dei sistemi di coltivazione, ovvero delle scelte che riguardano tutti noi e il mondo in cui siamo immersi, più o meno come baccalà in oliocottura.

Molteplici le visioni, le diverse sensibilità. Ma alla fine riteniamo che davvero LSDM 2019 abbia offerto un’immagine forte della cucina, intesa anche come atto politico, per una volta nel senso più nobile del termine”, queste le parole conclusive di Albert Sapere e Barbara Guerra per LSDM 2019.

Estero, futuro, comunicazione, editoria, stress in ambito lavorativo, corretta alimentazione, farine naturali, carne si carne no, cucina circolare e dichiarata sensibilità, diffusa e vissuta a più livelli, nei confronti dei problemi etici e ambientali;

dal groviglio di opinioni, riflessioni ed angolazioni di pensiero si evince che “Sostenibilità e Stagionalità” non sono soltanto due parole buone e giuste, ma anche un trend sempre più apprezzato da un pubblico nuovo alla ricerca di esperienze autentiche, naturali ed immersive.

Sul tema Comunicazione un interessante focus su cui riflettere a lungo è stato fornito dall’incontro/confronto tra Guide e Editoria Enogastronomica con Giuseppe Cerasa, Luigi Cremona, Federico De Cesare Viola, Antonella De Santis, Paolo Marchi e Carlo Ottaviano, moderati da Guido Barendson.

Al centro del dibattito il ruolo e, soprattutto i doveri, del giornalista del XXI secolo. Per converso o assonanza di pensieri nuovamente affiora tanta (troppa?) mancanza e relativo bisogno di parlare di informazione più che di comunicazione, la necessità di assumersi la responsabilità del proprio giudizio critico, di intercettare traiettorie e tematiche vincendo conformismo e pigrizia.

Ritrovare avere il coraggio di rischiare, di uscire della comfortzone pubblicando ciò che è importante, ciò che può essere utile, non solo ciò che è d’impatto al momento ma ciò dovrebbe essere formativo a lungo rilascio, uscendo dalla logica dell’immediatezza e del comunicato stampa a tutti i costi, lontani dal giornalismo da scrivania, dai favoritismi, dal buonismo dilagante, preservando il più possibile la propria autonomia di critica e pensiero. E ancora la sostenibilità economica dell’editoria, le guide che vincono, quelle che restano, la formazione all’interno del settore, l’etica dei compensi, e più in profondità, quella lontana prospettiva di un contratto/miraggio che possa orientare scelte e vita in una società liquida.

Sulla scia spiccano le parole dense e dirette di Antonia Klugmann (L’Argine a Vencò) che, a mio avviso, ha accarezzato con grazia una tematica scottante, anch’essa preoccupante, nonché in esatta opposizione alla sostenibilità umana prima di essere ambientale. Una tematica che getta luce sull’insostenibile invisibile gabbia costruita attorno alla ristorazione che non lascia più il tempo di apprendere, consolidare la propria filosofia gastronomica, e non lascia soprattutto il tempo di sbagliare: “il tempo della cucina non c’entra nulla con il tempo della comunicazione. Bilanciare questi due aspetti è fondamentale per uno chef. Io ho cominciato in tempi diversi, ho potuto elaborare autonomamente la mia visione di cucina senza l’angoscia di dover dimostrare. Quei sei anni passati da sola con uno stagista ed un lavapiatti sono stati fondamentali. Questo correre così veloce non ci appartiene”.

Il rischio infatti è dietro l’angolo ed è rappresentato dal fatto che in questa corsa senza traguardo fisso sempre più cucine siano copie di copie altro aspetto sottolineato da Salvatore Tassa (Le Colline Ciociare) che si è schierato contro le distribuzioni di prodotti che creano omologazione e che, lontani da territorio e sostenibilità, sempre più menu vengano fatti sui cataloghi in netta opposizione alla viva necessità e rinnovata consapevolezza di una figura del cuoco che sappia interpretare e dare sapore ai cambiamenti che investono l’ambiente e la società.

Consapevolezza ambientale che va farcita di creatività secondo Alain Passard (L’Arpège) al quale è stato affidato la chiusura del Congresso e che ha regalato un momento poetico e carico di prospettive. Lui, pioniere in tempi non sospetti di un movimento attento alle problematiche dell’ambiente, che ha operato scelte drastiche e che, una volta conosciuta e studiata bene la materia prima, getta luce su quanto sia importante, fondamentale, essere creativi ai fornelli: “Il più bel libro di cucina è stato scritto dalla natura, dobbiamo ritrovare quello che ha scritto con le sue stagioni. Un pomodoro impiega 5 mesi per crescere naturalmente e, arrivata la sua stagione, dovremmo ritrovare il gusto di mangiare quel pomodoro. Ho tolto quasi totalmente la carne dal mio menu. Abbiamo perso molti clienti, ma non sono tornato indietro. In questo genere d’avventure bisogna sempre guardare avanti”.

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Dal 20 al 22 settembre la città ospita la quarta edizione dell’appuntamento enogastronomico dedicato alle eccellenze dei Castelli Romani

Per gli italiani il cibo non è solo fonte di nutrimento, è molto di più. Racchiude una vera e propria esperienza condivisa e personale, rituale e familiare, concreta e sensoriale. I Castelli Romani, che nell’immaginario collettivo capitolino hanno sempre rappresentato una meta di gusto e spensieratezza, stanno attualizzando la proposta tradizionale per rilanciare e valorizzare un territorio che poeti, letterati e pittori hanno contribuito a far grande con il Grand Tour. E lo stanno facendo con mezzi e idee innovative, per portare i Castelli Romani nel XXI secolo anche attraverso un nuovo concetto di accoglienza e promozione turistica. Sarà quindi Frascati, Regina dell’enogastronomia d’Autunno a trasformarsi per tre giorni in un salone del gusto a cielo aperto dove le eccellenze enogastronomiche del territorio saranno protagoniste così come le proposte dei ristoratori locali che in occasione della bella manifestazione presenteranno piatti che raccontano l’evoluzione di questa bella porzione di mondo.

Oltre l’Area Degustazioni e il Mercato della Terra (come raccontato qui) , sarà allestita un’area Esperienze Winelounge a cura di ONAV – Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino e AIS – Associazione Italiana Sommelier, dove si terranno degustazioni e mini corsi di avvicinamento al vino.

Sono inoltre previsti anche cookingshow e laboratori di cucina, a cura dell’Associazione Castelli Romani Food & Wine, che riunisce ristoratori, aziende gastronomiche, agroalimentari, vinicole dei Castelli, con la partecipazione di chef importanti e ristoratori. Saranno, poi, organizzate visite guidate nel centro storico della città, tra piazze, borghi e monumenti, accompagnati dalle guide Iperico e GAL – Latium Vetus. Verranno inoltre organizzati dei laboratori di dedicati alla tematica del cibo e del vino: cultura e risorsa di un intero territorio, per ascoltare le storie e degustare i prodotti della tradizione enogastronomica dei Castelli Romani e dei Monti Prenestini, a cura della Condotta di Slow Food Frascati e Terre Tuscolane e della Rete di impresa di Terra Ospitali.

La manifestazione ospiterà, inoltre, la lezione del celebre chef Fabio Campoli, che da oltre trent’anni reinventa l’approccio a una cucina “semplicemente differente” (domenica 22 settembre, ore 19), e i laboratori scientifici per bambini organizzati da Frascati ScienzaLa fisica del freddo e l’applicazione del …. Gelato” e “Animali Golosi”.

Anche quest’anno sarà un grande piacere prender parte a questa nuova edizione, dal momento che considero la Fiera dei Sapori un momento molto importante per ricordare a tutti che, mentre la grande metropoli cambia costantemente volto nel tempo, i Castelli Romani si dimostrano sempre più ancorati alle proprie radici, dando vita tutt’oggi ad un micro-mondo dove il folklore, l’allegria e la tradizione dell’accoglienza fanno parte del DNA di chi vi abita. – ha commentato con entusiasmo lo chef Fabio CampoliÈ proprio per questo sentimento di “ritorno alle origini” che anche il mio cooking show quest’anno verterà sull’approfondimento di un ingrediente di base, ovvero le patate, che rappresentano anche il tema del primo corso di Club Academy (www.clubacademy.it), tra i miei nuovi progetti di scuola di cucina online alla portata di tutti.”

I Cooking Show della Fiera dei Sapori

Venerdì 20 Settembre

Sabato 21 Settembre

Domenica 22 Settembre

Ricordiamo che quest’anno i Cooking Show saranno a pagamento al costo di 5€.

A conclusione dell’evento, domenica 22 settembre, si terrà la cena gourmet, il cui menù sarà a cura de La Galleria di Sopra, membro dell’Associazione Castelli Romani Food & Wine, mentre la selezione dei vini sarà affidata alle aziende vinicole Tenuta Santi Apostoli e Villa Simone, anch’esse facenti parte della stessa Associazione.

Il menù della cena prevede: Foglie spontanee, tuorlo farcito e aceto balsamico tradizionale, accompagnate da Atreo Vermentino IGT Lazio ‘18 Tenuta Santi Apostoli; Tagliatelle funghi porcini noci e tartufo, accompagnate da Tieste, Malvasia puntinata IGT Lazio ‘18 Tenuta Santi Apostoli; Saltimbocca alla romana in quel di Frascati, salsa di pesche e vino, cavolo nero accompagnati da Sangiovese non filtrato IGT Lazio ‘17 Tenuta Santi Apostoli, e, per finire, dessert espresso accompagnato da Cannellino Azienda Agricola Villa Simone.

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Estate, dopo tanta attesa si prepara al tramonto, ma settembre si mostra generoso, così come ottobre, celebre a Roma per il suo clima mite e la sua piacevole brezza. La “Stagione delle Terrazze” non accenna dunque a terminare continuando a dare ancora sfoggio di sé per offrire insospettabili angolazioni per ammirare la Capitale in tutta la sua grandezza, bellezza e bontà.

Casina Valadier e la Cucina di Massimo D’innocenti

Duecentodue anni e non sentirli. Parliamo di Casina Valadier, il gioiello architettonico del Pincio (Collis Hortulorum) situato nel cuore di Villa Borghese dove, sin dall’antichità, numerose ed importanti famiglie dell’Antica Roma scelsero qui di edificare ville e scolpire principeschi giardini.

Un po’ di storia

Costruita dal noto architetto ed urbanista romano Giuseppe Valadier tra il 1816 ed il 1837 (all’epoca impegnato nella risistemazione del Pincio e di Piazza del Popolo) Valadier rielaborò in stile neoclassico il Casino Della Rota, un fabbricato seicentesco costruito a sua volta sui resti di un’antica cisterna romana modellando il corpo cubico cui era addossata un’esedra con colonnato ionico. All’interno si trovano stanze straordinariamente decorate ed affrescate in stile pompeiano, recentemente restaurate e riportate al loro originale splendore a tutto tondo.

La Casina fu pensata per ospitare un luogo di ristoro sul modello dei bistrot francesi divenendo, nel periodo che spazia dal Regno d’Italia alla fine dell’Ottocento sino al primo dopoguerra, un locale tra i più frequentati a Roma da esponenti del mondo della cultura, dell’arte e della politica. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’edificio fu utilizzato dai militari tedeschi prima e dall’esercito inglese, poi ne fecero un circolo per i loro ufficiali. Nel secondo dopoguerra, Casina Valadier conobbe ancora un altro periodo di intensa frequentazione e celebrità. Dagli inizi degli anni 2000 venne completamente restaurata e, con grande meraviglia, fu riconsegnata al pubblico una favolosa struttura immutata nel fascino e dallo stile eterno.

La Casina Valadier oggi

È l’Executive Chef Massimo D’innocenti a curarne oggi l’offerta ristorativa pensata per i diversi momenti della giornata.

Sono un romano doc, e per me è un orgoglio e un vanto essere lo chef di Casina Valadier che da circa 200 anni la terrazza della Casina regala dalla terrazza un punto di vista unico. La posizione è sicuramente privilegiata, io la ritengo la migliore di Roma, con la vista sul Cupolone, su Piazza del Popolo e le bellezze che ci sono intono. Il compito non è affatto facile per me, per distogliere lo sguardo dal panorama e concentrare la l’attenzione degli ospiti sul piatto, ma questo ci motiva a fare sempre meglio attirando l’attenzione dei miei clienti con semplicità, qualità e un pizzico di follia, cercando di non essere mai banale“.

Piatti rappresentativi e tipologia di cucina

Una cucina diretta quella di Chef Massimo D’Innocenti, di stampo mediterraneo e tradizionale al contempo creativa per la scelta degli ingredienti con qualche concessione esotica ma che non si distacca mai troppo dalle radici, e soprattutto non propone una creatività autoreferenziale e fine a se stessa. 

Dal Menu estivo annoveriamo la Tartare di ricciola con granita al passion fruit, antipasto fresco e creativo, il Fiore di zucchina farcito con la parmigiana, che rappresenta la rielaborazione della tradizione anche nella  presentazione; i Tortiglioni con guanciale croccante e pomodorino datterino e pecorino bottaiolo, esempio di tradizione ben eseguita, e la Ventresca di tonno alla puttanesca con insalata tiepida.

Oltre alla linea del ristorante Chef Massimo D’innocenti e la sua brigata si occupano anche della linea del caffè, con tutti i prodotti “fatti in casina” e la linea degli aperitivi che comprende stuzzichini dalla cucina freddi e caldi, sempre diversi e creativi che annoverano Verdure e cruditè, canapè di salmone e caviale, Polpettine di melanzane e provola di bufala o il Fritto di calamari con salsa tartara che accompagnano di slancio le proposte del Chill Bar di Casina Valadier, nuovo punto di riferimento della Capitale per rilassarsi sorseggiando sofisticati cocktail, vini ricercati e pregiati champagne da assaporare avvolti dalle calde nuance dei tramonti romani più incantevoli.

Casina Valadier

Piazza Bucarest, Villa Borghese

Sito

Settimo, Villa Borghese e Chef Giuseppe D’Alessio

Da poco riprogettatata dall’architetto e interior designer contemporaneo, Jean-Philippe Nuel, questa struttura è stata trasformata partendo da un’elegante dimora romana dove oggi la Dolce Vita si unisce alla moderna Art De Vivre francese. Da ex residenza nobiliare del XIX secolo, l’hotel boutique di lusso inaugura così le nuovissime 78 camere e suite, un moderno centro fitness, un programma dedicato al benessere, tre sale per eventi e meeting e un ristorante panoramico progettato dal famoso architetto francese.

Situato in una strada tranquilla nel cuore pulsante di Roma, questo antico palazzo romano si trova a pochi passi da alcuni dei più famosi monumenti e luoghi culturali della città, tra cui la Fontana di Trevi, Villa Medici e Piazza di Spagna.

Sul Rooftop della nuova struttura spicca Settimo: l’elegante ristorante panoramico che offre una vista mozzafiato sui pittoreschi giardini di Villa Borghese e sulla Basilica di San Pietro. Dal design eclettico, caratterizzato da interni verdi lussureggianti, Settimo è la location perfetta per una fuga botanica ad alta quota. L’offerta culinaria è firmata dall’anima creativa dell’Executive chef Giuseppe D’Alessio e prevede piatti d’autore contemporanei che prendono spunto dalla “cucina povera” romana e da quella “Tripolina”.

Per Settimo abbiamo pensato a piatti che ci piace definire signatureracconta Chef Giuseppe D’Alessio – che seguono i dettami di presentazione e di bontà, capaci di magnetizzare lo sguardo degli ospiti distogliendoli dalle bellezze intorno.

Abbiamo puntato su un menu locale dove gli ingredienti non devono fare migliaia di chilometri e devono essere biologici. Per questo selezioniamo fornitori che a loro volta hanno investito su scelte etiche a 360 C°. Abbiamo un programma interno al gruppo per gestire il food wasting, ecc; Sono tante le azioni che facciamo, le accortezze che abbiamo, siamo, come ttutto il Gruppo Accor, molto sensibile al tema sostenibilità.

Cosa non deve mai mancare in un piatto? Oltre alla scelta di ingredienti eccellenti, in un piatto non deve mai mancare un ingrediente importante, “la nostra storia, la nostra cultura”, perché dietro ad ogni piatto della nostra cultura romana e italiana, c’è una storia, ci sono state delle persone che hanno contribuito a far si che diventasse tradizione.

Sofitel Rome Villa Borghese, la struttura

Qui gli ospiti hanno la sensazione di essere a casa grazie all’attenzione personalizzata che si manifesta attraverso sorprese e servizi pensati ad hoc. L’hotel è caratterizzato da un’istallazione di candele che traggono ispirazione dall’illuminazione delle strade di Parigi durante il regno di Luigi XIV, che regalano un senso di accoglienza e sicurezza. Al tramonto, la struttura si illumina come per magia attraverso le gigantesche candele poste all’esterno lungo l’ingresso, per accogliere gli ospiti dalle loro serate, accompagnati da musica suggestiva.

L’ingresso dell’hotel, caratterizzato invece da un display iconico composto da punti cromatici e colori vivaci, conferisce all’area lounge uno stile moderno e fresco con un tocco classico. Le camere degli ospiti inoltre, vantano un’installazione sul soffitto: un capolavoro iridescente che crea l’illusione di un cielo luminoso sopra di sé.

Sentirsi “a casa anche lontano da casa” sarà ancora più facile grazie all’offerta fitness e wellness, che prevede per gli ospiti trattamenti personalizzati con il programma benessere SofitelFIT e il Sofitel MyBed Sleep Menu: quest’ultimo, un servizio in camera esclusivo che trasforma la propria sala da bagno in una lussuosa oasi privata di relax.

Gli ospiti possono scegliere tra due bagni in omaggio – un bagno terapeutico lenitivo con oli essenziali rilassanti, o un Bubble Bath, per un’esperienza energizzante e speciale -. Inoltre, Sofitel Rome Villa Borghese propone ai clienti il servizio di personalizzazione di asciugamani e accappatoi per esaltare la natura tailor made dell’experience.

Settimo

Via Lombardia 47

Sito

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36 ore di intense emozioni mediterranee e piacevolezze enogastronomiche etnee

L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto […], la purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra; chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”. Johann Wolfgang von Goethe; Viaggio in Italia (Italienische Reise, 1816/1817)

Sicilia, terra intensa di sole e di lava, briciola di terra nel mondo e generoso pane; il mio viaggio verso Te, verso i tuoi spigoli e le tue dolcezze, verso il tuo paradiso conteso tra principesca accoglienza e violenta prepotenza, porta sempre con sé la stessa eterna emozione dei primi occhi che ti videro emergere dal blu. 

Per questo ho comprato un biglietto aereo di mattina presto, per raggiungere le tue sponde e godere appieno del tuo abbraccio, pur nel mio poco tempo a disposizione. 

Assonnata ma vibrante d’attesa, quella propria di chi già pregusta qualcosa di succulento, atterro presto a Catania. Sono le 8:30, sono sveglia dalle 4. Guido (nomen omen), il mio gentile autista, mi attende all’uscita con un foglio con scritto “De Bellis”, e penso che è bello avere qualcuno che ti sta aspettando, anche se non ti conosce. 

La strada corre veloce, arriviamo a Taormina dove l’aria si è cominciata a scaldare e il sole ad illuminare i turisti in calzoncini che, seduti ai tavolini, iniziano a popolare le pasticcerie dove abbondano brioche “col tuppo” calde e pronte per essere affogate in ottime granite, o da farcire con densi e scioglievoli gelati; oltre ai cannoli, ines, cassate, arancini, pizzette, calzoni ed ogni ben di Dio. Mentre penso visualizzo, e sento il primo crampo di fame sicula.

Arrivo a La Plage Resort del Gruppo Ragosta Hotels Collection con il mio fedele bagaglio a mano, un borsone grigio che ne ha viste di cotte e di crude, sempre lo stesso, da almeno 12 anni. 

All’ingresso mi accoglie il sorridente Direttore, Gianluca Taglialegne, che gentilmente mi offre il primo caffè fronte Isola Bella, che se ne sta lì davanti ai miei occhi, bellissima e misteriosa, talmente vicina da poterla toccare con un dito. 

Con Gianluca, siciliano nel cuore e che qui ha voluto mettere nuove radici, concordo un itinerario di massima per ottimizzare le mie 36 ore siciliane, che iniziano con un giro in barca alla scoperta dei segreti del tratto di costa taorminese, con le sue tipiche forme irregolari e i monti Peloritani che si gettano bruscamente nel mare creando suggestive insenature e punti panoramici che hanno fatto la storia VIP di questo tratto di mondo; prosegue poi con un light lunch, un giro a Taormina, un aperitivo a la Plage Beach Club, una Cena Fusion Gourmet, una bella colazione abbondante e luminosa, qualche ora di lettino, un bagno e, prima dell’aeroporto, una veloce visita in una grotta lavica ed un articolato giro in Cantina vitivinicola sulle vulcaniche pendici del grande ETNA.

Prima della barca raggiungo e scopro la mia camera. Ho detto “camera” e non posso sorvolare, perchè La Plage Resort, struttura da sempre attenta all’ambiente, viene caratterizzata dai sorprendenti comfort delle 61 camere, comprese suite da capogiro con giardini privati e bungalow con Jacuzzi esterna con idromassaggio; tutte sistemazioni pensate e progettate per generare il minimo impatto sulla natura circostante della Riserva Naturale di Isola Bella e per vivere una dimensione paradisiaca immersi nella quiete di una pineta secolare fronte mare.

Adagiato sulla spiaggia, perfettamente integrato nella natura, senza strappi, La Plage mi appare infatti come un Boutique Resort, particolarissimo, di dimensioni raccolte, che ha tutto e non ti fa mancare nulla, inclusi i percorsi rigeneranti della Expure Spa, che uniscono i benefici dell’acqua a bagni di calore e massaggi esclusivi.

Ma torniamo alla barca. Passo per la reception e mi vengono incontro con una glacette ricolma di frutta, flûte e Prosecco (Cusumano) penso: “beh, ci saranno altri”. Invece no, è solo per me, che viaggio sola, e che in verità non lo sono mai.

Quindi, mi lancio in barca e Peppe, Pescatore e Skipper di stagione, mi fa da “Cicerone-Tritone” per un ampio giro della costa di Taormina. Da terra la prima cosa è la grotta a forma di cuore, spesso utilizzata dalle giovani coppie siciliane per le “fuitine” e che sembra essere benaugurale per le giovani coppie in attesa di fare famiglia. Il tour procede tra sacro e profano, aneddoti, storie, immagini di vecchi e nuovi lustri. 

L’isola Bella (isula Bedda in siciliano) sarà di certo nota ai cinefili per la celebre scena di Marcello Mastroianni in “Divorzio all’Italiana” mentre cerca sua moglie per vendicare il suo (indotto) tradimento. Ecco, quella che fu sede di amore e passione cinematografica, un tempo fu anche e soprattutto il presidio marino di Florence Trevelyan che la acquistò nel 1890 costruendo tra le sue rocce una casa-castello che oggi è museo (ingresso 4€) raggiungibile con una breve passeggiata grazie all’esigua distanza che a volte per via delle maree, si annulla.

Torno a terra ed è l’ora del pranzo. Mi preparo al mio impatto con la cucina dell’Executive chef Mario Casu (in copertina), abile inventore di connubi di stampo tradizionale in cerca di evoluzione, e che sta portando avanti il concetto di Alta Cucina Siciliana fondendo ingredienti locali, profumi mediterranei ed influenze internazionali. Lui, come detto, lo ha definito un “light lunch”, io l’ho guardato con sospetto anche perchè credo che le parole Light e Sicilia siano un ossimoro e non possano stare nella stessa frase senza stridere, e così è stato.

Si inizia leggeri, in una finta sordina, con un’ insalata di mare di notevole pregio per la qualità e la consistenza della materia prima, freschissima, che dal mare, in effetti, potrebbe saltarti dal mare direttamente nel piatto; si prosegue con una bruschetta con dentice marinato, pomodorino appassito e arancia candita, su una pane compatto di grano duro: ottima. Se ci fosse anche del formaggio primo sale, potrei pensare ad una sublimazione del Pane Cunzatu, ma questa è “un’altra sponda”.

A sottolineare le premesse/promesse light arriva poi il turno della parmigiana di melanzane, eseguita magistralmente con grande manico e sapienza casalinga e popolare. Poi lo chef esaudisce un mio desiderio, “le sarde alla beccafico”, tra i miei piatti preferiti, ed arrivano avvolte da una panatura dorata e croccante che protegge un tenero ripieno dolce e sapido con tutta la Sicilia dentro, poi arriva il turno della grigliata di mare e del tonno, che qui e in questo periodo dicono sia buonissimo, e così è stato.

Chiude il primo valzer siciliano un fresco sorbetto al limone, e sono praticamente le 16:30. Molto bene.

Verso le 5 ho appuntamento con gentilissima e sicilianissima Laura Mandalà – Front Office Manager, e con lei mi preparo alla ri/scoperta di Taormina. 

Sara ( io) e Laura – Front Office Manager

E’ lunedì pomeriggio, il corso è pieno come se fosse il sabato del villaggio, la luce si infila nei vicoli, illumina la grande strada, le chiese, i monumenti, le piazze, si riflette tra i capelli sciolti delle ragazze che passeggiano.

Se chiedi ad un taorminese dove mangiare un arancino, una granita e un cannolo, tutti risponderanno “BamBar“ per le granite, “Da Cristina“ per gli arancini e “Pasticceria d’amore” per i cannoli, cassate e simili. Quindi non rimane che farsi forza e provare provare provare. 

Avrei mangiato tutto e a cuor leggero se non mi fossi trovata tra i due fuochi (e molte più padelle) nonché solo a metà di una staffetta gastronomica che, dopo il tour a di Taormina con Laura – concluso con un salto da “Sisilì”, ristopub dal sapore londinese con terrazza panoramica dove gustare grigliate di carne di cavallo a pochi passi dal centro – mi vede tornare presso La Plage dove mi attende Mario Grasso, F&B manager sommelier e barman, che sarà anche il mio compagno di aperitivo e cena, e che, per introdurre la cena mi fa assaporare un ottimo cocktail, un Dama Etnea per la precisione, preparato con Gin Etneus, Solerno, Etna Bitter, Spremuta pompelmo rosa e tonica fever tree.

Ecco cosa vuol dire accoglienza, vuol dire prendersi cura dell’altro, anzi, prendersi carico del benessere di qualcuno cercando sempre di offrire il massimo senza farlo pesare, da ogni punto di vista, grammature comprese!

Sono ormai le 22, sono pronta per affrontare la cena, un percorso degustazione fusion pensato dallo chef Mario Casu, lui che ha scoperto l’amore per la cucina nel panificio e laboratorio di gastronomia di famiglia ed ha avviato un percorso professionale lavorando in ristoranti di livello in Inghilterra e Germania, per poi tornare nella sua bella terra. 

il suo motto “dalla natura al piatto” sintetizza la sua cucina fresca e naturale e attenta ai prodotti stagionali, con particolare attenzione al territorio e alla riscoperta delle origini e che mi mostra così, partendo dal pane di tuminia impreziosito da olio EVO, prosegue con Fiori di zucca fritti e stracciatella, Carpaccio di pesce spada e frutti rossi, Polpo rosticciato, Gnocchi di pistacchio con crema di burrata polvere d’arancio, Spaghettoni ai ricci di mare, Tonno rosso caponata e hummus, per chiudere con Ananas, cocco e fragoline, e la piccola pasticceria con cannolini e cassatine annessi.

Torno in camera sazia e appagata. Mi sveglio all’alba. Sono le 5 sono già in piedi, sento il suono del mare, mi arriva persino il suo profumo spinto dalla melodia costante delle onde, non riesco a dormire, percepisco la bellezza del mondo fuori dalle mie mura, devo uscire. Devo vedere l’alba. Sulla spiaggia non c’è nessuno. giusto qualche gabbiano e il cielo, che si fa via via più chiaro, più luminoso.

Mi riempio gli occhi sempre affamati di bellezza e di verità; nel frattempo sono le 6, che faccio? La risposta è lì davanti a me, si chiama ALBA.

Alle 7:30, pronta e sorridente, faccio il mio trionfale ingresso nella sala colazioni, che è scenografica, con i tavoli ricolmi per esaudire ogni voglia di prima mattina.

Abbondano frutta, torte ed assaggi di pasticceria, i formaggi freschi e stagionati, caponata, salumi e salmone affumicato, pani di ogni tipo, yogurt nei vasetti di vetro , le spremute e cesti di agrumi e, soprattutto, la cordialità dello staff, né quella di circostanza né quella dovuta, ma quella sincera, spontanea. Mi alzo soddisfatta, finalmente mi attende la spiaggia, tempo per leggere, scrivere, tradurre i pensieri, dar loro un nome ed una cornice.

Per le giornate in spiaggia infatti, il Beach Club, è uno dei punto di forza del resort. Tra l’azzurro del mare e il verde del parco, gli ospiti possono trascorrere giornate in relax, coccolati dallo staff con tutti i servizi dedicati, dagli ombrelloni con lettini – con un’area anche per chi non soggiorna in albergo – all’elegante beach bar, arredato con salotti e tavoli, per degustare piccole chicche di gastronomia siciliana e cocktail fino ai piacevolissimi aperitivi in musica. 

Rifiutando, a fatica, ogni arancino ed ogni forma di cibaria proposta, opto per la soluzione “digiuno” fino al prossimo impegno enogstronomico, ovvero una degustazione di vini vulcanici sulle pendici del potente Etna.

Guido infatti, prima di riportarmi in Aeroporto, mi porta prima alla scoperta di una grotta lavica, poi all’ Azienda Vitivinicola Gambino, un’impresa di famiglia sulle pendici dell’Etna, dove il rapporto con il territorio, la vigna, il prodotto e il rapporto con gli ospiti è rigorosamente all’insegna dell’autenticità e del calore mediterraneo. Situata tra i 500 e i 1400 metri di altitudine,  tra i boschi del Parco Nazionale e di fronte alla riviera taorminese qui si trovano le località a più spiccata vocazione vitivinicola, e i vigneti più rappresentativi dell’enologia etnea d’alta quota. Sono stati tra i primi a scommettere sulle imprevedibili possibilità di questa nera terra, riuscendo ad interpretarla e valorizzarla, raccogliendo a mano perché la pianta come la terra ha bisogno di tempo e silenzio. La cantina si trova a undici metri sotto il suolo, scavata nella roccia vulcanica per un controllo naturale della temperatura. 

Una volta in aereo, con la cintura allacciata ( a fatica) e nelle scarpe ancora i lapilli come sassolini, ripenso alle ore appena trascorse, a La Plage Resort, a tutto il suo staff, a tutta la cura e la premura riservata ad una viaggiatrice solitaria.

Lascio la Sicilia piena di una riconoscenza che non si può tradurre in parole e lascia spazio solo al desiderio di tornare presto. Fatelo anche voi.

La Plage Resort è parte del gruppo Ragosta Hotels Collection (www.ragostahotels.com) ed è collegato al centro di Taormina tramite un panoramicissima funivia.


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Antichi Saperi e Sapori non è solo una festa. E’ il sogno fatto realtà di una giornata in cui giovani, adulti ed anziani del paese rivivono insieme le tradizioni del territorio dando nuova vita ad antiche maestranze attraverso la realizzazione dei piatti tipici, pane, ricotta e formaggio, erbe spontanee, balli e musiche popolari.

Quel che crolla non sempre abbatte. Quel che addolora non sempre accieca. La vera Forza risiede nella capacità di superare le avversità, di rinascere ogni volta, di trasformare la natura delle cose, di tramutare la rabbia in amore, la delusione in fiducia.

Perchè le crisi profonde ti costringono a guardare le cose con occhi diversi e possono diventare occasione di nuovi ed intelligenti progetti. E’ questo il caso di Amatrice e del suo territorio, realtà profondamente scosse da un sisma che non è stato però sufficiente a sconfortare i suoi abitanti ma anzi li ha spinti a puntare sulla trasmissione di valori, di saperi e di sapori.

Da 40 anni infatti l’Associazione Configno di Amatrice, associazione apolitica, senza fini di lucro, composta da ragazzi giovanissimi e da “personaggi storici” del paese, svolge attività di promozione sociale e organizzazione sportiva, culturale e ricreativa. L’Associazione Configno è molto attiva e realizza eventi e progetti nel territorio di Amatrice e non solo. Dal sisma del 24 agosto 2016, le iniziative vengono principalmente indirizzate verso attività rivolte a ricostituire la comunità amatriciana, a mantenere salde le radici e fortificare il legame tra le generazioni.

L’ impegno dell’Associazione e dei paesani tutti, sta fronteggiando le conseguenze devastanti del sisma attraverso stupefacenti progetti, uno su tutti, la costruzione di un Villaggio di 26 casette prefabbricate per riportare nel territorio i non residenti al fine di ristabilire il tessuto sociale ed economico del paese.

Da pochi giorni Configno ha raggiunto un altro insperato traguardo riqualificando una vecchia stalla e facendone uno spazio sociale d’aggregazione a disposizione di tutto il paese. Il locale è corredato di lavatrici, cucina e di circa 100 posti per effettuare cene sociali e altri eventi. Il Comitato di Rinascita di Configno si è occupato della ricerca di finanziamenti e realizzazione del progetto. Tutto ciò grazie alla straordinaria generosità di una famiglia del paese che ha messo a disposizione il terreno e il locale/stalla.

Un altro grande evento che l’Associazione Configno sta portando avanti, nonostante le difficoltà dovute al sisma, è La Festa degli antichi Saperi e Sapori, arrivata quest’anno alla quinta edizione.

Non si tratta solo di una festa. È una giornata di sogno in cui giovani e meno giovani con forza ed esperienza fanno riapparire d’incanto la tradizione. Si ritorna, di colpo, a vivere quelle sensazioni, conservate nei nostri ricordi d’infanzia trascorsa in questa amata terra.

• realizzazione e degustazione dei piatti tipici della conca amatriciana, con ben 7 postazioni gastronomiche;
• cantine di vino e di birra che rallegrano la gola e il palato;
• balli e musiche popolari che attraversano tutta la giornata;
• poeti a braccio e stornellatori in dialetto.

I giovanissimi del paese hanno riabbracciato l’uso degli strumenti tradizionali come l’organetto, la tamburella e le ciarammelle e accompagnano l’immancabile ballo della Saltarella Amatriciana.

Ad impreziosire la giornata di Festa ben 3 laboratori riporteranno in vita i saperi: il corso di panificazione con grani pregiati ed “antichi”presentato da Tularù, splendida realtà agricola reatina; il corso di preparazione di formaggio e ricotta, presentato da Antonio Aureli, titolare della Az. agricola biologica della frazione di Amatrice di Pinaco-Arafranca; il corso di riconoscimento erbe spontanee, presentato da una confignara doc, Arianna Salvi, che condurrà i partecipanti, attraverso l’Oasi Orie Terme di Configno, alla ricerca di erbe aromatiche e ne racconterà degli utilizzi e benefici.

Un altro importante salto nel passato dei saperi antichi si potrà fare visitando il bellissimo Museo delle Arti e Tradizioni popolari di Configno che documenta la storia della comunità locale e il suo rapporto con il territorio con diverse collezioni legate all’agricoltura, alle attività artigianali, al mondo domestico. Al piano superiore sono ricostruiti dei veri e propri ambienti: l’aula scolastica, l’osteria, la stanza della tessitura e altri ancora.

Altro evento della giornata è il mercatino delle pulci, quest’anno alcuni negozianti di Amatrice arricchiranno l’offerta con i loro prodotti.

La giornata si chiuderà con lo storico e pirotecnico ballo della Pupazza,
e la quadriglia da ballare tutti insieme, ultimo atto della festa confignara.

photocredits Gemma Evans

La festa dell’Associazione Configno si snoda lungo il paese nella sua nuova conformazione fuori dalla zona rossa ndr e vi farà andare via più ricchi sia nell’arte della cucina che nella conoscenza del territorio.

Con un contributo di 5,00 € si possono finanziare le attività dell’associazione, partecipare ai laboratori, alle visite guidate e bere a volontà (ma vi invitiamo a farlo con moderazione!)

Grande novità di quest’anno, l’ evento sarà totalmente PLASTIC FREE a sottolineare il rispetto che i confignari hanno per questa meravigliosa terra!

Info utili

La Festa degli antichi Saperi e Sapori

Quando: domenica 18 agosto 2019

Orari: dalle 10:00 alle 24:00

Dove: Configno di Amatrice

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“La mia vita in cucina inizia all’età di 15 anni. Mio zio, Franco la Mura, cuoco di mestiere e maestro nell’arte dell’intaglio dei vegetali, mi trasmise la passione. Da lui imparai molto, soprattutto un concetto fondamentale: il lavoro del cuoco è fatto di sacrificio e passione.”

Nasce sul Golfo di Napoli e respira mare e salsedine. Cresce a Gragnano e si nutre del profumo del vento che corre veloce tra i vicoli come gli scugnizzi con i calzoni corti; lo stesso vento che, lentamente, asciuga la pasta stesa al sole. Impara il sapore a casa, dalla mamma e dalla zia, la quale, appassionata di Roma, insaporisce e stuzzica il suo palato con “i ricciolini all’amatriciana” scardinando inconsapevolmente in lui quello stretto legame fatto di territorio e tradizioni; iniziandolo così all’unico vero principio egemone in cucina: quello del gusto. Più tardi lo zio gli insegnerà l’amore e l’abnegazione per quel faticoso mestiere tra i fornelli. 

domenico stile
Ravioli di coda alla vaccinara affumicata, peperoni, capperi, Caciocavallo Podolico e liquore al cacao

“Mio Zio aveva un metodo di lavoro ben preciso – ricorda Domenico Stile con gli occhi luminosi e scuri mentre mi racconta la sua storia – e mi disse una cosa che non ho più dimenticato: se lo devi fare, fallo bene”.

Il dado è presto tratto. Domenico ha 14 anni. E mentre i suoi amici giocano a pallone lui lavora come cameriere. Un anno dopo entra in cucina, come apprendista, legandosi via via a quel mondo sempre con più coscienza. Talentuoso e tenace, costruisce la sua formazione con i Grandi della Ristorazione, per poi essere libero di disegnare le forme della sua cucina di costa campana immaginata per dare lustro alla sua terra.


“È stato Enrico Cosentino, inventore del classico scialatiello e mio docente alle scuole superiori, ad inserirmi nell’alta ristorazione”. Entra quindi nelle squadre di cucina di Gianfranco Vissani, Antonino Cannavacciuolo, Enrico Crippa. Poi va da Massimo Bottura, a respirare i sapori dell’inverno modenese in chiave contemporanea. Seguono le stagioni estive, in qualità di sous chef con Nino Di Costanzo ad Ischia; arriva fino a Chicago da Grant Achatz e poi torna a Roma, dove si ferma, per dare sapore ai prestigiosi ambienti di Villa Laetitia, dimora storica di Anna Fendi Venturini, progettata nel 1911 dall’architetto romano Armando Brasini e curata da Giulio Cesare Delettrez Fendi. 

Qui l’eleganza degli elementi rinascimentali mescolati a quelli barocchi, fa da spettacolare cornice alla sua cucina, definita da lui stesso mediterranea, concreta, artistica, caratterizzata da componenti cromatiche intense e vivaci. 

domenico stile
Bavarese al doppio cioccolato, fragole fermentate e basilico

“Mi piace molto il lato estetico, il colore ci deve sempre stare, ma un piatto parte in primis dal gusto”. Domenico Stile, d’impronta tradizionale ma animato dal desiderio di sperimentazione  – “perché chi punta all’eccellenza deve avere la mente aperta” – propone in carta piatti come Riso di semola all’amatriciana con seppia alla diavola e aceto balsamico, che da una parte rappresenta il suo tributo a Roma, dall’altro traduce ed inquadra le sue cifre stilistiche come gioco tra ingredienti e memoria

“Il riso di semola è piatto che potremmo dire riassuntivo della mia filosofia di cucina, un sunto di tutto quello che ho appreso e delle esperienze che ho fatto; in ogni piatto c’è sempre qualcosa o qualcuno”.

Riso all’amatriciana
domenico stile
Cheesecake ai frutti tropicali, grano saraceno e dragoncello

Oltre alla memoria, quali sono gli ingredienti che nella tua cucina non possono mai mancare? “Il limone, il pomodoro e i formaggi bufala, soprattutto quelli stagionati, più grassi ma più delicati”.

Qual è la tecnica che usi di più? “Le marinature, sia di carne che di pesce”.

Dove sta andando la cucina italiana? “Secondo me la Cucina Italiana è ricca di identità, ma non ne ha una propria ed è sempre alla ricerca delle nuove mode, come la fermentazione o, anni fa, le spume. Sarebbero gli altri a dover imitare noi, non noi che dobbiamo andare a distruggere un ingrediente emulando altre cucine. In Italia, così come cambia il vento, tutti gli vanno dietro. Io preferisco fare le cose che piacciono a me”.

Che rapporto hai con la tua brigata? “Buono. Li ascolto, se hanno cose intelligenti da dire” (ride).

Lavori in un posto bellissimo, ma se dovessi aprire un tuo ristorante, dove lo apriresti? “A Gragnano sicuramente, a Casa Mia”.

Oltre al sapore e alle radici, cosa porti con te di Napoli? “C’è un detto napoletano, non so se lo conosci, dice così: O napulitan s fa sicc, ma nu mor, ovvero “un napoletano può arrivare agli stenti, ma non muore”. E secondo me questa è una delle cose più belle di Napoli, che racchiude una filosofia di vita che ci invidiano un po’ tutti:  l’arte dell’arrangiarsi”; che è tenacia e genialità assieme, che rende ricchi anche i poveri, che è quella forza resiliente di non perdersi mai d’animo e di trovare sempre una nuova soluzione a nuovi problemi, molto spesso vivace quanto ingegnosa.

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Estate, dopo tanta attesa, arriva senza bussare. Si infila nel vento del mattino, fa arrossire le giornate, addolcisce le serate, ed inaugura così La “Stagione delle Terrazze” di Roma la quale, sovrana di bellezza, riserva ancora tante insospettabili angolazioni per farsi ammirare in tutta la sua grandezza.

Il Grand Hotel Plaza in via del Corso è uno dei nuovi indirizzi per la bella ristorazione, per gratificarsi nel quotidiano o per sottolineare occasioni speciali, perfetta per aperitivi, pranzi panoramici e romantiche cene. In un’altra porzione di Roma bella, la Terrazza del Capo D’Africa invece (ex Attico Bistrot) si presenta carica di un’ atmosfera intima e suggestiva e vi attende per offrirvi una vista Colosseo e tetti romani che non dimenticherete.

Grand Hotel Plaza & il ristorante sulla Terrazza Trinità dei Monti

Se amate Roma e volete innamorarvi di una scenografia che solo la Città Eterna sa disegnare, c’è un nuovo indirizzo da appuntare in agenda.

Si accede da Via del Corso, proprio di fronte alla Chiesa di San Carlo. Varcando la soglia del Grand Hotel Plaza verrete accolti da un’autentica atmosfera retrò poi, poco più avanti, da un fastoso e principesco salone, con le volte affrescate, gli stucchi e le vetrate liberty, i cornicioni dorati ed i giganteschi lampadari di cristallo.

Subito prima, la grande scalinata-monumento impreziosita alla base dall’imponente Leone scolpito da Antonio Canova, ci darà la netta percezione di essere in un luogo scrigno di una magnifica storia e che, dal 1865, divenne punto d’incontro e di scambio culturale per viaggiatori, nobili, ambasciatori, artisti, dignitari politici e regnanti in visita a Roma.

*Piccola digressione per i cinefili: il Grand Hotel Plaza è ed è stato spesso scelto come set cinematografico. Tra gli ospiti illustri si ricordano Luchino Visconti, che qui ritrovò quelle atmosfere del XVIII e XIX secolo a lui care, tanto che gli interni de “L’innocente” furono girati proprio nei regali saloni. Più recentemente sono stati qui ambientati gli interni di “Ocean’s 12”, con Brad Pitt e George Clooney, “Gangs of New York” di Martin Scorsese e “E alla fine arriva Polly” con Jennifer Aniston e Ben Stiller. Altro regista che amava frequentare il Grand Hotel Plaza era Federico Fellini, che qui adorava incontrare i registi e gli attori americani, e trovare l’ispirazione per i personaggi dei suoi film.


Ma torniamo al Leone del Canova, che merita un altro momento di approfondimento oltre ad essere una delle opere d’arte più amate del Gran Hotel. Il Leone è infatti un esplicita citazione al leone vanvitelliano della Reggia di Caserta anche se qui porta con sè un significato diverso: mentre quello campano rappresenta la potenza regale della dinastia borbonica, il leone romano del Canova, che scende le scale con grazia e passo felpato, diventa quasi un cucciolone che pronto a porgere il benvenuto agli illustri ospiti.

La stessa imponente scala di rari marmi conduce al sesto piano, sulla splendida terrazza che affaccia su uno scenario da cuore in gola che spazia da Villa Medici a Trinità dei Monti, dal colle del Quirinale al Vittoriano. è stato aperto il nuovo ristorante Terrazza Trinità dei Monti, dedicato non solo agli ospiti dell’albergo ma a chiunque desideri vivere una nuova esperienza nel segno della singolarità e unicità.


Il nuovo Chef Umberto Vezzoli, Capitano di lungo corso e forte della sua lunga esperienza maturata nei ristoranti del marchio St. Regis, Intercontinental De La Ville e in vari angoli del mondo, offre una variegata rivisitazione della tradizionale cucina romana, anche con abbinamenti di piatti unici creati per ogni giorno della settimana.

Gli antipasti sono un viaggio tra i colori delle verdure di stagione con cotture vivaci, come la terrina di verdure, oppure il vitello tonnato della tradizione con la sua salsa, uova di quaglia cotte a vapore; o come l’insalata tiepida di calamari, pomodorini e pecorino romano.

Paccheri con Tartare di Salmone su Gazpacho di carote, pesto e corallo al nero di seppia.

Tra i primi piatti non mancano quelli della tradizione romana, come cacio e pepe, amatriciana e gricia, così come uno tra i patti speciali dello chef Vezzoli “Milano Tokyo 1988”, risotto alla milanese e tartare di tonno, dedicato alle città dove ha vissuto le sue esperienze culinarie più significative, ma anche soluzioni e citazioni estive come i Paccheri freddi ripieni di Tartare di Salmone su Gazpacho di carote, pesto e corallo al nero di seppia.

Proseguendo nella scoperta del menù, ci sono il pescato del Mediterraneo in guazzetto con una trilogia di pomodorini e la tagliata di fassona piemontese DOC e per terminare una fresca selezione di dolci, come il semifreddo al limone accompagnato con un extravergine di oliva aromatizzato alla vaniglia.

Particolarità del menù sono i suggerimenti dello chef con gli abbinamenti dei piatti unici creati per ogni giorno della settimana: dalle mezze maniche al cacio e pepe con saltimbocca e lattughe brasate il lunedì, allo spaghetto alle vongole con filetto di pesce spada al salmoriglio il venerdì.

Chef Umberto Vezzoli

La Terrazza Trinità dei Monti, aperta a tutti dalle ore 18.30 alle 24, offre un punto di incontro per le serate estive sotto il cielo stellato e il gioco di luci che illumina la città e i suoi monumenti principali.

La Terrazza dell’Hotel Capo d’Africa al Colosseo

Non si chiama più “Attico Bistrot” ma “La Terrazza”, ed è aperta per consentire agli appassionati dei luoghi nascosti di godere di un suggestivo aperitivo e proseguire ordinando “à la carte” dalle 18 alle 24 di ogni giorno. Parliamo de La Terrazza dell’Hotel Capo d’Africa a Roma (Via Capo d’Africa, 54) che si trova a pochi passi dal Colosseo ed è un incantevole roof garden dal quale ammirare alcuni suggestivi scorci della Capitale.

Da qui si può assistere a uno dei tramonti più belli – con vista sui tetti e sulla vicinissima Basilica dei Santi Quattro Coronati – sorseggiando un bicchiere di vino oppure scegliendo uno dei cocktail preparati direttamente in terrazza.

La Terrazza, tra riservatezza e relax, offre anche la possibilità di conoscere la cucina dello chef Erio Ivaldi (ve ne avevamo già parlato qui) scegliendo tra le proposte gastronomiche che lo Chef ha introdotto in un interessante e pensato menu per soddisfare sia alle esigenze degli ospiti dell’hotel sia rendere merito alla tradizione mediterranea.

Il menu del ristorante cambia ogni tre mesi in base alla stagionalità dei prodotti che sono sempre di eccellente qualità. Infine l’atmosfera accogliente e un tripudio di fiori tutt’attorno Vi permetteranno di vivere una serata speciale con gli occhi pieni di Roma.

Attico Bistrot, Via Capo d’Africa 54, Roma. Tel. 06 772801. Sito

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Estate, dopo tanta attesa, arriva senza bussare. Si infila nel vento del mattino, fa arrossire le giornate, addolcisce le serate, ed inaugura così La “Stagione delle Terrazze” di Roma la quale, sovrana di bellezza, riserva ancora tante insospettabili angolazioni per farsi ammirare in tutta la sua grandezza.

JACOPA: A Non-Conventional Kitchen

Non è solo una terrazza dove prendere un aperitivo e scoprire Roma da un’altra angolazione; non è un Bistrot (perché Jacopo Ricci non vuole definizioni troppo strette) e “non è un ristorante d’albergo – specifica il patron Daniele Frontoni – è una proposta divertente e nuova che va incontro alle esigenze dei romani. JACOPA è il ristorante e cocktail bar dell’Hotel San Francesco, attività aperta 18 anni fa a Trastevere”.

Jacopa RoofTop
JACOPA interni

JACOPA, al piano terra dell’albergo, è un locale non-convenzionale, informale e moderno, che propone cocktails dinamici, vini naturali, ottimi pani e olii, ed una cucina attuale e creativa che poggia su basi solide, ma si mostra curiosa, desiderosa di essere riconoscibile ed attenta alla contemporaneità.

JACOPA di sera porta con sé un fascino proprio, che mi ha ricordato le atmosfere delle sale di biliardo di una volta, nei toni e nei colori, nel verde e nel legno, con il bancone da saloon e il pavimento a scacchi bianco e nero; di giorno invece la sala immediatamente alle spalle, si illumina e si scalda grazie alle grandi vetrate da cui filtra la luce buona dell’altro Trastevere.

Piero Drago e Jacopo Ricci

Alla guida del ristorante due giovani chef con belle esperienze alle spalle, Jacopo Ricci e Piero Drago. Una coppia collaudata che ha già lavorato gomito a gomito: “Io e Jacopo abbiamo lavorato nelle cucine del Ristorante Il Pagliaccio**” , precisa Piero Drago, “iIl nostro Maestro Anthony Genovese ci ha coinvolto in vari progetti; poi è seguita l’esperienza per un anno da Secondo Tradizione”.

Grazie ad un ‘esperienza nutrita di tanti stimoli, il menu di JACOPA parla un linguaggio rock, con piatti immediati, in cui il protagonista è la materia prima di qualità, riconoscibile nella sue consistenze, ma ben intenzionata a raccontare altro di sé.

Trippa e Calamari

È possibile infatti trovare piatti spiazzanti, di carattere e audacia, come “Capesante, vitello e salvia” o “Trippa e Calamari” piatto intrigante e ben giocato sulle callosità della texture, che si presenta impavido, senza preconcetti di terra e di mare, ma che stringe impensate alleanze di sapore.

Tra i primi la “Fregola, burro, anguilla e finocchio selvatico”, si presenta quasi timida. Al primo assaggio ricorda le pastine al burro che mangiavamo da bambini, ma subito, appena incontrata l’Anguilla di Cabras affumicata, rivela tutta la sua forza in un crescendo ritmico che gioca con le aromaticità del finocchietto selvatico, si diverte con le consistenze della fregola e si coccola nella morbidezza del burro. Un piatto che stravolge visivamente i contorni di ciò che è e ciò che sembra, portandoci lontano, in un luogo familiare e nuovo al contempo.

Fregola, Burro, Anguilla e Finocchio selvatico

Tra i secondi troverete proposte come “Agnello, Cicoria e Grano”, “Triglia, Carote e Sambuco” o l'”Anatra Arrosto”, servita intera, cucinata in ogni sua parte con tecniche differenti, e che mi sono ripromessa di tornare a provare molto presto.

La nostra cucina vuole rispettare in primis l’ambiente. Cerchiamo di scegliere prodotti sostenibili o di piccoli produttori locali.” Precisa Jacopo Ricci. “Materie prime di stagione di cui vogliamo utilizzare tutte le parti, evitando così gli sprechi”.

Triglia, Carote e Sambuco

In sala Alessia Sama conduce il cliente in un percorso ricco e divertente, arricchendo l’esperienza culinaria con frizzante eleganza. La carta dei vini presenta etichette naturali, una proposta attenta e corretta con bottiglie italiane e straniere, che spaziano dai rossi alle bollicine, e che possono sorprendere anche chi non è fan del genere naturale.

Grande interesse anche al Cocktail bar, per cui è stato chiamato come consulente Emanuele Broccatelli, uno dei bartender più apprezzati di Roma e non solo. A proporre la sua drink list al bancone e nello splendido Rooftop bar estivo di Via Jacopa de’ Settesoli, Cristian Straccio e Rebecca Sanzone, due volti del mondo del bere molto amati nella Capitale.

Jacopa

Via Jacopa de’ Settesoli 7, Roma

Telefono: 06 580 9075

Orari: aperto dal lunedì al sabato dalle 7:30 alle 10:00 e dalle 19:00 alle 22:30, domenica dalle 8:00 alle 10:30

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Feria: il Rooftop del Lanificio al sapore “Grande Mela”

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FERIA, in una zona decentrata rispetto alle blasonate terrazze è un luogo ricco di fascino post-industriale; è un roofgarden di 1000 mq dove rilassarsi in un ambiente stile gipsy con giostre, piante e mercatini. L’appuntamento estivo sul tetto del Lanificio è giunto alla quinta stagione e quest’anno si veste in stile newyorkese: Kitchen, Cocktail Bar, Dj Set & Live Set, qui ogni sera l’estate inizia alle 18.30 ed arriva fino alle 2 di notte.

La proposta gastronomica del Lanificio è molto ampia così come ampia e variegata è la sua clientela. Qui si può scegliere tra insalate, hamburger, piatti vegetariani e tante altre specialità mentre la sempre grande attenzione alla musica, con dj set ed una programmazione ricca di eventi e performance, fa da sottofondo.

Per godere quindi appieno di atmosfere rigorosamente informali accompagnate da un “tramonto vista fiume” stando a Roma ma respirando New York, potrete sfiziarvi attingendo da un divertente menu dal mood internazionale che annovera:

“Nachos con cheddar, jalapeño, guacamole e panna acida”, “Onion rings”, “Arrosticini fritti di totano al pangrattato e limone in Manhattan style”, “Gold chicken pop corn con patate” e “Pollo allo spiedo marinato al lime e salsa piri piri”; e poi ancora “Mexican Pokè Bowl” e Hamburger, Bacon Cheeseburger, Crispy Chickenburger, Sunny Veggyburger, Pastrami & Bagel. Potenziano l’offerta Coktails e Spirits, Vini, Bollicine, Birre alla spina e in bottiglia, Analcolici e Sodati.


Feria Lanificio

Via di Pietralata 159, Roma

Telefono: 392 916 3156

Orari: aperto tutti i giorni dalle 18:00 alle 2:00

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Un uomo e la sua storia di mare. Uno chef Re della duna: terra di mezzo, genitrice di un ecosistema unico ricchissimo di libera vegetazione, e musa ispiratrice di una cucina semplice quanto straordinaria.

Alberi maestri, aria sapida di mare e darsena, grida di gabbiani nella piena luce di mezzogiorno così come nei toni caldi del tramonto. Il posto è sempre lo stesso, da cinquant’anni, lì dove il nonno di Gianfranco accoglieva nella sua “Trattoria da Pompeo” le famiglie di Fiumicino, quelle di Roma in gita la domenica fuori porta, e i pescatori, gli uomini della riva, quelli del porto e le loro storie; ristorando chiunque varcasse la sua soglia.

Gianfranco Pascucci eredita quel modo di fare, cresce respirando quell’aria condita che si chiama accoglienza, poi la nutre, la affina, la perfeziona. Lui vuole fare il cuoco e non ha paura, dentro di sé la sua rotta è già tracciata, e allora viaggia e va ad assaggiare le cucine degli altri, poi torna, conosce Vanessa Melis (anche lei di Fiumicino ma mai incontrata prima) che diventa sua moglie, ed assieme rilevano quell’osteria di famiglia per dare una casa ad sogno di cucina: dare valore al suo mare ed alle materie prime che il litorale iodato romano offre ogni giorno, ad ogni stagione, ad ogni marea.

Il primo cambiamento importante è stato decidere che dal mio più grande fornitore, il mare, dovevo prendere tutto. Non solo le spigole e i rombi. Avevo voglia di verità. Parlavo con i pescatori e vedevo che c’era un sacco di pesce che non veniva richiesto. Ho avuto come una voglia di rivalsa, racconta, volevo cucinare quello che non aveva mercato né storia, e dargli una nuova identità”

Pascucci al Porticciolo – interni

Vento in poppa dunque alla creatività, alla libertà nel ripensare ricette senza codifica ufficiale, nel rileggerle con ingegno ed ispirazione nella continua ricerca di combinazioni, giochi di consistenze, di fondi e di rimandi, di minestre di “pesciacci”, di zuppette e acque pazze, di marinature, affumicature e di pesce povero nobilitato.

Era un rischio non avere certi prodotti e qualcuno storceva il naso quando proponevo cose tipo il muggine. Poi ho visto che alle persone non importava così tanto del pesce usato, ma se il piatto fosse buono. A questo punto ho capito che c’era lo spazio per costruire”. Così, come un abile costruttore di sapori, comincia a disporre virtuoso la materia prima al centro del piatto, una materia mai superata dal gesto tecnico, semmai potenziata per mezzo dello stesso e poi arricchita, concentrata, immaginata e concepita per arrivare dritta all’emozione. 

Chef Pascucci, parte dalle sue esperienze personali che vuole traghettare nel piatto, cristallizzando sulla ceramica un memoria multisensoriale, così come ha fatto per il “Gambero rosso al sale ed erbe bruciate” un piatto che cammina all’indietro fino all’incendio nella vicina pineta e che, tramite l’intensa affumicatura, ricrea la percezione del ricordo olfattivo di un vero vissuto partendo dal penetrante profumo di bruciato.

Gamberi al sale

Uno degli attuali snack di benvenuto è Mare, dichiarazione di poetica nitida e prosaica, in cui la scritta Mare, a base di sale marino rosa, alghe essiccate e polvere di scampi, va annusata prima di passarvi sopra la spugna di erbe con acciuga e maionese e di ostrica, che come un’onda cancella la scritta sulla sabbia profumando il boccone e trasferendo al palato tutta la sua potenza salmastra e di macchia.

Foto: reportergourmet.com


Il tonno resta uno dei capisaldi del Porticciolo; da crudo (servito come un Prosciutto, lavorato nel miso e bottarga e poi essiccato per sei giorni) e da cotto, caratterizzato da una nota nostalgica dei pranzi di casa nei “Rigatoni allo stracotto di tonno“, che da pesce migratore qual è, sa intridersi di Mediterraneo e tradizione nostrana come di suggestioni lontane.

La sua Tempura di calamari, piatto storico con cui il Porticciolo ha inaugurato la sua apertura evolvendo nel tempo fino a raggiungere la presentazione attuale, merita menzione a sé. Si perchè Pascucci da anni studia le tecniche giapponesi che si rivelano sempre illuminanti e affascinanti per la maestria nel trattare le materie prime, specie per il pesce, e che hanno portato questo piatto al perfetto incontro tra croccantezza, friabilità e tenerezza delle carni, che risultano come cotte al vapore.

Tempura di Calamari

Si dipinge così una cucina dalla forte personalità e sensibilità, dalle tinte blu del mare, del verde della macchia mediterranea, del rosso di granchi e crostacei, dalle sapidità marine eclettiche, cariche di iodio, issate e vibranti come vele per fendere il vento, e che si accomoda con grazia in un ampio spazio luminoso di moderna e antica ospitalità.

Un salotto raffinato, con verande e finestre, arredato con lampade, ceramiche d’autore, pigne turchesi di Caltagirone, tovaglie e tovaglioli ricamati di candida stoffa. Qui la sala è donna, e vive nel sorriso di Vanessa, nei suoi modi pacati e gentili, nel suo volto che rasserena chiunque bussi alla porta di “Pascucci al Porticciolo”; bel ristorante di mare, sicuro avamposto di “periferia iodata” e che, insignito della stella Michelin dal 2012, continua a rimanere il rassicurante faro di un porto sicuro.

Info utili

Pascucci al Porticciolo

Giorni di chiusura:
Domenica chiusi a cena,
Lunedì chiusi pranzo e cena
Martedì chiusi a pranzo

Viale Traiano 85 00054 Fiumicino (Roma)

Telefono: +39 06 65029204 – 329 4603566

Fax: +39 06 6521659

Email: info@alporticciolo.net

Sito


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