Si moltiplicano gli appelli sui social per alzare la testa, far ripartire le attività ristorative e sconfiggere la psicosi generata dal Coronavirus. Dopo Milano, gli Chef della Capitale fanno rete e aderiscono alla campagna video promossa da MangiaeBevi per comunicare, ad alta voce, che #AncheRomaNonSiFerma.
Follie comunicative, allarmismo diffuso, psicosi collettiva; nessuno (o forse si) poteva davvero immaginare quanto le ripercussioni di questa paura strisciante avrebbero potuto impattare sulla ristorazione italiana e sugli esercizi pubblici.
Ristoranti, bar, alberghi, agenzie di viaggio, negozi, guide turistiche, sono state le prime imprese ad essere travolte dalla paura diffusa, le prime ad essere colpite dalla comunicazione errata e dal procurato allarme portato dall’emergenza Coronavirus.
Nonostante il Ministero della Salute abbia chiarito e rassicurato che “non c’è possibilità alcuna di contagio attraverso i cibi anche perché il Coronavirus, sopravvive fuori dall’essere umano per pochi secondi solamente”, le persone hanno paura ad uscire di casa, senza alcun motivo reale e, di conseguenza, c’è chi teme di ritrovarsi in mezzo ad altre persone sconosciute, potenzialmente contagiose.
Secondo quanto stimate dalla Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi, i danni stanno mietendo più vittime delle vere vittime. Sono stati stimati attorno ai due miliardi di euro di entrate in meno e più di 20mila posti di lavoro a rischio.
Ristoranti, bar, pasticcerie, gelaterie e locali stanno pagando un prezzo altissimo con perdite di fatturato in tutta Italia (non solo nelle zone rosse) dal 50 all’80%.
Così, dai ristoratori agli chef, dai commercianti ai produttori, si stanno moltiplicando in queste ore le reazioni, gli appelli sui social per far ripartire le attività economiche, rialzare la testa e sconfiggere la psicosi generata dal virus per far fronte alla crisi economica, alla paura che sta abbracciando ogni target di offerta, anche quella stellata.
Dallo Chef Star Carlo Cracco, con il suo ristorante stellato nella Galleria Vittorio Emanuele II, allo chef Davide Oldani (D’O- Cornaredo), passando per Alessandro Negrini e Fabio Pisani, chef del ristorante “Il Luogo di Aimo e Nadia”, due stelle Michelin, le dichiarazioni hanno più o meno lo stesso tenore: «I clienti persi, così come gli eventi annullati, rappresentano per noi un grande danno economico, ma abbiamo deciso di continuare il servizio perché crediamo sia fondamentale mandare un messaggio di normalità in mezzo a tanta psicosi e ribadire che si può uscire e mangiare al ristorante. Certo — conclude —, se il numero di coperti non dovesse tornare a crescere saremo costretti a ragionare su una chiusura parziale» (Fonte Corriere della Sera).
La ristorazione milanese si è poi unita per supportare la città: un gruppo rappresentativo di oltre 50 imprenditori del settore si è incontrato e associato sotto il nome ‘Unione dei brand della ristorazione italiana’, per dare un segnale di presenza e supporto alla città e alle istituzioni. L’associazione delle aziende, di carattere temporaneo, rappresenta ad oggi circa 1.000 attività della ristorazione per un totale di circa 10.000 lavoratori sul territorio.
Partono così le iniziative della “resilienza ristorativa” anche nella Capitale colpita a cascata.
E visto che ogni crisi costringe a pensare, a rimboccarsi le maniche e trovare nuove vie di sopravvivenza e coesione (magari rispolverando un po’ di sentimento patrio e solidarietà collettiva) sulla scia di Milano e anche Roma si stringe e fa rete aderendo alla campagna video promossa da MangiaeBevi a favore della ristorazione. E con una serie di brevi clip degli Chef della Capitale che, dalle loro operose cucine, lanciano un messaggio chiaro e forte “anche Roma non si ferma”. All’iniziativa hanno già aderito Oliver Glowig, chef di Barrique by Poggio le Volpi, Davide del Duca dell’Osteria Fernanda, Angelo Troiani del Convivio Troiani, Dino De Bellis del ristorante Vyta, Stefano Marzetti del ristorante Mirabelle,Cristina Bowerman, Giuseppe di Iorio, FrancescoApreda chef di Idylio, Andrea Antonini chef di Imàgo, Giuseppe di Iorio,StefanoChinappi, Massimo d’Innocenti e Anthony Genovese, Gianfranco Vissani, Mirko di Mattia,Domenico Stile, Fabio Pecelli, Giulio Terrinoni, Pierluigi Gallo, Enrico Camponeschi e Arcangelo Dandini, Sharon Landersz di Ginger, Daniele Roppo de Il Marchese, Luca Pezzetta, Mirko di Mattia, Riccardo Pepe e Andrea Sacerdoti (qui trovate i video).
Un appello rivolto ai romani stessi, ai turisti, ma ben più in generale alla vita, che deve e vuole andare avanti con coraggio, forza, convinzione e con la viva speranza che la risposta possa esser forte così come il delirio in cui siamo piombati.
3 Amici, 3 ragazzi in campo. Sono avversari, giocano a Rugby nelle due squadre romane. con dedizione, impeto e autocontrollo, da bravi rivali, a volte si azzuffano. Ma la vita all’improvviso prende un’altra direzione: uno dei tre cambia maglia e si ritrovano ad indossare tutti e tre la stessa.
Favoriti dal clima di nuovo spogliatoio e da una spontanea empatia, scoprono di avere gli stessi interessi, una passione comune per la ristorazione, cominciano a confrontare visioni e riflessioni sulla cucina, immaginano una dimensione professionale e nuova meta per tutti e tre, accarezzano un sogno, formano una piccola squadra nella squadra. Poi trovano un piccolo locale a Prati e decidono di fare il grande passo.
Loro si chiamano Alberto Martelli, Manfredi Custureri e Tommaso Venuti, rispettivamente Sala e Sommelier, Restaurant Manager e Chef di Cucina, che detti “AL-MA-Tò” (ne avevamo già parlato qui). Un nome originale, composto dalle loro iniziali per sottolineare un luogo in cui convergono le idee di ciascuno, mai troppo distanti tra loro. Idee che si siedono a proprio agio su poltroncine in pelle blu petrolio, tra tavoli di legno nudo e mura essenziali, e che vogliono stupire occhio e palato definendo definiscono la voglia corale di un’esperienza individuale delineata da un’identità ristorativa essenziale.
Cosa ha di diverso AlMaTò dagli altri ristoranti?
Beh, ci siamo Noi! (ridiamo insieme). Scherzi a parte, è un luogo diverso, dove confluiscono le nostre idee. Un luogo che abbiamo curato in ogni dettaglio, esattamente come lo immaginavano: arredamento, colore delle pareti, mensole, cantine, vetrinette, tavoli nudi, mise en place essenziale; ma la vera differenza la fa la nostra passione e il talento di Tommaso.
A parlare è Alberto, quarta generazione di un’insegna storica del centro storico romano: la Carbonara, a piazza Campo de’ Fiori. Innegabilmente la ristorazione, e la carbonara, gli scorrono nelle vene, ma mentre parla, ben lontano dalla saccenza o dall’arroganza che molti inquina, traspare invece un’anacronistica umiltà, una “passione educata” farcita di bei ricordi che mette in gioco nella sua quotidianità e scelte lavorative.
“Avevo 4 anni – mi racconta – e mia nonna mi veniva a prendere al pulmino dalla materna e mi portava a piazza Campo de’ Fiori poi, una volta arrivati al ristorante mi dava una scaglia di parmigiano (perchè tutti i giorni fa crescere bene). Un giorno, tenendola per mano le dissi: “nonna, non ti preoccupare, un giorno ci penserò io alla Carbonara. Verso i diciotto anni mi sono reso davvero conto che davvero era diventata la mia seconda pelle.”
Ereditario di un’insegna storica romana, perché dedicarsi ad un altro progetto?
L’evoluzione della clientela – continua Alberto – richiede qualcosa di diverso, ma io rimarrò anche sempre fedele a “la Carbonara”. Loro -si riferisce a Manfredi e Tommaso – sanno che io sarò presente nella misura in cui potrò permettermi dei esserlo, per questo è importante aver giocato insieme, il valore della squadra, fidarsi l’uno dell’altro e condividere tutto, stesse regole di cucina, vita e rugby.
Prima di aprire avete studiato il mercato, quali sono i vostri riferimenti, qual è il livello di cucina che volete navigare e comunicare?
Manfredi invece, approda alla cucina per caso e per ragioni di cuore. Complice uno stabilimento con ristorante nella Toscana di mare, scopre negli anni di avere un talento naturale per il management, alternando la gestione di ristorante alla disciplina del rugbista. Gli chiedo come sia andato il primo mese di apertura, mi risponde: “Soddisfatti. Si, siamo soddisfatti, per essere stato il primo mese, aver aperto a gennaio (che non è il mese della ristorazione), con Roma deserta e poco incline alle uscite, la clientela si è mostrata contenta, e noi riceviamo feedback davvero belli.Ma tutto si costruisce passo dopo passo e stiamo ancora perfezionando molti dettagli.”
Abbiamo cominciato a girare, a conoscere ristoranti, cucine, chef, a costruire la nostra idea di cucina. Ci piacciono molto ZIA (Chef Antonio Ziantoni, via Goffredo Mameli, 45, Roma) e RETROBOTTEGA (Giuseppe Lo Iudice e Alessandro Miocchi, Via della Stelletta 4, Roma): quella è l’idea di ristorazione che ci convince, sia come clienti sia come imprenditori.
A questo punto prende parola lo Chef Tommaso Venuti: “Abbiamo un obiettivo chiaro come la mia cucina, che è lineare, semplice, di pochi ingredienti, riconoscibile, che gioca sulle consistenze e sui giochi di colore.”
Dove attinge la tua cucina e dove vuole arrivare?
Attinge alla tradizione gastronomica italiana così come ai miei viaggi e alle mie esperienze. Partendo da un “gusto nostro” prendo spunti dalle varie diverse tecniche che diventano strumento per realizzare le mie idee, quando serve.
C’è una cifra stilistica dei tuoi piatti? Qualcosa che li renda riconoscibili?
Mai più di 3 o 4 ingredienti, non amo caricare il piatto, e la matrice cromatica: come per lo scampo che è una piatto a gradazione di colore. rosa rosso viola. L’impatto visivo per me è molto importante e sto lavorando su questo concetto. Ci sarà in futuro un gioco e uno studio e sull’inganno del palato. I miei piatti partono sempre da una base di tradizione e si evolvono secondo un mio personale lavoro di ricerca. Bilanciamento dei sapori, rispetto della materia prima. Lo scopo finale è in ogni caso estrarre il massimo del gusto, pensando in primis alla soddisfazione del cliente.
Se guardi al panorama gastronomico contemporaneo, qual è il pensiero di cucina che più ti ispira?
Mi piace Matias Perdomo (Contraste, Via Meda, 2 – Milano). Mi sarebbe anche piaciuto lavorare nella sua brigata. Ammiro la forza che riesce ad imprimere ai suoi piatti; mi piacciono le sue provocazioni. E’ una cucina che vorrei riuscire a proporre anche qui, perchè secondo me ci vuole coraggio ad introdurre uno spaghetto al Campari come pre-dessert. Vorremmo farlo anche qui con “la Carbonara”, citazione più che dovuta. (si riferisce ad Alberto, ridiamo).
Tommaso, che già da bambino voleva cucinare, è alla sua prima esperienza in solitaria alla gestione di una Cucina. Dopo l’Università, ha studiato all’Alma a Colorno, un’esperienza intensa, fatto stage e stagione a Villa Crespi (Relais & Châteaux – Orta San Giulio – NO), presso la regale Corte di Antonino Cannavacciuolo poi, durante un viaggio a Londra trova posto nella brigata di Marcus Wareing nel suo ristorante e ci resta un anno e mezzo. Poi, di nuovo Roma tre anni dal grande Heinz Beck a La Pergola (Roma), chiude con Domenico Stile, nella sua raffinata e liberty Enoteca La Torre.
Lì impara a gestire una cucina, e con un bagaglio di esperienze ed accenti variegati imposta uno stile d’impatto, dai toni coloristici vivaci ed accattivanti. Le presentazioni sono studiate partendo dai cromatismi comeper “Anatra, patata viola, cipollotto, lavanda”, un piatto chiave rispetto all’intento che si vuole raggiungere, che si fa mangiare molto prima con gli occhi giocando da un lato con i luminosi contrasti della laccatura della carne, e dall’altra con richiami sinestetici “del viola” sia delle patate sia della lavanda; quest’ultima andrebbe contenuta un poco nel suo impatto aromatico che rischia di coprire la bontà dell’anatra e la piacevolezza di una succosa cottura.
Un piatto che fa scuola a sé, ragionato e di contenuto, sono invece i “Ravioli di coda, erbe amare, salsa mirepoix”, qui il gioco è interessante perché ciò che di solito è alla base delle preparazioni, ovvero sedano, carota e cipolla, qui viene riportato in primo piano fino ad assumere il ruolo di protagonista favoreggiato da taglio e croccantezza da manuale. La pasta poi è scuola Beck, che non delude mai: liscia, traslucida, stesa a mano e chiusa senza ispessimenti per rendere merito alla farcia, classica, carica e scioglievole. Chiudono il giro dei sapori le erbe amare, che ci riportano ai gusti della campagna romana che sottraggono la coda alla più nota versione rossa vaccinara, e la proiettano in una dimensione bianca e vegetale, erbacea, notevole e convincente. Un “colpo di coda” che vale, anche da solo, l’intera cena.
About AlMaTò
In carta cinque proposte per ogni portata che spaziano dalla terra al mare. Solo per fare alcuni esempi: Scampi, radicchio, radici; Ravioli di coda, erbe amare, salsa mirepoix; Anatra, patata viola, cipollotto, lavanda. La carta dei dessert, sempre firmata da Venuti, rappresenta un naturale prosieguo, con creazioni dalle forme e dal gusto contemporanei (leggi “alleggerite”) come le personali versioni di Tiramisù e Soufflé. Oltre alla carta c’è la possibilità di optare per uno dei percorsi di degustazione, di 5 o 7 portate (rispettivamente a 50 e 70 euro bevande escluse), costruendo il menu con i consigli della sala e in base alle preferenze del cliente. Per il pranzo, dal lunedì al venerdì, si aggiunge la formula del lunch tasting, composta da 3 portate (al costo di 30 euro), e quella del fast lunch, pensata per una rapida pausa lavorativa e che garantisce all’ospite di poter consumare un benvenuto dello chef, un piatto a scelta e una bottiglia d’acqua in soli 30 minuti (e alla modica cifra di 20 euro).
L’ambiente è coerente con la tavola, rispettando i canoni di nitidezza e di sottrazione (di elementi). A progettare il locale è lo stesso chef Tommaso Venuti, grazie ai suoi precedenti studi di architettura. La sala è un luogo intimo e raccolto, contraddistinto da pochi colori (legno, grigio, particolari in nero e blu delle sedie) e dal gioco di luci che tende a evidenziare ciò che è sul tavolo senza però mai appesantire la vista. Proprio le lampade sono fatte su misura da un piccolo artigiano e permettono di spostare tavoli e sedute secondo la funzionalità richiesta. Altro elemento fondamentale è la perfetta insonorizzazione del locale, grazie a un apposito, tecnologico, soffitto. Il tutto per garantire un’esperienza piacevole a 360 gradi. Ai 28 coperti interni se ne aggiungono un’altra dozzina nel dehors (disponibile a partire dalla bella stagione).Il servizio (che vede, ancora una volta, esecutori giovanissimi) ovviamente non può che essere al passo con tutto il resto: attento alle esigenze del cliente ma mai ingessato.
La carta dei vini, curata dal Alberto Martelli, è composta da circa 80etichette (equamente suddivise tra bianchi e rossi) provenienti dai territori più interessanti del Paese e comprensiva di diverse referenze estere,Francia in primis. Tra i nomi delle aziende un buon mix tra cantineblasonate e produttori meno noti. Non può mancare, ovviamente, unaselezione di bollicine italiane e di Champagne.Proposta al calice varia e adatta ad accompagnare i piatti dello chef.
Via Augusto Riboty, 20C – 00195 Roma (quartiere Prati) / Tel. 0669401146 www.almato.it /Aperto dal lunedì al sabato, dalle ore 13.00 alle 15.00 e dalle 20.00 alle 23.30
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