Sara De Bellis

Mese: Aprile 2020

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Dalle Alpi alle Coste isolane le ricette per portare sulla tavola i sapori della primavera italiana e scoprire le prelibatezze d’Italia, i suoi piatti tipici pasquali, le simbologie, le leggende e curiosità legate alle preparazioni tradizionali delle nostre 20 regioni-scrigno. Per la prima Tappa -Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria- clicca qui.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della bella stagione che si sono fatti nel tempo un cibo carico di simbologie, divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Così, dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa. Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua.

– Emilia Romagna

I dolci della tradizione pasquale sono sempre molto semplici, soprattutto in quelle regioni a vocazione contadina come l’Emilia-Romagna dove la tipica Pagnotta Pasquale con uvetta viene accompagnata dalle uova sode benedette e dai celebri salumi e salami caserecci; si prosegue con il Pasticcio di maccheroni in pasta frolla – anche detto pasticcio ferrarese, un piatto antico le cui origini risalgono al ‘500 caratterizzato da uno scrigno di frolla dolce e un sapido ripieno di maccheroni, ragù bianco e besciamella, un piatto della tradizione che non manca mai sulle tavole delle case e dei ristoranti della città emiliana), nonchè le celeberrime lasagne verdi alla bolognese, la versione con la pasta all’uovo verde (agli spinaci o all’ortica) si servono tradizionalmente durante il pranzo di Pasqua.

La umile e contadina Tardura – che in dialetto romagnolo, significa “tiratura”, è una minestra con un gusto quasi identico ai passatelli romagnoli, solo che viene “tirata” anziché impastata e passata). Piatto antichissimo, sopravvive con gioia sulle tavole più tradizionali.

Tra i secondi l’agnello arriva su molte tavole (con i piselli alla romagnola o stufato al finocchio e non manca il suo fegato all’aceto balsamico) ma a sorpresa è spesso insidiato dal coniglio, alla cacciatora o in porchetta. Come dolci troviamo la panina pasquale e la ciambella, antichi e semplicissimi, ancora sfornati dalle nonne.

 – Toscana

L’astinenza quaresimale dalla carne, in Toscana è rotta dall’agnello, spesso cotto in fricassea. In Lunigiana, dove si sentono le influenze liguri, si prepara la Torta pasqualina, secondo un rituale che prevede di dividere l’impasto in 33 panetti, tanti quanti gli anni di Cristo.

Nella provincia di Massa Carrara la Torta è di riso ed è dolce, ma – sempre di riso – torna salata in Versilia e si chiama Putta, cioè con tanto pepe e pecorino stagionato. La Putta della Garfagnana è invece fatta anche con il farro. In ogni caso va gustata fredda, come antipasto durante il pranzo di Pasqua e viene servita accompagnata dai classici companatici quali uova sode, salumi e formaggi.

Tipica del Casentino è la Panina (e qui si sente l’influenza dell’Emilia-Romagna), un pane insaporito di spezie, zafferano e uvetta, da mangiare con le uova benedette. Tra gli altri pani più tipici, la focaccia di Pitigliano, pagnotta salata che ha un disegno a quadri sulla superficie guarnita di foglie d’ulivo.

Il Buglione invece è uno stufato di agnello marinato nel vino, che aiuta a stemperare il sapore forte della carne, ed è cotto con la pancetta e il pomodoro, servito con dei crostoni di pane toscano leggermente tostato che serve a raccogliere il sugo formatosi durante la cottura.

La Schiacciata di Pasqua, che è tutto tranne che sottile, è il dolce di Pasqua tipico diffuso in buona parte della Toscana con nomi leggermente diversi e con piccoli cambiamenti che ad un orecchio esperto permettono di attribuirla al senese, alla Valdelsa o all’empolese. C’è anche chi la chiama sportellina, il nome con cui viene definita a San Gimignano. Qualunque sia la definizione rimane il dolce caratteristico delle tavole pasquali della Toscana, la cui peculiarità consiste nell’intensa lavorazione manuale dell’impasto, nella lunga lievitazione naturale e nel distintivo profumo di anicini.

– Umbria

Regina indiscussa è la Torta di Pasqua, chiamata anche Pizza di Pasqua. Una torta salata a base di uova, farina e formaggi misti, soffice e gustosa, cotta in forno a legna dopo una lunga lievitazione. Nella tradizione veniva preparata dalle donne di famiglia il giovedì santo e non poteva essere consumata prima della mattina di Pasqua con salame, capocollo, uova sode colorate, cioccolato e vino rosso, tutto rigorosamente benedetto.

La mattina del Sabato Santo, infatti, si prepara un cestino con la tipica torta salata, del sale, le uova, i salumi, il pane, il vino e la ciaramicola (dolce caratteristico del Perugino) e si porta in chiesa per la benedizione dei cibi. È elevato il loro valore simbolico legato alla tradizione cristiana: l’uovo che rappresenta la Resurrezione, il pane emblema di Cristo, il vino che richiama il sangue di Gesù, la carne che evoca il sacrificio.

La giornata prosegue con un grande pranzo che prevede un primo piatto a base di pasta fatta in casa: gli “agnolotti” ripieni di carne, le tagliatelle, i tortelloni di Norcia o gli strangozzi spoletinisecondo la zona o la tradizione di famiglia. Come secondo, tipico della Pasqua umbra è l’agnello, cucinato arrosto e servito con fette di limone per esaltarne il sapore.

A Perugia, il pranzo della domenica di Pasqua si chiude con la Ciaramicola, una soffice ciambella lievitata di un bel colore rosso carico, ricoperta da una candida meringa e da una pioggia di confettini di zucchero: il rosso e il bianco ricordano proprio i colori simbolo della città. Secondo tradizione questa ciambella rappresentava l’amore, perché veniva regalata dalle ragazze ai propri fidanzati il giorno di Pasqua.


Tipica dell’orvietano, della Valnerina e delle zone del Trasimeno è invece la Torta di Pasqua dolce, aromatizzata con buccia di limone e cannella, che si accompagna indifferentemente ai salumi e al cioccolato. 

– Marche

La domenica mattina si fa una colazione con salumi, uova sode e Crescia di Pasqua o pizza al formaggio. La Crescia di Pasqua è una variante della pizza al formaggio: ricca di formaggio (soprattutto pecorino) e con una spruzzata di pepe, va mangiata insieme ai salumi, alla coratella d’agnello, frittate di erbe e frittata con mentuccia. La ricetta è molto simile a quella della pizza al formaggio, tanto che in alcuni posti Crescia di Pasqua e pizza al formaggio sono sinonimi. Fra gli affettati non deve assolutamente mancare il ciauscolo.

Se si è sopravvissuti alla colazione, allora poi si può passare al pranzo di Pasqua. Come primi: passatelli in brodo di gallina, tagliatelle o ravioli al sugo, mentre i secondi sono a base di agnello. Per i dolci, ci sarebbe la tradizionale Pizza dolce di Pasqua.

– Lazio

Sapori forti delle campagne e gustose raffinatezze locali, si sposano in un connubio gastronomico ricco di particolarità, impreziosito da numerose preparazioni culinarie: la tavola di Pasqua, a Roma e nel Lazio, è un sincero omaggio alla tradizione gastronomia territoriale.

Il simbolo del pranzo laziale è l’abbacchio, che da secoli campeggia sulle tavole regionali. Tradizionalmente, il termine “abbacchio” indica l’agnello giovane, lattante, pronto per la vendita. Che sia intero, mezzena, spalla e coscio, costolette, testa o coratella, le sue carni, tenere e saporite, rivestono un ruolo di primo piano nella gastronomia territoriale, oramai da millenni. Un ruolo così importante, che il suo commercio, già particolarmente fiorente nella Roma Antica, nella Roma dei Papi era addirittura tutelato con leggi e decreti “ad hoc”.

Anche nel mondo moderno viene tutelato dal marchio IGP dal 2009. La denominazione Abbacchio Romano IGP caratterizza esclusivamente agnelli da latte allevati nei territori della regione Lazio, di massimo 8 kg di peso e con un’età compresa, all’atto della macellazione, tra i 28 e i 40 giorni.

La cucina regionale, nelle sue diverse sfaccettature, conosce innumerevoli per preparare l’abbacchio, ma i più gettonati restano sempre quelli tradizionali: alla Romana (al forno con patate, vino bianco e rosmarino), alla Cacciatora (cotto al tegame, con aceto, rosmarino, aglio e salvia) o a Scottadito (cucinato alla brace, tendenzialmente si utilizzano le sole costolette, condite con rosmarino, olio, pepe e limone).

Altro ingrediente forte della tavola pasquale è la Ricotta Romana. Come l’abbacchio, la ricotta è un altro alimento di origine millenaria, che accompagna le abitudini gastronomiche territoriali oramai da tempo immemore.

I cenni storici più antichi sono le descrizioni delle tecniche lattiero-casearie fornite da Columella nel suo “De Re Rustica” (il più importante trattato agronomico dell’età latina) e le norme di Marco Porcio Catone, sulla pastorizia nell’epoca repubblicana. La ricotta si ottiene dalla coagulazione delle proteine contenute nel siero del latte, che viene separato dalla cagliata durante la caseificazione. Il nome “ricotta”, (dal latino recocta) deriva dall’alta temperatura a cui avviene il processo di coagulazione, che porta il siero a “ricuocere”, donando origine al prodotto. La Ricotta Romana,tutelata dal marchio DOP a partire dal 2005, si ottiene esclusivamente da siero di latte di pecora, proveniente dal territorio regionale. Il suo sapore, delicato e lievemente dolciastro, è uno dei più caratteristici (e popolari) della gastronomia territoriale.

Tra le numerosissime Pizze o Torte di Pasqua, realizzate con ricette differenti, nei diversi territori del Lazio, figurano la Pizza Grassa di Leonessa (a base salata, impastata con burro, spezie e salumi locali) e quella della Tuscia Viterbese, la che viene realizzata in due versioni, dolce o al formaggio, entrambe con la caratteristica forma a fungo. La prima, dolce, si distingue per una forte nota di cannella. La seconda, quella al formaggio, conserva il sapore marcato del pecorino. Altrettanto caratteristica è la Pizza Pasquale della Sabina, una focaccia di forma conica, impasta tata con farina di grano tenero, uova, rum, zucchero e canditi, dal sapore dolciastro o lievemente salato.

Da Roma in giù, invece, la Torta Pasquale è una ciambella dolce, a base di liquore o semi di anice, dall’impasto consistente e dal sapore delicato. A seconda dell’area di produzione (le province di Roma, Frosinone o Latina) la “Torta” può essere glassata, oppure arricchita con uova sode.

Altre preparazioni, dolci e salate, legate al periodo sono la Torta Pasqualina di Anagni (a base di pasta frolla, farcita con un ripieno di ricotta), il Tortolo di Pasqua di Sezze (luna piccola pagnotta di pane dal sapore non proprio dolce: ecco perché c’è chi ora lo consuma insieme alla corallina, tipico salame romano. Farina, uova, olio extravergine, un bicchiere di sambuca, zucchero, lievito naturale e lievito di birra: questi i suoi ingredienti) e la Tosa di Pasqua (una preparazione dolce, a forma di bambola o di ciambella, a base di farina, latte, uova e semi di anice).

Sono tipici di questo scorcio stagionale anche Cavallucci e Pigne di Palestrina (biscotti di pasta cresciuta di dimensioni notevoli, grandi più o meno quanto una piccola torta, guarniti con confetti colorati) e Cavallucciu e Pucanella (pani dolci aromatizzati) di Amatrice: cavallucci per i bambini, pigne o pucanelle (bambole) per le bambine da consumare durante le scampagnate di Pasquetta.

La colazione completa comprende: salame corallina, torta salata, uova sode, pane casareccio caldo, pizza sbattuta (da mangiare insieme alle uova di cioccolato), frittata con i carciofi e la coratella d’agnello con carciofi.

Il salame detto corallina è una specialità di salume con gli inserti di grasso di maiale nel ripieno ben evidenti. La coratella di abbacchio, invece, è un piatto a base di interiora d’agnello che vengono sminuzzate, e cotte in padella con la cipolla dopo averle insaporite, alle quali si uniscono i carciofi già preparati per essere aggiunti.

Pasqua viene in primavera e il carciofo è il simbolo di questi giorni che viene usato sia per la colazione che poi per il pic-nic del giorno di Pasquetta cotto alla brace, magari con le “matticelle”, i tralci della potatura della vite. Sia a sud di Roma con il Carciofo di Sezze, che a nord con il carciofo romanesco di Cerveteri, il Lazio ha una grande varietà di carciofi locali DOP.

Ma facciamo un passo indietro. Nella colazione di Pasqua a Roma non può mancare la “pizza sbattuta”, ossia un dolce simile al pan di spagna che non va confuso con la Torta Pasqualina. A Roma la Torta Pasqualina è una pizza salata ripiena di spinaci, ricotta e uova.

La pizza di Pasqua è una torta salata lievitata, tipica anche di molte zone del centro Italia a base di farina, uova, pecorino o parmigiano. Viene servita per tradizione a colazione della mattina di Pasqua oppure come antipasto del pranzo pasquale, o ancora usata nelle scampagnate della Pasquetta.

Impossibile non citare la Coratella con i carciofi, Regina delle Tavole di Pasqua. Chi (come me) ama le interiora dell’agnello e il quinto quarto in generale, la coratella è qualcosa di irrinunciabile.

Roma, e tutta la regione, è poi un tripudio di minestre in brodo come la la stracciatella (sorella della Tardura emiliana e tipica del lunedì di Pasqua), Fritto di carciofi, Gnocchi alla romana, Agnello arrosto con patate o alla brace, salumi di ogni sorta, ricotta salata, uova sode e uova di cioccolato.

Le uova di cioccolato: la tradizione di colorare le uova a Pasqua risale all’epoca romana, come raccontato da Plinio. La prima tinta adoperata fu il rosso, come il colore del sangue di Cristo. Si racconta che quando Maria di Magdala annunciò la Resurrezione di Cristo, Pietro disse: “Ci crederò quando le uova nasceranno rosse”. Allora Maria scoprì il canestro e si accorse che le uova erano tutte rosse. Nel Medioevo durante la Quaresima era vietato mangiare le uova, perché di origine animale. Così si affermò l’uso di colorarle durante la Settimana Santa con disegni geometrici e prevalenza dei toni rosso e azzurro. Queste uova, poi, nel giorno del Venerdì Santo venivano portate in chiesa per essere benedette, così da poterle consumare la mattina di Pasqua.

– Abruzzo

La colazione del giorno di Pasqua è ormai chiaro che non è una colazione come tante altre e, per sottolinenare questa differenza, in Abruzzo si chiama sdiuno, una sorta di brunch, che inizia dalla colazione e diventa direttamente pranzo dal tono informale.

Si parte con la Pizza di Pasqua, anche qui un impasto non troppo soffice, aromatizzato con l’anice e arricchito con l’uvetta. Poi le Mazzarelle che sono involtini di coratella di agnello avvolta in foglie di indivia (lattuga o scarola) legati con budelline di stesso agnello, preparate in padella con il sugo di pomodoro, anche registrate dal Ministero delle politiche agricole alimentari nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.

Lo sdiuno diventa pranzo e ci procede a suo di Timballo, Agnello, uova e Formaggi. Ancora una volta, le ricette variano a seconda dell’area e del modo in cui sono state tramandate all’interno della regione stessa: troviamo un timballo fatto di scrippelle (fritattine sottilissime di acqua, farina e uova preparate in padella) e pallottine di carne a Teramo, oppure composto da sfoglie, o da pasta secca al forno ricoperta da un guscio di pasta frolla o sfoglia.

I puristi del Timballo affermano che quello vero abruzzese sia il teramano, realizzato con le scrippelle e le polpettine di carne. Qualunque sia l’originale, del timballo esistono molte versioni, tra cui anche alcune in bianco con macinato, carciofi e zucchine, e vale la pena assaggiarle tutte almeno una volta. I secondi piatti pasquali includono generalmente la presenza di agnello, che sia alla brace o sotto forma di “agnello cace e ove”, piatto che arriva dall’antica tradizione pastorale abruzzese ed è il perfetto connubio di agnello, formaggio pecorino abruzzese, e uova, le regine della pasqua.

L’uovo e il formaggio anche gli sono ingredienti principi di fiadoni e fiadoncini di pasta salata e dolce, e si trovano in altre moltissime preparazioni come nei “fegatini e cicoria” e nella pizza di Pasqua al profumo d’anice.

Pet chiudere gli antichi e simbolici “pupe e cavalli”, che sono i dolci che si donano ai bambini che prevedono la decorazione con la ghiaccia reale o con la ghiaccia all’acqua, codette e palline argentate o gocce di cioccolato e gli occhi con chicchi di caffè; un’altra usanza vede invece donare agnellini di pasta di mandorle e le pepatille fatte col tritello, miele, mandorle, scorza di arance e pepe.


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Dalla Crescia valdostana all’Aceddu cu l’ova siciliano passando per Cimma e Fugassa, Mazzarelle e Coratelle, Pastiere e Scarcelle: 3 tappe per scoprire le prelibatezze d’Italia, i suoi piatti tipici pasquali, le simbologie, le leggende e curiosità legate alle preparazioni tradizionali delle nostre 20 regioni-scrigno. Prima tappa: Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della futura bella stagione che si sono fatti nel tempo cibo divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione di origine cattolica prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono così mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa.

Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua

– Val d’Aosta

La Crescia di Pasqua valdostana è un pane-focaccia perfetto per accompagnare i salumi, impastato con formaggi stagionati, uova, olio evo e abbondante pepe nero. Nel nome e negli ingredienti ci ricorda la “sorella marchigiana” con le uniche differenze che nella versione valdostana non compaiono il latte, il formaggio a pezzetti e gli albumi vengono montati a neve per donare alla crescia una consistenza più soffice.

Tra le prelibatezze annoveriamo anche la Torta Pasqualina, una torta rustica che protegge un tripudio di erbe primaverili e selvatiche come ortiche, foglie di papavero campestre e di primula, germogli di luppolo, tarassaco, piantaggine, erba cipollina, salvia, rosmarino, foglie di erba San Pietro e quelle che la natura offre, sempre perfetta accanto allo Spezzatino di agnellone in umido, una ricetta antica che lo rende gustoso eliminando il suo gusto “selvaggio”.

– Lombardia

Capretto ed erbe spontanee (nelle valli prealpine, come a Bergamo e in Valtellina), poi tante uova (simbolo di rinascita e che venivano benedette in Chiesa assieme agli agnelli), formaggi, focaccia dolce e torta salata pasquale lombarda, insolita e poco conosciuta, che è una deliziosa pasta sfoglia farcita con un impasto di pollo rosolato, prosciutto, parmigiano, asparagi, sale pepe, timo e prezzemolo.

Nel Pavese e nell’Oltrepò, insieme con l’insalata novella e al salame crudo sono indispensabili le torte: di erbe spontanee, di carciofi e di riso. Caratteristico il dolce a forma di cestino con dentro un uovo sodo che si offre ai bambini, il cavagnè dl’euv.

Nel lodigiano si riempiono le uova con tonno e insalata russa, poi c’è anche il brodo caldo, spesso con la stracciatella nuova e prezzemolo e il capretto arrosto. Tipico dolce pasquale è l’agnello di pasta sfoglia farcito con crema pasticciera o chantilly.

A Pavia, dove era tradizione sacrificare l’ultima gallina o il gallo per il brodo del risotto, si vanta l’invenzione della colomba, simbolo di salvezza e resurrezione, dolce ora diffuso in tutta la penisola. La colomba pasquale è un dolce simile al panettone, arricchito di una copertura di amaretto e mandorle. La storica azienda milanese Motta decise di confezionare questo prodotto nei primi del Novecento, ma la sua storia però ha origini ben più lontane.

LA LEGGENDA PAVESE
Si narra che verso la metà del VI secolo, il Re Alboino, sovrano dei Longobardi, dopo avere lungamente assediato la città di Pavia, riuscì ad occuparla il giorno della vigilia di Pasqua del 572.
Il sovrano prima di dare la città alle fiamme, decise di accettare i doni che i cittadini volevano offrirgli. Così ricevette in dono dodici meravigliose fanciulle che avrebbero dovuto deliziare le sue notti e, mentre rifletteva sulla sorte di Pavia, si presentò al suo cospetto un vecchio artigiano con dei pani dolci a forma di colomba:
“Sire, – disse il vecchio – io ti porgo queste colombe quale tributo di pace nel giorno di Pasqua”. All’assaggio i pani risultarono così buoni da spingere il sovrano ad una promessa: “In onore di queste colombe, rispetterò la città e i suoi abitanti”.
Ma in realtà, quel buonissimo dolce, nascondeva un sottile inganno: quando il Re Alboino iniziò a chiedere alle fanciulle quale fosse il loro nome, si vide rispondere sempre la stessa cosa, cioè ‘Colomba‘.
Alboino comprese il raggiro che gli era stato giocato, ma rispettò lo stesso la promessa di salvare Pavia e i suoi abitanti.

Oltre alla colomba pavese e lombarda, c’è quella diffusa in Sicilia, chiamata anche ‘palummedda’ o ‘pastifuorta’. Si tratta di piccole colombe in pastaforte, realizzate con zucchero, farina doppio zero e cannella. Hanno una forte consistenza, da qui il nome di pasteforti. Tramandata dai nonni ed ancora prima, si dice che fosse regalo di scambio tra i fidanzati. Ma questa è un’altra storia.

– Piemonte

Accanto alla frittata rognosa – con salame o salsiccia sbriciolati – tipica delle zone rurali, abbondano poi Agnolotti del Plin, vitello tonnato e agnello al forno con patate (con la particolarità che deve essere lasciato a marinare almeno per tutta la notte) arrosti di maiale o vitello, salsa verde obbligatoria (bagnet Verd) e la ciburea (sorella del Cibreo toscano?) preparata con con le parti meno nobili del pollo (frattaglie, ali, collo) cotte in umido con le patate, anche detta in “bagna”.

Altro piatto tipico della Pasqua in Piemonte sembra sia il Tonno di coniglio alla Piemontese: un piatto che si consuma freddo, ideale come antipasto del pranzo di Pasqua o come portata del pic-nic di Pasquetta. Potete accompagnarlo con crostini di pane rustico o usarlo per farcire panini integrali.

– Veneto

“Xe Pasqua! Xe Pasqua! Che caro che go, se magna ea fugassa, se beve el cocò.” È Pasqua! È Pasqua! Sono contento, si mangia la focaccia e si beve l’uovo.

Risi e Risotti con gli asparagi, capretto o agnello al forno con le erbette, mostarde di mele cotogne e semi di senape, insalata pasqualina (un’insalata mista con i fiori di primula, i cipollotti novelli, formaggio, uova sode, panna fresca, erbe aromatiche, erba cipollina e olio EVO) e sua Maestà la fugassa.

Sembra infatti che in Veneto “non è Pasqua se non c’è fugassa“, una “focaccia” dolce un tempo cotta a legna di antichissima tradizione risalente alle prime feste cristiane in onore della Resurrezione di Gesù celebrate sempre con grande solennità.

Si narra anche, oltre a Pasqua e proprio per la sua carica benaugurale venisse preparata in occasione dei fidanzamenti e donata alla famiglia della futura sposa con dentro l’anello.

– Friuli Venezia Giulia

Anche qui asparagi selvatici, agnelli al forno, brodi e pinza triestina, un particolare e amatissimo dolce non dolce tipico pasquale, una sorta di brioche perfetta sia con salumi e formaggi, sia con miele e confetture.

Sulla pinza è tradizione fare tre o quattro tagli sulla sommità dell’impasto. Questi taglio “a croce”, comune a molti pani, hanno per tutti un duplice significato: nella tradizione cristiana simboleggiano il martirio di Cristo, nella pratica servono a far lievitare meglio l’impasto. Oltre le erbe spontanee e agli ortaggi di primavera anche gli animali da cortile contribuivano a far ghiotta la Pasqua: alla gallina o al tacchino o al coniglio si univa anche carne di manzo per fare el brodo taià (misto), poi la minestra con il riso o con le tagliatelle fatte in casa.

Da segnalare la tradizione che ancora oggi si ripete a Timau, legata alla schultar, la spalla di maiale affumicata. La sua preparazione inizia con la salatura a secco e poi l’affumicatura con i legni profumati. Una volta cotta viene portata in chiesa per la benedizione insieme al salam cuet, salame affumicato. Le specialità vengono accompagnate dalla pinca o sirnica, tradizionale pane dolce pasquale croato con uvetta e scorza d’arancia.  

A Trieste e Gorizia, anche qui spalletta di maiale o prosciutto caldo cosparso di crema grattugiato o in salsa e, nella zona del Carso anche da fiori di finocchio selvatico, uova sode colorate e gelatina, il tutto accompagnato dalla tipica pinza. Della merenda goriziana sono tipiche anche lis fulis o fulje o fule, un dolce piuttosto curioso di origine medievale, che mischia insieme dolce e salato, si tratta di polpettine con pane raffermo grattugiato, zucchero uova, formaggio, scorze di agrumi, erba cipollina brodo di maiale. Alcune varianti prevedono canditi e pancetta o lardo, chiodi di garofano e diverse spezie.

– Trentino Alto Adige

Anche nel periodo pasquale si possono degustare dei piatti tipici, come le polpettine pasquali in Trentino fatte con polpa di agnello macinata, rosmarino, scalogno e prezzemolo, avvolte in una rete di maiale, fatte rosolare nell’olio caldo e poi infornate o lasciate cuocere nel sugo.

Ma la Pasqua coincide anche con il periodo della raccolta degli asparagi bianchi di Zambana, in Trentino, protagonisti di tortini di asparagi e risotto agli asparagi, capretto, e per dolce la Corona pasquale tipica del Trentino: un impasto di farina, latte, uova, zucchero, burro, panna fresca e succo di limone, a cui viene data la forma di corona e guarnita poi con uova sode.

Esiste e resiste poi un’usanza propiziatrice che vede regalare dai padrini e madrine ai figliocci un pane a forma di gallina o coniglio chiamato Fochaz che viene benedetto in chiesa. Questo pane in particolare accompagna il prosciutto Pasquale (osterschinken) tipico dell’Alto Adige, ricavato dalla coscia di maiale senza stinco, senza fesa e senza filetto.

– Liguria

La razza dei genovesi è come quella dei pellerossa, si sta spegnendo poco a poco. È un peccato per il mondo, cui abbiamo regalato due cose grandi come l’America e la torta Pasqualina”. Così scriveva il giornalista Giovanni Ansaldo nel 1930. L’origine di questo piatto tipico si perde nella notte dei tempi e la paternità è contesa. Ma i liguri possono vantare di avere dalla loro parte un documento del 1500 di Ortensio Lando, che cita la pasqualina genovese nel “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano”, apprezzandola a tal punto da scrivere: “A me piacque più che dell’orso il miele”.

La Torta pasqualina è la celebre torta rustica della Pasqua genovese realizzata con un ripieno ricco di bietole, uova e prescinseua (più spesso sostituita con la ricotta) e maggiorana fresca: la vera tradizione vuole sia fatta con ben 33 sfoglie in riferimento all’età del Messia. Esiste anche una variante molto diffusa che prevede l’aggiunta di carciofi, cipollotti e piselli,.

Poi c’è la Cima ligure (Cimma in diletto, un suggestivo piatto povero realizzato con la pancia di vitello lavorata come una tasca e farcita da diversi ingredienti, spesso un impasto di formaggio, piselli e carote, poi cotta in un brodo vegetale e fatta riposare sotto un peso),

Il metodo e la grande cura nella preparazione di questa specialità popolare e tradizionale sono ben raccontati e descritti nella canzone in dialetto genovese cantata da Fabrizio De Andrè e scritta con Ivano Fossati, A Cimma, dedicata proprio alla ricetta tipica ligure. (il link del brano qui).

Grandi protagonisti anche le interiora d’agnello – il cosiddetto Giancu e neigru d’agnelletto (una sorta di “sorella coratella” di cuore, fegato, milza, polmone, rognone, tagliati a strisce e cotti con olio, aglio, prezzemolo, vino bianco, sale e pepe, da mangiare il sabato santo) – uova a barchetta e Agnello al forno con le patate. 

Tra i dolci spiccano invece i Cavagnetti di Brugnato dalla forma di un piccoli cestini con il manico, dal quale deriva il nome, dentro ai quali viene posizionato un uovo intero, guscio compreso. L’impasto a lunga lievitazione, realizzato con farina e lievito di birra, zucchero, burro anice e buccia di limone grattugiata cuoce con il suo uovo in forno per circa mezz’ora.

Il Cavagnetto, ovvero cestinetto, è considerato il dolce pasquale tipico del Comune di Brugnato in quanto un tempo veniva preparato il giorno della vigilia e portato in chiesa dai bambini per la benedizione, quindi mangiato in famiglia il giorno successivo.

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Italia blindata fino a dopo Pasqua. Nonostante questo la voglia di pensare al dopodomani è più forte, e già si cominciano a fare previsioni per le riaperture. Con la fine dell’emergenza però non tornerà immediatamente tutto come prima, nè a livello territoriale, nè per tutte le attività lavorative. Si prevede una graduale riapertura delle imprese, ma per negozi, aziende, ristoranti, bar e pub ci vorranno ancora settimane e bisognerà osservare alcune misure di contenimento per molto, molto tempo. 

Difficile dare una data certa per vedere rialzate le serrande italiane. Nonostante il previsto futuro attenuarsi delle misure di contenimento e la possibilità di usare lo “stop and go” degli inglesi, le prime attività a riaprire potrebbero essere quelle della filiera alimentare e farmaceutica, mentre in fondo alla lista rimangono i luoghi che creano assembramento come pub, discoteche, sale eventi, bar e ristoranti. E anche quando verranno riaperti, norme straordinarie rimarranno in vigore per molto tempo ancora, tra cui il famoso metro di distanza tra i clienti e servizio al tavolo. 

Anche la domanda, a quel punto, sarà profondamente modificata nella struttura psicologica e nella capacità economica; sarà diversa e limitata ai confini nazionali, crescerà gradualmente, soprattutto in ambito internazionale, mentre i segmenti e i canali di vendita classica si stanno già modificando. E come e quanto cambieranno la percezione del benessere, le esigenze, i consumi dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? 

Come, in sintesi, e da dove si ripartirà per ricostruire la nostra Italia? E come la Ristorazione deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali in cucina come nella vita? 

Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono 7 Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Sandro Serva, Patron – La Trota dal ‘63, Rivodutri (RI) – 2 stelle Michelin

I consumi seguiranno di più la bussola della qualità e dell’autenticità del prodotto. Prevedo una crescita della spesa a dettaglio da parte delle famiglie, ma anche il mondo della ristorazione non si sottrarrà a questa tendenza, anzi ne sarà uno dei principali promotori. 

Smetteremo di parlare di percezione e inizieremo a parlare di “primato del benessere” in tutte le sue declinazioni, in nome di un principio-guida, quello della prevenzione. Cibo e alimentazione ne sono e ne saranno i simboli più rappresentativi. 

La fisicità fa parte del nostro modo di interagire, è un tratto caratterizzante della nostra italianità. Per qualche tempo, dovremmo metterla da parte. L’allenamento di queste settimane è duro, ma sono certo che quando ripartiremo saremo in grado di rivalutare alcune attitudini e gesti comportamentali che spesso abbiamo lasciato indietro, anche con i nostri più vicini e storici collaboratori, colleghi e clienti. 

Il turismo esperienziale sarà la chiave per ripartire. Ma questa volta dobbiamo farlo mettendo al centro l’ambiente, costruendo un modello di sostenibilità in grado di dialogare con tutte le altre sfere dello sviluppo economico. Il mondo dell’enogastronomia non deve rimanere indietro, ma cercare nuove e costanti sinergie con il territorio e i servizi turistici sostenibili che esso può offrire. Qui il lavoro di squadra farà la differenza. 

Come reagirà il mondo gourmet? I clienti gourmet non avranno timori a fare spostamenti o a spostarsi, ma crescerà anzitutto attenzione e sensibilità su tutti gli aspetti, ovviamente anche quelli legati alla sicurezza. Spetta a tutti gli operatori gourmet farsi trovare pronti: tavoli distanziati si ma non vorrei vedere personale di sala con la mascherina. Ovviamente ci adegueremo se necessario! Il primo ingrediente di qualità rimane l’ospitalità, unica quella italiana. 

Quando inciderà sulla ristorazione classica la vendita all’online?Inciderà più di prima, soprattutto nel breve periodo e soprattutto nelle metropoli dove ci sono sistemi e procedure più organizzate. Ma l’alta ristorazione non verrà toccata da questo processo, seppure già offre servizi di qualità anche in questo campo. La nostra azienda per esempio da tempo organizza banchetti e cene a domicilio ma tutto viene realizzato in loco con cotture espresse: non possiamo permetterci di stravolgere la nostra cucina portando cibi già precotti

Come si rimetterà in piedi la nostra Italia?Ci vuole tempo. Un anno e poco più per riorganizzarsi e ripartire, dobbiamo ricavare il bene da questo male. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, ma serve onestà intellettuale e memoria: anche nel nostro settore alcune mode estemporanee hanno generato, spesso tra i giovani, illusione e falsi miti. Questi ultimi faranno più fatica a ripartire e dovranno mettersi in discussione se vogliono diventare competitivi. La mia generazione ha sfidato ingenuamente la natura e oggi sta perdendo. Chiedo alla nuova generazione di convivere con essa, costruendo un futuro migliore. Io sono molto fiducioso. Viva l’Italia! Viva la cucina italiana ! 

Gabriele Muro, Executive Chef – ADELAIDE al Vilòn, Roma

Oggi, come in tutto il pianeta, il ristorante Adelaide al Vilòn è fermo. Si cerca però di non restare fermi con la mente, studiando nuove soluzioni per quando si ripartirà. Sono sicuro che tutto questo sconvolgerà per sempre la ristorazione italiana ma noi chef, ristoratori, camerieri, abbiamo il dovere e, quindi dobbiamo essere pronti, di rilanciare le attività di ristorazione, più carichi che mai. 

Saranno tutte nuove aperture, è per questo che sarà una seconda occasione,  per poter magari aggiustare il tiro e migliorare, allargare la propria fascia di mercato, aprirsi ad orizzonti magari sottovalutati. Di sicuro la strada è in salita, sarà dura e ricca di ostacoli, ma ricordiamoci sempre che noi abbiamo il vantaggio di vivere nel Paese più bello del mondo, dove da sempre la cucina e il cibo sono al centro della vita. 

Quindi quando tutto questo passerà, ritorneremo ad essere “invasi” da viaggiatori curiosi affamati della cultura del nostro amato Paese più che mai, perché puoi fare a meno di visitare altri posti, ma l’Italia no. E poi ci siamo noi, gli italiani, che tanto abbiamo amato cucinare a casa in questi giorni ma che desideriamo anche tanto tornare a mangiare fuori, a vivere un’esperienza al ristorante con lo stesso spirito di un viaggio: curiosità ed emozioni, il sapore della vita. 

Angelo Lucarella, imprenditore – Pasticceria Le Gourmandise, Bari

Non è un momento facile per tutti noi, ma dobbiamo essere fiduciosi. In questi giorni il più grande obiettivo deve essere quello di sconfiggere il “nemico” e tornare alla normalità. Quando tutto sarà passato avremo tanta grinta e i nostri clienti, sono sicuro, non ci faranno mancare il loro supporto tornando a gustare la nostra pasticceria da banco.

Qualche preoccupazione in più ci viene dal catering per cerimonie. Per esempio, quando ripartiranno matrimoni ed eventi? In tanti stanno decidendo di rinviare le proprie feste al 2021 e il nostro settore potrebbe soffrire: noi guardiamo oltre perché dopo la pioggia arriva sempre il sole. Siamo sicuri che la gente tornerà a festeggiare e noi ad accompagnare i loro momenti di gioia. Finirà presto. Da parte nostra un piccolo contributo alla risoluzione del problema: stare a casa; facciamolo e tutto, presto, ricomincerà e sarà più bello di prima.

Cristiano Iacobelli, chef – micro birrificio artigianale Atlas Coelestis, Roma

Sarebbe bello pensare che queste difficoltà ci possano donare la forza di migliorare ma non ci credo fino in fondo. Sarà un post pandemia critico per molti, si ridisegnerà il tessuto sociale e si vedrà ancor più marcatamente il divario tra chi potrà continuare a vivere con la consueta normalità e chi non lo potrà più fare. 

Comunque vada questo momento metterà a disposizione di tutti nuovi strumenti per valutare la vita a 360 gradi. Enogastronomia e turismo sono da sempre un pilastro della nostra economia, e penso che soprattutto il turismo dopo un periodo di difficoltà riprenderà la sua performance solita; la ristorazione e l’enogastronomia non legata al turismo per intenderci bisognerà adeguarsi alle nuove esigenze di un popolo colpito duramente che avrà forse nuove priorità con cui confrontarsi.

Se per gourmet si intende per mondo la ricerca da parte del consumatore del “buono pulito e giusto” questa non potrà che premiare chi in questi anni ha investito tempo risorse e cuore nel proporre già tutto questo perlomeno lo spero perché sarà per noi l’unica speranza di salvezza professionale.

Dovremo poi valutare attentamente la situazione, capire la tendenza e forse destinare qualche risorsa anche per questi canali online e delivery, ma onestamente penso che questo potrà continuare a funzionare per alcuni micro settori della ristorazione, perchè il fascino di una cena non può essere sostituito e il ristorante dovrà tornare ad essere un momento di gioia svago e perché no, di cultura.

Per noi la strada, da questo punto di vista, era già tracciata. Da tempo scrivo sui miei menù la sintesi di ciò che cerchiamo di essere “sapore, sostanza, sentimento, ricerca, pensiero, semplicità” e questo non è uno slogan pubblicitario, se abbiamo lavorato bene in passato il futuro ci verrà incontro perché per noi ieri era già domani.

Giuseppe Marchese, Direttore Generale di Ragosta Hotels Collection – Palazzo Montemartini Rome, A Radisson Collection Hotel + Hotel Raito e Relais Paradiso a Vietri sul Mare + La Plage Resort a Taormina

Il momento che stiamo attraversando dobbiamo necessariamente viverlo come un’occasione per guardare al futuro e dovremo investire tutte le nostre energie per interpretare le nuove esigenze dei nostri ospiti. 

Le nostre destinazioni rappresentano per antonomasia il nostro Paese – Roma, la Costiera Amalfitana, Taormina – e ripartiremo proprio da questo. 

Sarà la chiave che ci permetterà di far tornare in Italia quanto prima il mercato internazionale: la bellezza inconfondibile di location uniche, l’attenzione nella scelta delle materie prime e l’impegno di tutti, abbiamo già tutto quello che serve per far si che quando sarà il momento, sarà più bello di prima.

Chiara Magliocchetti, imprenditrice – Pianostrada – Pizza Amerina, Roma

Nel giro di poche ore, nel giro di pochi attimi si è passati dal rumore fragoroso delle chiacchiere dei clienti, dai profumi invadenti pieni di golosità al totale silenzio, alle luci spente. Ristorazione sospesa in attesa del rientro in gioco della “normalità”. Che nulla sarà come prima ce l’abbiamo ben stampato nella nostra mente.

Quando arriverà il momento della riapertura per i ristoranti? La strada sarà ancora lunga e piena di slalom tra minuziosi ostacoli. Dovremo esser pronti a muoverci in un nuovo scenario che ci spingerà ad un compromesso tra la realtà economica e l’importanza di mantenere la propria identità.

Gli italiani avranno belle energie da utilizzare, ma con un chiaro filtro economico e, alla nostra riapertura dovremo fare i conti con una parte mancante, l’energico turismo enogastronomico straniero, per citarne uno, che si affaccerà timidamente almeno verso il prossimo settembre.

Restare uniti. Questo è il semplice imperativo. Non perdere l’entusiasmo , che è ciò che da la carica a questo lavoro ed e’ ciò che questo lavoro ti restituisce. L’Italia tornerà a spendere e dovremo dare vitalità alle nostre materie prime, ai nostri artigiani con il valore del loro lavoro, filosofia da noi già adottata nel nostro piccolo. La spinta sarà tutta per riaccendere il motore del nostro Paese.

Per muovermi con ottimismo in uno scenario spettrale, direi che potremmo prendere questa occasione per ottimizzare le nostre possibilità, per imparare a tirar fuori il meglio di noi. Il Governo dovrà fare la sua, sostenendo le Nostre attività per non vanificare le famose energie che sostengono il famoso entusiasmo. Di tempo ne servirà, ma noi, pazientemente, ci ricostruiremo.

Luca Mastracci Pupillo, imprenditore e Pizza Chef – Pupillo Pura Pizza, Frosinone e Priverno (LT)

Io non sono made in Italy, di più, sono made in Ciociaria, made in Agropontino, e appena  saremo pronti per tornare alla normalità, si procederà su questa strada. Credo che sia proprio in momenti come questi che si evidenzia quanta forza ci sia nel nostro Paese, quanto sia importante il nostro Made in Italy e quanto valgano i nostri artigiani. 

Andare a comprare un prosciutto o un formaggio estero per me non ha mai avuto molto senso perchè abbiamo prodotti straordinari sotto il naso ma, in questo momento, ne ha ancora meno.  Quando tutto tornerà alla normalità, tutti dovremmo necessariamente tornare a lavorare con il nostro territorio, rifornirsi dagli artigiani locali che si stanno trovando in grande difficoltà  per ripartire e riattivare in modo sano l’economia italiana.

In questo periodo di “crisi” io sto riscoprendo la falia, un pane antico di Priverno, il nome deriva dal nome della signora che lo produceva e sfornava, la Signora “Lia””. La notizia della bontà del suo pane-pizza si sparse presto e, a chi chiedeva “chi lo fa questo pane”, la risposta era “lo-Fa-Lia”; da lì “FaLia”.

In questo momento ho attivato una doppia produzione, in pizzeria e per le persone che non possono permettersi molto alle quali lo distribuisco gratuitamente. Ecco, la riscoperta della tradizione e la solidarietà concreta sono le vere vocazioni di questo momento.

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