Sara De Bellis

Mese: Gennaio 2022

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La Wagyu arriva a Roma per farsi conoscere attraverso la “Wagyu Week” nei Ramen Bar Akira.

L’evento diffuso in Italia è promosso dal Governo Giapponese e propone la grande eccellenza dei prodotti della Wagyu Company a piccoli prezzi per regalare al mondo i sapori dei tesori culinari nipponici.

Un progetto extra-ordinario quello voluto dal Governo del Giappone per promuovere la cultura e la valorizzazione dei prodotti enogastronomici nipponici in trenta locali in tutta Italia. A Febbraio infatti, grazie al supporto economico giapponese, che vuole svelare al mondo i propri tesori culinari, proseguono le “Wagyu Week” e sarà possibile assaggiare e conoscere la pregiatissima carne Wagyu a prezzi eccezionali nei “locali ambasciatori”: i Ramen Bar di Akira sono tra questi.

Nei Ramen Bar Akira sarà infatti possibile assaggiare carni rarissime da trovare in Italia, quelle della Wagyu Company, il rivenditore certificato di Wagyu di Kobe, Wagyu Ozaki (prefettura di Miyazaki) & Wagyu di Kyushu.

Quando c’è e come funziona la Wagyu Week da Akira?

Durante le due settimane di Febbraio (dal 14 al 21 e dal 21 al 27 febbraio 2022) in ogni locale di Akira Yoshida (ovvero i “Ramen Bar Akira” a Roma – Ostiense, Fontana di Trevi, Termini – Fiumicino e Torino) ha pensato una speciale carta di fuori menu a metà prezzo che annovera piatti come il Kakuni special edition Wagyu, Wagyu Teppanyaki, Wagyu Yakiniku, Wagyu Ramen, Wagyu Bun, unitamente all’assaggio gratuito della carne Wagyu giapponese dell’allevamento Ozaki di Hitokuchi Wagyu.

La Wagyu Week sarà un progetto itinerante che per Febbraio movimenterà con tante sorprese tutti i Ramen Bar Akira a Roma e a Torino.

Nelle settimane sopraindicate, i “Ramen Bar Akira” ospiteranno anche il sushi man Koji Nakai che a cena preparerà i tradizionali nigiri di carne Wagyu, una specialità di Kobe, sua terra di origine.

Gli appuntamenti delle Wagyu Week

Dal 14 al 21 febbraio

  • Ramen Lab Akira – via in Arcione 71 (Roma)
  • tel. 06 6401 4602 (gradita prenotazione)

Dal 14 al 21 febbraio

  • Ramen Bar Akira & Cerulli Sushi – via delle Ombrine 17 (Fiumicino)
  • tel. 06 8913 3828 (gradita prenotazione)

Dal 21 al 27 febbraio

  • Ramen Bar Akira – via Ostiense 73 f (Roma)
  • tel. 06 8913 3841 (gradita prenotazione)

Dal 21 al 27 febbraio

  • Ramen Bar Akira – corso Vittorio Emanuele 29 (Torino)
  • tel.  011 699 4576 (gradita prenotazione)

Si, ma che cosa è la Carne Wagyu?

Wagyu è una parola composta formata da due ideogrammi giapponesi: “WA” (和), che significa Giappone, e “GYU” (牛), che vuol dire manzo. Il suo significato finale è quindi “manzo giapponese”. Indica determinate razze di manzo giapponese che, grazie al DNA rimasto puro nei secoli e metodi di allevamento molto particolari, vantano una carne naturalmente ricca di grasso intramuscolare (le venature del grasso nella carne danno vita alla cosiddetta marezzatura) molto aromatica, dolce e, difficile da credere, salutare

Molti pensano che la carne di wagyu sia solo di Kobe, ma non è proprio così: il manzo di Kobe non rappresenta tutta la carne wagyu ma ne è una sottocategoria, ossia bovini di razza wagyu selezionati allevati a Tajima.

La wagyu, quindi, non è altro che una categoria di manzo giapponese all’interno della quale possiamo trovare tante tipologie di carne derivanti da animali allevati in zone diverse del Giappone, come ad esempio la Kobe, la Ozaki o la Kyushu.

Cos’è il grado di rendimento della carne?

Il grado di rendimento A / B / C indica quanta carne può essere consumata rispetto al peso della carcassa. Il mercato presenta 3 classi di rendimento: la classe A è quella con massimo rendimento e la C quella con scarsa resa (tanto grasso superficiale). Attenzione a non fraintendere, non si sta parlando di gusto né di qualità, ma di resa. Il motivo per cui la classe A costa di più e la C costa di meno è che, alla fine, con la classe C lo scarto è maggiore. La classe non impatta sul sapore della carne.

Come si determina il grado di qualità della Wagyu?

Il giudizio si basa sull’incrocio di quattro elementi: grasso (grado di marmorizzazione, BMS) colore della carne, compattezza (consistenza), colore e qualità del grasso. Tutti e quattro gli elementi vengono valutati su una scala da 1 a 5, dove 1 è il punteggio minore e 5 il maggiore. Il grado finale della carne sarà equivalente al punteggio più basso tra i quattro elementi.

Che cos’è il grado di marezzatura?

La marezzatura è l’infiltrazione e distribuzione di grasso all’interno del tessuto muscolare animale. Sono quelle piccole venature e chiazze di grasso bianco che si vedono (da crude), ad esempio tra le fibre rosse della carne nelle bistecche di più alta qualità.

Più alta è la percentuale di tessuto grasso contenuta, maggiore è generalmente considerata la qualità. Inoltre, la marezzatura è di per sé sinonimo sia di qualità della carne, sia di un’ottimo processo di allevamento.

La quantità e qualità di striature di grasso fine tra le fibre rosse di carne. Con una marmorizzazione inferiore a 6 la carne non è premium wagyu e non può essere Kobe gyu, Ozaki gyu, o Kyushu gyu. Classificata da 6 a 12 è premium wagyu.

Wagyu Company: il meglio certificato dal Giappone

Wagyu Company è il rivenditore certificato di Wagyu di Kobe, Wagyu Ozaki (prefettura di Miyazaki) & Wagyu di Kyushu. Tra i partner c’è il prestigioso Ozaki Gyu che esporta la Wagyu allevata da Mr. Ozaki, guru dell’allevamento, l’unico allevatore che ha innovato la tecnica di allevamento a tal punto da meritarsi una “DOP” a suo nome. 

Tutte le carni di Wagyu Company hanno ben indicato il luogo di macellazione su ogni etichetta. Tutte le carni consegnate da Wagyu Company sono sempre tassativamente accompagnate da un certificato di origine e provenienza che ne attesta zona di crescita, macellazione e il grado di marezzatura. Il certificato è emesso direttamente dal Giappone. La qualità è garantita dalla Japan Beef Association.

L’allevamento Ozaki

In Giappone ogni prefettura ha la sua carne Wagyu, un po’ come in Italia ogni regione ha il suo vino. La maggior parte dei bovini Wagyu Kuroge proviene dalla prefettura di Miyazaki, rappresenta un’area molto preziosa e qui troviamo una delle wagyu migliori del Giappone, la Ozaki beef, carne di manzi Kuroge allevati dal Muhenaru Ozaki san in una fattoria a un’ora e tre quarti di volo da Tokyo. 

La Japanese Wagyu Association gli ha conferito un riconoscimento per le innovazioni e la qualità dei suoi allevamenti, ha permesso quindi a Ozaki san l’uso del proprio nome per identificare la Wagyu Ozaki. Oggi infatti Ozaki san è l’unico allevatore in tutto il Giappone a poter dare il nome alla propria carne (normalmente il nome dall’allevatore non compare, risulta solo il nome della zona dove crescono gli animali) e Wagyu Company è il distributore esclusivo per l’Italia di questo fenomenale produttore. 

Ozaki san è famoso nella prefettura di Miyazaki come maestro per la capacità di individuare i vitelli migliori. Nascono da “famiglie” che possiedono un determinato pedigree, però, solamente il 10% circa di loro viene giudicato perfetto da Ozaki san. Li acquista al mercato di Miyazaki, dove vengono venduti e acquistati vitelli di 8-10 mesi di età. Questo è il punto di partenza imprescindibile per poter allevare Wagyu di alta qualità: la scelta di esemplari con pedigree migliore, grasso di ottima qualità e bassa temperatura di fusione. 

Ozaki san osserva attentamente la qualità del pelo del vitello, la distanza tra gli occhi, la dimensione e la forma delle orecchie e la forma della coda. Inoltre, il vitello deve essere nato da una vacca madre Tottori ushi (vacca wagyu della prefettura di Tottori ) di circa 800 kg e da un manzo padre Tajima ushi (Toro di Kobe) tra i 600 e i 650 kg. Con questo pedigree, il vitello diventerà un manzo con una corporatura forte, un fisico massiccio e la sua sarà una carne saporita e gustosa (eredità del Tottori-gyu) con un grasso dolce che si scioglierà in bocca (eredità del Tajima-gyu).

Altro elemento fondamentale che contraddistingue l’allevamento di Ozaki san è la modalità di crescita e allevamento con una precisa filosofia: non bisogna forzare la natura.  A differenza di molti altri allevatori di Wagyu che acquistano mangimi preconfezionati ad alto contenuto calorico, con lo scopo di ingrassare le mucche e massimizzare la marezzatura, nella fattoria Ozaki il mangime che viene somministrato agli animali mattina e sera, viene preparato in modo molto meticoloso tramite un processo che richiede circa due ore per ogni pasto composto da mosto di birra, lievito di birra, mais, orzo, grano, soia, kinako (farina di soia tostata), bucce di soia, corteccia di frumento, corteccia d'orzo, polvere di carbone “binchotan” (carbone giapponese di alta qualità)e alghe, senza conservanti e antibiotici. 

Leggende a tema Wagyu

Quanto alle varie leggende che gravitano attorno alla carne di Wagyu, Ozaki san assicura che non fa ascoltare Mozart ai suoi animali, non gli dà birra da bere, non li massaggia e non gli fa la doccia calda.

Le uniche cose vagamente legate a queste credenze che riguardano la sua fattoria sono il mosto e il lievito di birra nel mangime e la spazzolatura del manto che viene effettuata ogni tanto, con l’unico scopo di togliere il pelo in eccesso, dato che ne perdono molto nei cambi di stagione. Ciò che è sicuro, è che questi bovini crescono in un ambiente estremamente pulito, protetto e rilassante, elemento fondamentale per evitare che lo stress vada a inficiare il gusto della loro carne.

Sapore e Frollatura

La carne Wagyu Ozaki viene macellata e fatta frollare per 3 settimane in una condizione chiamata “wet aging”. Viene mantenuta in umido a 3 gradi centigradi per 3 settimane, il tempo necessario alla carne per sviluppare umami e accentuare ulteriormente il caratteristico sapore della Wagyu Ozaki: pieno, elegante, non opulento.

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Partiamo dai numeri, ripartiamo dall’Italia, che si conferma essere il Paese più desiderato dal punto di vista turistico per la qualità della vita, la sua enogastronomia, l’arte, l’ottimismo, la creatività e la capacità di inventiva del suo popolo.

Tra dati, studi e statistiche, l’enoturismo ci incorona al primo posto al mondo: come intercettare questo business? Capiamo insieme quali sono gli scenari, gli sbocchi e i rabocchi.

Enoturismo: cos’è esattamente?

L’enoturismo è una forma di turismo tematico che pone al centro dell’attenzione il vino e la sua filiera vitivinicola di produzione. Il nostro Paese vanta realtà di assoluto pregio a livello nazionale e internazionale oltre ad un territorio estremamente vocato e legato all’enologia, peculiarità italiane che rappresentano una grande potenzialità dal punto di vista del turismo del vino.

La tendenza si è sviluppata in Italia circa 25 anni fa grazie soprattutto al lavoro di promozione svolto da alcune associazioni, in particolare da: Città del vino (1987) e il Movimento del Turismo del Vino (1993).

Chi è l’Enoturista?

Se in passato il turismo del vino poteva essere visto più come un segmento di nicchia, oggi è divenuto un’ attrattiva per un pubblico ampio composto sia da esperti e professionisti sia da appassionati e curiosi.

L’enoturista è infatti colui che, per comprendere al meglio le caratteristiche peculiari del vino degustato, ne studia a fondo il territorio di provenienza attraverso l’esplorazione dei sapori e dei profumi, delle tradizioni e dei costumi propri dei luoghi di produzione.

L’enoturismo, qui inteso come esperienza in cui la degustazione di vino si abbina alla conoscenza della cultura e delle tradizioni di una regione a vocazione vitivinicola, ha consentito agli amanti del vino di entrare in cantina, stringere rapporti diretti ed esclusivi con i produttori, trasformare in esperienza personale e autentica la conoscenza di un prodotto dalle mille sfaccettature come il vino.

L’enoturismo è un’esperienza personale di esplorazione, degustazione e scoperta.

Il prodotto tipico diventa occasione per conoscere e valorizzare un territorio e favorirne lo sviluppo, in un panorama contemporaneo in cui il turista non richiede più soltanto di degustare il prodotto, ma desidera anche entrare in contatto con il luogo dove questo viene realizzato, per scoprire la sua storia e le sue origini più genuine.

Perchè l’ITALIA?

L’Italia è il Paese più desiderato dal punto di vista turistico per la qualità della vita, l’ottimismo, la creatività e la capacità di inventiva del suo popolo.

Secondo l’indagine di IPSOS (società che si propone la comprensione totale di mercati, società e persone attraverso indagini e statistiche) a fare la differenza è proprio l’offerta enogastronomica la quale, a braccetto con moda e arte, è considerata espressione del Made in Italy all’estero: il Belpaese è infatti primo tra le mete più golose nel mondo (49% degli intervistati), seguito a distanza da Francia (22%) e Giappone (16%).

L’Enoturismo in Numeri

Il “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019” indica che il 56% dei turisti italiani ha visitato una cantina nel corso dei loro più recenti viaggi, e il 44% ha partecipato ad un evento o festival a tema. Alto è pure il numero degli enoturisti, ossia chi è stato motivato a viaggiare per partecipare ad un’esperienza a tema, che è pari al 28% dei turisti italiani.

Nello stesso anno, secondo i dati dell’ENIT, l’Agenzia Nazionale per il Turismo, parlava dell’Italia come il terzo paese più visitato al mondo con 94 milioni di presenze, mentre il turismo del vino conta circa 3 milioni di turisti l’anno con un giro d’affari di circa 4, 5 milioni. Secondo gli studi, il mese prediletto è maggio e la somma che i turisti si concedono è di circa 150 euro al giorno.

Turista italiano e Turista straniero: quali le differenze?

L’enoturista ha generalmente tra i 30 e i 50 anni e ama “evadere” dalla città per rifugiarsi in un’ esperienza differente. Ma l’enoturista italiano ha un diverso modo di concepire il viaggio rispetto all’enoturista straniero: l’italiano preferisce organizzarsi da sé l’itinerario dedicando ad esso un solo giorno o al massimo due.

L’enoturista straniero, invece, preferisce affidarsi a tour operator specializzati e concedere a questo tipo di esperienza almeno 3-4 giorni. I paesi stranieri maggiormente interessati al turismo del vino sono Germania e Stati Uniti, ma anche Brasile, Australia e Cina. Una recente indagine ha inoltre evidenziato come il turista del vino oggi si definisca prevalentemente “amante” o “curioso” del vino. (Dati percepiti da rivistadiagraria.com)

Le basi del primato dell’enoturismo italiano secondo Bounce e le previsioni post pandemia

Anche Bounce, la società internazionale di indagini e statistiche, non è rimasta fuori da coro anzi, ha colpo l’occasione per elaborare una analisi delle destinazioni enoturistiche effettuando una valutazione in base al suo “Wine Lovers Index”.

Il dato che sorprende (e rincuora) maggiormente è che i cambiamenti indotti dalla pandemia non hanno intaccato, ma anzi, hanno consolidato la tendenza a prediligere vacanze orientate alle dimensioni enogastronomiche più disparate.

Altro dato importante emerso dallo studio è che gli italiani che hanno abbracciato il turismo di prossimità a causa delle restrizioni agli spostamenti internazionali, continueranno il loro viaggio alla riscoperta del territorio nostrano e delle sue eccellenze, mentre gli stranieri,nell’attesa di una piena mobilità, continueranno a sognare le nostre destinazioni come viaggio ideale.

In ogni caso l’enoturismo si candida a divenire un volano per l’Italia che dovrà prepararsi a cogliere appieno questa grande opportunità, di fronte ad un pubblico sempre più consapevole e attento alle tematiche della sostenibilità, pronto a premiare i territori in prima linea nella difesa dell’ambiente, contribuendo con la sua presenza alla valorizzazione delle risorse locali.

L’indice prende come riferimento fattori quali il consumo e la produzione di vino, il numero di vigneti, i tour delle cantine, il costo medio di una bottiglia di vino, elementi cui gli appassionati danno grosso peso e che quindi incidono nella pianificazione della vacanza perfetta.

Il massimo punteggio è stato riconosciuto all’Italia per diversi motivi. In primo luogo ha pesato la sua ricchezza ampelografica: non esiste paese al mondo che abbia una varietà di autoctoni eguagliabile (400 secondo lo studio): ogni regione esprime i suoi vitigni unici, offrendo un ventaglio di proposte che possono incontrare i gusti più disparati.

Anche il primato nella produzione è significativo (0,82 lt per persona) ottenuto secondo Bounce grazie ad una solida tradizione vitivinicola che parte da molto lontano (4.000 anni di esperienza), ad un clima, quello mediterraneo, particolarmente favorevole, e alla fertilità dei suoli; componenti che sono alla base di produzioni in equilibrio tra quantità e qualità.

Quali sono le proposte a tema enologico più richieste?

L’attività cult dell’enoturismo è sicuramente la degustazione dei vini preceduta dalla visita della cantina in cui avvengono tutti i processi volti a ottenere il prodotto finale che poi si andrà a degustare: vendemmia, appassimento dell’uva, imbottigliamento, etichettatura. Non meno importante risulta essere inoltre la visita e l’esplorazione dei vigneti e l’assaggio dei prodotti tipici. 

Numerose sono le aziende vitivinicole offrono degustazioni, visite guidate, ristorazione e alloggio andando così a soddisfare questa crescente richiesta, percepita, spesso e purtroppo, ancora come omogenea. Se gli appassionati del genere desiderano vivere un’esperienza di turismo del vino a 360°, le cantine dovranno quindi segmentare la propria offerta e creare un posizionamento distintivo sul mercato. Da questa angolazione l’emergenza sanitaria in corso, nonostante i numerosi riflessi negativi, può essere anche un momento utile per sviluppare una riflessione in tal senso.

Su cosa puntare per potenziare la propria offerta?

La degustazione dei vini e l’acquisto degli stessi a prezzi interessanti sono le esperienze più ricercate, ma dalla ricerca si evince un forte desiderio di una offerta più ricca, con l’assaggio di piatti ricercati in abbinamento alle produzioni dell’azienda, quindi di attività come fare degustazioni al tramonto e cenare nei vigneti.

Molto gradite risultano anche essere la vendemmia turistica, i trattamenti di benessere e attività sportive, artistiche e di rilassamento psico-fisico, oltre alla possibilità di trovare attività dedicate ai bambini. Ciò denota un chiaro desiderio di vivere e sperimentare la cantina attraverso modalità nuove e più coinvolgenti.

Turismo Enogastronomico: il punto di vista di GOOGLE

Sulla attrattività della nostra penisola arrivano conferme anche dall’analisi di Google Destination Insights: l’Italia è in cima alla lista delle mete gourmand.

Nelle tendenze di ricerca su Google, ha registrato un interesse in crescita tra gennaio e ottobre 2021, il “tour enogastronomico” che segna un +39%, mentre quella relativa alle cantine mostra un altro +30%.

Google però avverte: se da un lato il turismo di prossimità rappresenterà un trend sempre più consolidato a livello globale, nell’organizzazione di una vacanza ad essere messa al centro sarà anche la sostenibilità, considerata valore molto importante dall’83% dei viaggiatori.

La scelta della destinazione diventa quindi una sorta di riconoscimento ai territori e alle aziende che operano per uno sviluppo armonico, nel rispetto della tradizione e della cultura locali. Realtà che creano e attivano, laddove possibile, nuove sinergie, opportunità. professionali e nuove reti tra persone.

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Parliamo del “Bonus birra artigianale a fondo perduto”, la domanda si presenta dal 20 gennaio al 18 febbraio 2022: di seguito i requisiti per l’istanza, le specifiche del contributo e il modulo per l’iscrizione.

Il mondo brassicolo è in continuo fermento, soprattutto il suo comparto artigianale, fatto da birrifici e microbirrifici (quasi 1000), tutti produttori indipendenti, che non pastorizzano né microfiltrano il loro prodotto. L’aiuto, messo a disposizione dal ministero dello Sviluppo Economico, è rivolto proprio a loro e consiste in un contributo a fondo perduto che si chiama “Bonus birra artigianale”.

Aprendo un piccolo flash-back al 2020, il comparto artigianale stava allora vivendo un periodo di vero e proprio sviluppo (e di consolidamento degli importanti traguardi raggiunti), insomma era un vero e proprio settore in espansione.

Un biennio incompiuto quello 2019/20, da molti definito la “primavera della birra”, una fioritura di vitalità del valore di quasi 10 miliardi di euro (9.483 milioni di euro), che dava lavoro a 108 mila famiglie (+18% rispetto al 2017), con contributi versati allo stato per 4,5 miliardi di euro (+8% in 3 anni). A partire da marzo e con il lock down è arrivata la “gelata” con una perdita di circa 21.000 posti di lavoro lungo l’intera filiera in appena 6 mesi. (fonte QUI)

A chi è rivolto il Bonus Birra 2022 e cosa prevede?

Il sostegno è destinato ad aiutare economicamente i birrifici artigianali.

Il bonus birra artigianale consiste in un contributo a fondo perduto messo a disposizione dal Mise (con uno stanziamento di 10 milioni di euro) e previsto dal decreto Sostegni bis. L’obiettivo è quello di dare un aiuto economico al comparto brassicolo italiano che è stato particolarmente colpito durante la pandemia.

L’agevolazione prevede un contributo a fondo perduto pari a 0,23 centesimi per ciascun litro di birra artigianale prodotta e presa in carico nel registro annuale di magazzino nel 2020 o nel registro della birra condizionata. I dati sono quelli presentati dai microbirrifici e dagli esercenti delle piccole birrerie nazionali all’Agenzia delle accise, dogane e monopoli.

Si tratta di un bonus per aiutare un settore giovane, che “è riuscito a valorizzare un’arte antica legata al territorio e alla qualità dei prodotti”, ha dichiarato il ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti.

Vediamo quali sono i requisiti per avere accesso al bonus, a quanto ammonta il contributo e quali sono le modalità di presentazione della domanda.

Bonus birra artigianale: i requisiti necessari per accedere al contributo

Per birra artigianale si intende la birra prodotta da birrifici indipendenti, e non sottoposta a processi di microfiltrazione e pastorizzazione.

Il contributo potrà essere richiesto a partire dal 20 gennaio dai birrifici in possesso dei seguenti requisiti:

  • devono utilizzare impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio;
  • devono essere economicamente e legalmente indipendenti da un altro birrificio;
  • non devono operare sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale di altri.

Per la domanda va compilato il modulo che è possibile scaricare cliccando sul link:

Tempistiche: entro quando inviare la domanda?

Le istanze possono essere inviate a partire dalle ore 12:00 del 20 gennaio fino alla scadenza delle ore 12:00 del 18 febbraio 2022. Le domande vanno firmate digitalmente dal legale rappresentate e devono essere presentate con posta elettronica certificata (PEC) all’ indirizzo contributobirrifici@pec.mise.gov.it.

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La principale minaccia alla biodiversità è oggi rappresentata dalla cieca azione dell’uomo sulla Natura, dai cambiamenti climatici portati dall’inquinamento, dall’antropizzazione degli ambienti, dalla deforestazione, dai sistemi di allevamento e di agricoltura intensivi, da quelli di distribuzione commerciale e dalla pratica agricola delle monoculture.

In un paese in cui ci si vanta di una Biodiversità unica al mondo, stiamo perdendo i nostri tesori. Ad arrestare questa avanzata ci pensa COLDIRETTI e la Politica dei SIGILLI. Scopriamo cos’è.

Parliamo solo di un secolo fa. Nel nostro Bel Paese si contavano circa 8.000 varietà di frutta. Oggi arriviamo a meno di 2.000, di cui 1.500 sono considerate a rischio di scomparsa. Ma la perdita di biodiversità riguarda l’intero sistema agricolo, dagli ortaggi ai cereali, dagli ulivi fino ai vigneti.

E’ quanto già affermava nel 2019 la Coldiretti nell’evidenziare gli effetti dell’allarme lanciato dalla FAO sulla perdita di biodiversità con ‘Il rapporto sullo Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura”.

Non sono chiacchiere, sono dati, allarmanti dati. E non parliamo di un altro mondo, parliamo del nostro. Di chi è la colpa? Da una parte, sicuramente dei cambiamenti climatici, che hanno visto e vedono l’Italia esposta a lunghi periodi di siccità – cui fanno da contrappunto fenomeni meteorologici estremi, come le alluvioni, la grandine improvvisa, le bombe d’acqua -l’antropizzazione degli ambienti.

Dall’altra ( che pesa molto di più sul piatto della bilancia) sono i moderni sistemi di coltivazione e distribuzione commerciale, le logiche della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) che privilegiano grandi quantitativi, la facilità di raccolta e la standardizzazione dell’offerta.

Nell’ultimo anno e mezzo la rovinosa Pandemia ha aggravato anche questo scenario tagliando sbocchi di mercato per la chiusura del canale della ristorazione e per l’assenza di turisti oltre stivale.

Si tratta in fatti di un apparato fortemente interconnesso, come l’ecosistema in cui viviamo, per cui l’omologazione e la standardizzazione delle produzioni a livello internazionale finisce con il mettere a rischio anche gli antichi semi della tradizione italiana, sapientemente custoditi per anni da generazioni di agricoltori.

Un pericolo che riguarda anche – continua la Coldiretti – la fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale.

Un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. A rischio – denuncia la Coldiretti –la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Un pericolo – secondo la Coldiretti – per i produttori e i consumatori per la perdita di un patrimonio alimentare, culturale ed ambientale del Made in Italy, ma anche un attacco alla sovranità alimentare del Paese.

COME TUTELARE CIò CHE RESTA?

I prodotti coltivati e le razze allevate rappresentano dei veri e propri tesori che la nostra millenaria storia ci ha tramandato e che sta a noi, cittadini del nuovo millennio, valorizzare e preservare.

Cibi legati a doppio filo ai propri territori d’origine, salvati dagli agricoltori grazie ad una capillare operazione di valorizzazione della biodiversità contadina.

Coldiretti e Fondazione Campagna Amica hanno maturato nel tempo l’esigenza di porre attenzione alla tematica della biodiversità di interesse agronomico in primis, ma anche a livello naturalistico, considerando il paesaggio italiano come la principale risorsa del nostro Bel Paese.

Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che il patrimonio enogastronomico italiano, così come la ricchezza naturale dei sui territori, ha dei custodi che da sempre vivono e lavorano a contatto con la natura e curano i prodotti della terra: gli agricoltori. I prodotti coltivati e le razze allevate rappresentano dei veri e propri tesori che la nostra millenaria storia ci ha tramandato e che sta a noi, cittadini del nuovo millennio, valorizzare e preservare.

“I Sigilli” di Coldiretti

Siamo tutti coinvolti nel preservare il patrimonio agricolo italiano.

Sono nati così “i Sigilli di Campagna Amica”, veri testimonial della nostra cultura agricola. Oggi è possibile trovare in vendita nei Mercati di Campagna Amica questi splendidi prodotti che sono stati individuati, già nel 2018, con un primo censimento.

Oltre al prodotto si valorizza anche il relativo custode, l’imprenditore agricolo, a cui va il merito di aver continuato a conservare semi antichi, piante centenarie e razze autoctone legate da secoli alla storia italiana.

“La biodiversità non è solo un valore ambientale ma anche economico ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “la distintività è un motore di sviluppo per le imprese del Made in Italy”. Un valore che la Coldiretti è impegnata a difendere nei mercati e nelle fattorie con i “Sigilli” di Campagna Amica che sono i prodotti della biodiversità agricola italiana che nel corso dei decenni sono stati strappati all’estinzione o indissolubilmente legati a territori specifici ai quali si aggiunge la lista delle razze animali che gli imprenditori agricoli di Campagna Amica allevano con passione. Si tratta – conclude la Coldiretti – in totale di 311 prodotti e razze animali raccolti nel corso di un censimento, curato dall’Osservatorio sulla biodiversità istituito dal comitato scientifico di Campagna Amica.

I primi 311 Sigilli sono stati presentati in un ricco volume, un vero atlante, dal titolo evocativo “I Sigilli di Campagna Amica – La Biodiversità agricola”. In realtà i prodotti così censiti sono stati ben più di 1.100 a cui si aggiungono quelli del secondo censimento (anno 2020) che porta a un paniere di circa 1.500 prodotti da studiare e custodire.

Il nuovo Atlante dei Sigilli di Campagna Amica – la biodiversità contadina vuole presentare le diverse realtà e i variegati prodotti sigilli della biodiversità che ogni giorno migliaia di agricoltori coltivano in giro per l’Italia; dopo una prima parte tecnica in cui vari esperti del settore ci aiutano ad affrontare e approfondire il tema biodiversità da un punto di vista più culturale e un aggiornamento dello studio statistico del 2018 a cura dell’Istituto Ixè sul rapporto degli italiani con la biodiversità, vengono presentati i Sigilli di Campagna Amica del 2020: prodotti rari, antichi e quasi persi.

Sono 107 i nuovi prodotti della nostra biodiversità contadina che vanno sommati ai 311 censiti nell’atlante precedente.

Nel corso dello studio biennale sono risultati 450 “agricoltori custodi”, di cui il 25% sotto i 40 anni. Le aziende condotte da questi imprenditori per il 20% producono con il metodo biologico e il 5% è impegnato in attività di agricoltura sociale ai sensi della Legge 141/2015.

Dei 311 prodotti della biodiversità censiti, il 90% sono presenti sui banchi di vendita diretta dei mercati di Campagna Amica, mentre il 10% può essere acquistato solo in punti vendita aziendali o durante eventi specifici. Il 16% sono frutti, il 44% è rappresentato da ortaggi, legumi e cereali, il 30% da derivati di razze animali che sono rappresentante da 55 razze diverse presenti nei registri e nei libri delle razze, il 3% da miele e prodotti spontanei ad alto valore ecosistemico, ed infine trasformati di olivi e vitigni per un 7%.

Tutto questo rappresenta lo sforzo ulteriore che Coldiretti e Campagna Amica portano avanti per permettere ai cittadini di poter scegliere: un acquisto consapevole, mirato, informato e trasparente. In questo caso, nel nome della biodiversità, perché l’offerta del produttore agricolo viene tutelata dalla scelta di acquisto etico del consumatore.

Come prendere parte all’inversione di rotta?

Se sei un produttore agricolo puoi rivolgerti a Coldiretti per localizzare e valorizzare dei tuoi sigilli della biodiversità contadina cliccando QUI.

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Una pizza in teglia romana, croccante in superficie, ben alveolata, leggera, digeribile, perfetta come base per golose combinazioni di ingredienti o per essere tagliata e farcita come più Vi piace. Realizzarla a casa con la ricetta di uno dei più talentuosi pizzaioli italiani, il bravissimo Luca Pezzetta, sarà un gioco da ragazzi. 

Ha da poco aperto la sua CLEMENTINA a Fiumicino (ne parliamo qui), è dei più celebri allievi di Gabriele Bonci, è stato per tanti anni la colonna gastronomica de l’Osteria di Birra del Borgo a Roma, è stato eletto “Miglior chef pizzaiolo” dalla Guida Identità Golose 2020; parliamo di Luca Pezzetta, l’enfant prodige dei lievitati che, grazie alla sua importante esperienza maturata negli anni e alla sua instancabile ricerca sugli impasti, ci regala una ricetta e dispensa consigli utili per ottenere ottimi risultati anche con il forno di casa.

Da Pizzeria Clementina – in via della Torre Clementina 159 a Fiumicino (RM) – Luca ha messo a punto una proposta di pizza che si divide in tre tipologie: quadruccio romano, padellino e pizza romana.

Tre impasti e tre lieviti madre differenti. Di seguito riportiamo la Ricetta del
quadruccio romano“, ovvero un trancio di pizza romana in teglia che qua diventa un perfetto e soffice palco pronto ad ospitare ghiotte combinazioni di ingredienti, dalle più ardite a quelle più tradizionali.

I CONSIGLI di LUCA PEZZETTA

Oltre alla caratterizzazione di sapore che sceglieremo di dare alla nostra Pizza in Teglia, sperimentare una buona tecnica e, a prescindere dalle competenze di ciascuno, seguire passo passo “una ricetta a prova di alveolo”, può essere sufficiente per realizzare un prodotto a casa che sia altamente digeribile quanto gustoso.

Visto e considerato che la Pizza in Teglia è l’unica pizza che con il forno di casa riesce a dare ottimi risultati, a prescindere dal talento e dalla preparazione sul campo, esistono delle nozioni di base tenere sempre a mente se si vuole realizzare un buon prodotto.

Partiamo dalla scelta delle farine che, oltre i dettami della lievitazione e maturazione, è fondamentale per ottenere il risultato finale desiderato. Non siete sicuri di sapere tutto? Per conoscere di più le farine, cliccate QUI.

Dopodichè sarà fondamentale e/seguire attentamente la ricetta, evitando di improvvisare. Dopo la cottura, altrettanto importante, sarà la scelta dei condimenti. Qui vige una sola regola, quella di non lesinare sulla qualità per garantire, dopo tanto lavoro, un’esperienza ad alto godimento.

La ricetta che segue prevede un companatico di Provola, Cicoria e Porchetta, liberamente tratta dal menu di Pizzeria Clementina.

Ingredienti

1 kg farina forte tipo 0 (ovvero con una W che può variare dai 320 ai 340) / Olio extravergine di Oliva / Sale marino / Lievito di birra fresco / Malto o Zucchero / 380 g farina tipo 1 o tipo 2

Procedimento

Partite con un giorno di anticipo e preparate un preimpasto con 1 kg farina, 1 kg acqua e 1 g di lievito quindi, in un recipiente alto e stretto, sciogliete il lievito nell’acqua e aggiungete la farina. Miscelate tutto con una frusta da pasticceria o con un mestolo fino a ottenere la consistenza della pastella, poi lasciatelo per 18/20 ore a temperatura ambiente dai 18/22 gradi chiudendo il contenitore con la pellicola forata per far passare ossigeno (il contenitore deve essere capiente per poter far raddoppiare di volume il pre-impasto).

Dopo 18/20 ore vedrete che il pre-impasto risulterà raddoppiato di volume e sentirete al naso delle note leggermente alcoliche notando anche delle bolle in superficie. Il nostro pre-impasto a questo punto è pronto.

Versate i 380 g di farina tipo 1 nella planetaria con 20 g zucchero o, meglio, – se lo avete a disposizione –  10 g di malto in polvere. Poi 15 g di lievito e 3/4 del pre-impasto fatto precedentemente. Iniziate a impastare fino a ottenere una massa liscia e omogenea. Una volta ottenuta continuate a versare l’ultima parte di pre-impasto fino a farlo assorbire tutto, realizzando così una massa unica, liscia e omogenea. Aggiungete 35 g di sale con un piccolo goccio di acqua e continuate a impastare fino al suo assorbimento. Una volta assorbito, aggiungete 38 g di olio evo e lasciatelo assorbire bene a sua volta.

Quando si è assorbito tutto lasciate riposare l’impasto in un contenitore capiente coprendolo con della pellicola, altrimenti si secca la pasta. Una volta raddoppiato di volume (impiegherà circa 50 minuti) fate le palline in base alla grandezza della teglia calcolando lato x lato della teglia diviso 2 (per esempio, in una teglia 30×30 mettete 450g di impasto 30×30 diviso 2).

Lasciate le palline nella teglia leggermente oleata coprendole con la pellicola e aspettate che raddoppiano di volume (circa 30 minuti). Una volta raddoppiate, stendetele molto delicatamente portando l’impasto fino ai bordi della teglia e lasciatela lievitare di nuovo in teglia per circa 30 minuti, sempre coprendola con la pellicola da cucina.

Infine, cuocete la teglia sul fondo del forno (al massimo della potenza e ventilato); a metà cottura, quando vedrete che sotto la pasta inizia a diventare cotta, passate la teglia al centro del forno per completare la cottura il superficie. Sfornare e arricchire di condimenti come e più Vi piace.

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La Thuile, nella valle laterale della Valle d’Aosta, è il lato wild del Monte Bianco.
Con i suoi 6 abitanti per kmq, il raccolto borgo di montagna, concede a tutti ampi spazi e la rara possibilità di una riconnessione con la potete natura che diventa elemento energizzante e concede forme di benessere a più livelli, da quello psico-fisico alle Performance sportive ed enogastronomiche.

Oltre ad un’incredibile varietà di sport invernali in fondo all’omonimo vallone, quasi al confine con la Francia, capace di trasmettere forza e armonia, La Thuile rappresenta il lato selvaggio del Monte Bianco, ma è anche il luogo ideale per misurarsi con la natura e con la tavola, infatti l’iniziativa promossa dal Ristorante Les Granges, è declinata in vari appetitosi appuntamenti alla scoperta delle unicità territoriale, fino ad aprile 2022.

SCENARIO GASTRONOMICO

La Thuile, piccolo borgo di alta montagna in Valle d’Aosta, al confine con la Francia, gode di una posizione strategica in termini geografici. Insieme ai centri di Pré Saint DidierLa SalleMorgex e Courmayeur, fa parte della Vallis Digna, il tratto finale della Valle d’Aosta, nonché accesso nel territorio francese attraverso il Colle del Piccolo San Bernardo.

E’ una destinazione dalla vocazione sportiva di fama internazionale, sia per il turismo invernale sia per quello estivo, che è riuscita a mantenere salda la dimensione più vera e pura della montagna, grazie ad un’affiatata comunità che si impegna a preservarne l’ambiente mettendo in atto strategie volte alla sostenibilità e alla valorizzazione dei propri prodotti.


LE GROTTE DELLA FONTINA 

Alcuni prodotti della gastronomia valdostana sono ormai famosi nel mondo, altri invece, sono meno conosciuti ma assolutamente degni di nota. Tra le eccellenze D.O.P. troviamo Fontina, Valle d’Aosta Fromadzo, Vallée d’Aoste Lard d’Arnad e Jambon de Bosses, che saranno proprio le prelibatezze protagoniste del ciclo di appuntamenti "Mattinata D.O.P. Sapori di montagna", iniziativa promossa dal Ristorante Les Granges, a La Thuile e che che fa parte del circuito Saveurs du Val d’Aoste, da gennaio ad aprile 2022 (gennaio 14 e 21 – febbraio 4 e 8 – marzo 17, 24 e 31 – aprile 7, 13, 23 e 30).

Un itinerario del gusto, che si inserisce a pieno titolo quale appuntamento fisso nel calendario degli eventi invernale proposti da La Thuile. Il programma prevede la visita alla Grotta delle Fontine, in zona Buic, dove sono stivate per la stagionatura più di 6.000 forme: un enogastronomo svelerà le caratteristiche, i segreti della lavorazione e della maturazione di questo straordinario formaggio Dop dall’alta concentrazione di valori nutrizionali, ideali per il proprio benessere (se non si esagera, eh!).

A seguire, aperitivo e degustazione guidata di quei prodotti valdostani che hanno ottenuto il riconoscimento “Denominazione di Origine Protetta”, presso il Ristorante Les Granges, che fa parte del circuito Saveurs du Val d’Aoste.

Si scopriranno i sapori di:

Fontina Dop: un formaggio prodotto con latte crudo e intero, la cui produzione è regolamentata da un rigido disciplinare che la definisce: “un formaggio grasso a pasta semicotta, fabbricato con latte intero di vacca appartenente alla razza valdostana (pezzata rossa, pezzata nera, castana), proveniente da una sola mungitura” (primo prodotto valdostano a diventare Dop).

Valle d’Aosta Fromadzo Dop: formaggio magro o semigrasso, a pasta semidura, prodotto da latte di vacca valdostana, pezzata rossa e castana, talvolta addizionato con una piccola percentuale di latte di capra, dalla maturazione minima di 60 giorni fino a una stagionatura di 10 mesi.

Vallée d’Aoste Lard d’Arnad Dop: un lardo maturato in antichi recipienti di castagne e rovere, molto profumato.

Jambon de Bosses Dop: prosciutto di alta qualità, principe della salumeria valdostana che, nelle fasi della lavorazione, prevede la concia con erbe aromatiche del territorio, la salatura manuale, la stagionatura su letto di fieno e la disossatura con legatura anch’essa eseguita manualmente.

Ad accompagnare il tour degustativo, Claudio Giacchetto, la moglie Ester Ollier e il figlio Nicolò, enogastronomi e proprietari dell’Hotel Ristorante Les Granges, insigniti del titolo “Ambasciatori della Fontina” grazie all’impegno con la Regione Valle d’Aosta Assessorato dell’Agricoltura e Ona “Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio”.

Le date degli appuntamenti sono:

15/01 Les Granges: prodotti locali, vino valdostano e sapori Dop

22/01 Lo Riondet: la Raclette (piatto a base di formaggio fuso servito con patate, sottaceti e salumi)

27/01 Eden: cucina bio di montagna

14/02 Le Petit Skieur: tagliere, polenta e vini locali

04/03 Eden: cucina bio di montagna

08/03 Les Granges: prodotti locali, vino valdostano e sapori Dop

19/03 Coppapan: la tradizione nel piatto

Per info e prenotazioni: Ristorante Les Granges – Loc. Les Granges – 11016 La Thuile (AO). Tel. 0165 884885 – cell. 335 5355803; info@lesgranges.it. Costo a persona: euro 16,00

CENA & CIASPOLE

Per godere appieno della potenza della montagna, circondati da una natura intatta e selvaggia, immersi in un’atmosfera preziosa e rara per il proprio benessere, La Thuile offre anche una magnifica abbinata ciaspole + cena gourmet.

In compagnia dell’esperta guida alpina Alberto Miele, valdostano di adozione, che ha fatto delle Alpi Graie la meta principale per le escursioni legate all’alpinismo e allo sci alpino, si vivrà La Thuile nelle ore serali, respirando l’aria pura e frizzante delle sue montagne e sperimentando un’esperienza energizzante, seguita da una degustazione di prodotti Dop della tradizione valdostana proposti dai ristoranti locali.

Alberto coinvolgerà con la sua conoscenza e con la passione per questi luoghi i partecipanti alla ciaspolata riscopriranno la bellezza del passo lento sulla neve, del silenzio avvolgente delle frizzanti serate montane, della forza che solo luoghi come questi sanno comunicare. Il tutto sempre coronato da una cena e da una degustazione, sempre ricercate e particolari.

Per informazioni, orari e luogo di partenza contattare la Guida Alberto Miele 3382722764; www.zerovertigo.com – info@zerovertigo.com

Costo a persona: Euro 35,00 (ciaspolata e offerta gourmet).

Per altre info: www.lathuile.it

Immagine di Copertina www.fontina-dop.it

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Finite le feste, è importante annotarsi come poter festeggiare al meglio quelle che verranno. Oltre un piccolo Excursus sulle origini e sulla Storia del Pandoro, il Signore di Verona che torna alla ribalta, di seguito 5 Pastry Chef italiani che puntano sul dolce lievitato di Burro & Vaniglia nella sua veste tradizionale e non.

Slanciato, soffice, una piccola, morbida montagna dai pendii scoscesi, innevata da impalpabile zucchero a velo. Immancabile sulle tavole delle feste, esempio esemplare di tecnica e semplicità, celebrazione lievitata di burro e vaniglia: parliamo del Signor Pandoro, dolce delle feste originario di Verona, per il momento meno in voga rispetto al cugino milanese Panettone, ma non per questo privo di appeal, anzi.

Qualche cenno sulle origini del Pandoro

Come ogni leggenda che si rispetti, esistono pareri discordanti circa le sue origini. Secondo alcuni le prime risalirebbero all’antica Roma, dove sembra che il pandoro o meglio, il suo antesignano, venga citato in uno scritto minore che risale al primo secolo d.C., ai tempi di Plinio il Vecchio, il quale cita un cuoco di nome Vergilius Stephanus Senex, che preparò un “panis” con fiori di farina, burro e olio.

Altri lo datano attorno al 1500, durante il periodo della Repubblica Veneziana, quando esisteva l’usanza di ricoprire con sottili foglie d’oro alcune pietanze per impreziosirle anche alla vista. Proprio tra questi cibi sembra ci fosse un dolce conico, chiamato per l’appunto “pan de oro”.

Altri ancora sostengono che il pandoro sia l’evoluzione di altri dolci, derivando dal Pane di Vienna, pane dolce tipico della tradizione austriaca, sempre a base di burro, o dal Nadalin, dolce lievitato natalizio inventato e diffuso dalla fine del XIII secolo (1200) per festeggiare il primo Natale dopo l’investitura dei nobili Della Scala che erano divenuti Signori di Verona simboleggiare la grandezza della città. Otto punte per richiamare la stella cometa e una una crosta di mandorle e pinoli pralinati e tostati, il Nadalin è un dolce al quale ancora oggi i veronesi sono molto legati per via di una maggiore identificazione storica e territoriale.

La Nascita commerciale del Pandoro

Esiste però una data certa relativa alla nascita commerciale del pandoro: è il 14 ottobre 1894, giorno in cui il geniale pasticcere veronese Domenico Melegatti deposita il brevetto per un dolce lievitato a forma di stella a otto punte al Ministero di Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia.

Melegatti si ispirò a una antica ricetta di tradizione veronese: alla vigilia di Natale, le donne dei villaggi si riunivano per impastare il Levà, dolce lievitato da un impasto di farina, latte e lieviti, ricoperto di granella di zucchero e mandorle, al quale tolse gli ornamenti e aggiunse uova, zucchero e burro per rendere l’impasto più morbido. Ottenne così un dolce molto lievitato, morbidissimo e senza crosta.

Fece creare anche un forno apposito per cuocere il pandoro in maniera uniforme e si fece aiutare dal pittore Angelo Dall’Oca Bianca per la creazione del famoso stampo a piramide tronca con otto punte, che da forma al dolce.

Il Pandoro 2022

Ancora oggi è un dolce molto laborioso e complesso da riprodurre a casa tra cicli d’impasto, lievitazioni, tempi di preparazione e attente cotture uniformi. Per questo, oltre alle libere e lecite sperimentazioni domestiche, per un risultato di sicuro successo, meglio scegliere l’opera di chi dedica a questo campione di bontà lievitata professionalità, tempo, cura, selezione degli ingredienti e non tralascia il gusto di qualche innovazione sulla forma. Di seguito 5 Pandori italiani da tenere a mente per le Prossime Feste.

Il Pandoro di RENATO BOSCO – Saporè, VERONA

Partiamo da Mamma Verona. Il Pandoro di Renato Bosco è protetto da un “green packaging” che subito richiama i migliori concetti di sostenibilità e naturalità. La scatola riporta la dicitura “Assaporare con Cura”, consiglio che anticipa un piacere e mette sull’attenti le papille. Infatti, il contenuto rende merito alla migliore tradizione veronese.

Il profumo è il primo a conquistare. Poi, una volta depositata la rituale nebbia di zucchero a velo, saranno il contatto con la sua morbida “pelle”, il suo colore interno ed esterno, la sua soffice struttura a fare il resto. Sarà che per Renato Bosco i lieviti non hanno segreti, sarà che per lui è un appassionato modo per celebrare la città che ha dato loro i natali, ma il suo Pandoro Classico è davvero un intramontabile modello di “saporè” e genuinità.

CASA MANFREDI – GIORGIA PROIA

Anche l’occhio infatti vuole la sua parte, ecco perché è importante scegliere con cura le confezioni natalizie per panettoni e pandori. Ma la forma non dovrebbe mai superare il contenuto, e questo lo sa bene Giorgia Proia, abile Pastry Chef di Casa Manfredi a Roma, che ha ben pensato di caratterizzare i Packaging di “Casa” attraverso lo speciale contributo ed estro artistico del figlio. Manfredi in persona ha infatti disegnato un pupazzo neve divenuto macchia di colore e trama di fondo di una bella scatola di latta cilindrica, riutilizzabile e collezionabile, che contiene un Pandoro che ha fatto parlare di sé.

Burro di Normandia, Vaniglia Bourbon del Madagascar, 3 impasti, 30 ore di lievitazione, molta passione e voglia di fare sempre meglio, il Pandoro di Giorgia ha un bel colore caramellato che invoglia il tatto e conforta il palato. Slanciato e leggero è, giustamente, fiero di essere romano.

LA NUVOLA di DARIO NUTI – Executive Pastry Chef del Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Hotel

Scatola di Lusso per “La Nuvola” di Dario Nuti, così come per gli altri grandi lievitati delle Feste del Rome Cavalieri, per i quale nutre una passione e un’abilità a sé. Ma la passione per un artista (così come ha dichiarato in un’intervista) dev’essere la nota di fondo, ma non la parte fondamentale. Perchè più della passione, a volte, è la capacità di gestire la pressione che fa la differenza, assieme al rispetto e selezione degli ingredienti, che deve essere totale.

Ed è proprio sulla strada della Pasticceria più nobile che Nuti ha iniziato una nuova sperimentazione sul Pandoro, che andrà via via affinando, e che ad oggi ha prodotto una “Nuvola”, umida al contatto e alveolata come un pane all’interno, felice incontro tra il dolce e burroso impasto di Verona e la forma del cugino milanese. Una nuvola che, lavorata a Roma da un Executive Pastry Chef toscano, diviene un inno italiano al lusso della semplicità che rende protagonista il sapore puro delle materie prime e non lo zucchero adulatore.

ANGELO DI MASSO – DOLCI di NATURA

Maestro Pasticcere di Scanno, nonostante abbia iniziato a 14 anni, si continua a definire Artigiano Apprendistaperchè nel mondo della pasticceria non si finisce mai di apprendere”, oltre al Pan dell’Orso, capostipite della Dolciaria Di Masso, alle prelibatezze salate, ai Panettoni e Colombe, il suo Pandoro possiede le caratteristiche dell’Abruzzo forte e gentile: la sua pelle bruna nasconde un sapore avvolgente, burroso, un gusto rotondo e genuino servito al palato dall’accurata scelta degli ingredienti e alla lunga lievitazione.

Tra le variazioni sul tema, annoveriamo la Torta Angela, dedicata alla Nonna, che di forma bassa, cupolare, annovera i frutti di bosco al suo interno che impreziosisce la microlaveolatura.

OLIVIERI 1882

Torniamo in Veneto, e precisamente ad Arzignano, Vicenza. Qui Nicola Olivieri di Olivieri 1882 che, con tre generazioni di pasticceri alle spalle, non smette di produrre novità lievitate ed esportare all’estero uno dei vanti della pasticceria italiana. Il suo Pandoro a lievitazione naturale, è un cameo di categoria, soffice e burroso, profumato di vaniglia e scorza di limone.

Digeribile, grazie alla lunga maturazione, al metodo artigianale e all’utilizzo di materie prime di grande qualità, quest’anno, dalla collaborazione tra la storica Distilleria Nardini (fondata nel 1779) e la pasticceria Olivieri 1882, è nato un pandoro aromatizzato alla grappa bianca che potenzi all’impasto con note fruttate e dolcemente alcoliche.

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La Mappa dei Migliori Ristoranti nel Mondo nel 2022 nella prima classifica dell’anno è disegnata da 50 TOP ITALY – Prosecco Doc Award.

Primo il “Don Alfonso 1980” di Toronto, segue “Fiola” di Washington DC e “Da Vittorio Shanghai”. A Massimiliano Sena (Il Lago – Ginevra) il Premio Speciale di Chef dell’Anno. A Nino Graziano (Semifreddo – Mosca),il riconoscimento Modello d’Ispirazione. USA e Francia i Paesi più rappresentati.

Delle 50 insegne presenti in classifica, 7 negli Stati Uniti e 7 in Francia; 5 nel Regno Unito e in Giappone; 3 in Cina; 2 in Canada, 2 Australia, Germania, Svizzera e Singapore; 1 per ciascuno in Sud Africa, Svezia, Spagna, Lussemburgo, Paesi Bassi, Russia, Austria, Brasile, Repubblica Ceca, Portogallo, Belgio, Danimarca e Marocco. 

La ristorazione in Italia è una cosa seria, sempre sotto l’attento palato di ispettori, giornalisti, critici e appassionati, tradotto poi i numeri da guide, classifiche; dall’altro sotto quello di nuovi o navigati imprenditori, grandi brand e ambiziosi chef, cuochi, abili pizzaioli e ambasciatori del gusto italiano. Un girone vivo, sempre in fermento.

Ma cosa succede fuori dai confini italiani? Secondo 50TopItaly, guida consultabile gratuitamente on line messa a punto dai curatori/ideatori Barbara Guerra, Albert Sapere e Luciano Pignataro (Luciano Pignataro Wine&Food Blog), nel 2022 nel mondo sono ben 23 i Paesi dove è presente almeno un grande ristorante di cucina italiana.

Ma perchè è così importante la (buona) cucina italiana nel mondo? La risposta è semplice: perchè parla di Noi. Perchè racconta l’identità di un popolo, la sua cultura, idealizzata o fedelmente rappresentata, ma comunque l’unica dimensione esportabile capace di farci sentire a casa.

In questo grande puzzle mondiale, la famiglia Iaccarino, da sempre ambasciatrice della migliore cucina mediterranea e già seconda in classifica nell’edizione della guida 2019, con il Don Alfonso 1890 di Toronto, nel primi giorni di questo 2022 si è posto sul podio della ristorazione italiana nel Mondo con la sorella canadese dello storico ristorante di Sant’Agata sui due Golfi.

La sede di Toronto dello storico locale della Penisola Sorrentina, di proprietà della famiglia Iaccarino, ha preceduto in classifica il Fiola, di Washington DC, ristorante di punta dello chef Fabio Trabocchi, mentre al terzo posto Da Vittorio Shanghai, altro grande nome della ristorazione tricolore legato alle figure dei fratelli Cerea di Brusaporto. Nella top five anche Otto e Mezzo – Bombana, di Hong Kong, e Sesamo, di Marrakesh.

Dalla Guida 2022 – Casa Loma, Don Alfonso 1890

Casa Loma, un castello di proprietà della città di Toronto, situato in pieno centro, ospita una delle bandiere della cucina italiana nel mondo, il Don Alfonso 1890. Un meraviglioso soffitto di vetri colorati, i divanetti grigio perla che fanno da contrasto con le tovaglie bianche e i maestosi lampadari, sono la cornice fiabesca di questa ristorante. In cucina il resident chef Daniele Corona, porta avanti la tradizione e la storia che ha reso grande nel mondo il nome del Don Alfonso. Tra i classici le Tagliatelle alla rosa canina, con gelato di anguilla, caviale di storione, tuorlo d’uovo polverizzato ed il mitico Vesuvio di Rigatoni, valgono assolutamente il viaggio. E’ possibile scegliere a la carte o farsi guidare dal percorso di degustazione con tanto di wine pairing. La minuziosa cura dei dettagli, lo rendono un luogo unico.

Fiola, Washington, DC

Questo di Washington, DC, nella mitica Pennsylvania Avenue è la casa madre di quello che è un gruppo importante della ristorazione targata Made in italy. Merito di Fabio Trabocchi e della sua passione. La bellissima sala da pranzo con tanto legno e i divanetti, ha un fascino tutto particolare. Nel 2019 Trabocchi ha cominciato una collaborazione con la Chancellors Rock Farm situata nel Parco Nazionale di Shenandoah da dove provengono Verdure, erbe e fiori, ma anche polli e bovini da agricoltura sostenibili. Semplicità e gusto dove si può apprezzare la straordinaria materia prima nel battuto di bue alla piemontese e strepitosi i tortellini in brodo con bottarga e flan di Parmigiano Reggiano. Lista dei vini enciclopedica, con tantissime realtà dall’Italia, bellissima l’idea dei mocktails realizzata con i frutti dell’azienda agricola.

Da Vittorio Shangai

Il Bund, sul quale questo ristorante è affacciato, è un viale lungo la riva sinistra del fiume Huangpu che fronteggia il quartiere degli affari di Pudong, a Shanghai. Al terzo piano il resident chef Stefano Bacchelli guida un’imponente brigata di 35 cuochi, per 60 coperti e 5 salette private, tutte arredate in uno stile moderno, molto confortevole, in cui ritrovare l’arte dell’accoglienza che ha reso la famiglia Cerea uno dei simboli del ben vivere dell’Italia nel mondo. Oltre ai classici intramontabili, come i mitici Paccheri alla Vittorio, la cucina è una contaminazione tra l’Italia e le influenze orientali, con uno dei migliori servizi di sala in circolazione, sempre perfetto e professionale ma allo stesso tempo amichevole e divertente, è un punto di riferimento di tutta Shanghai. La carta dei vini offre molti ottime etichette a prezzi molto onesti tra cui scegliere, un vero plus per questa città.

I Criteri di Selezione di 50TopItaly

Tutti i locali presenti in guida sono in grado di offrire, per cucina, stile e veridicità dei prodotti, uno spaccato della cultura italiana. Ma non solo, altra caratteristica comune e fondamentale è quella di possedere una filosofia gastronomica per chi propone mangiare italiano all’estero, che si può definire 2.0, ovvero una cucina con delle radici ben salde nella tradizione ma al tempo stesso aperta a nuovi orizzonti, disponibile alla contaminazione reciproca e che riesce a fare un uso intelligente dei prodotti del territorio di accoglienza.

Special Awards

Non mancano gli Special Awards. A Massimiliano Sena, del ristorante Il Lago di Ginevra, è stato conferito il premio di Chef dell’Anno 2022 – Pastificio dei Campi Award. L’importante riconoscimento Innovazione e Sostenibilità 2022 – D’Amico Award è stato assegnato a Osteria 57, di New York. Al locale Ornellaia, di Zurigo, è andata la corona per la Migliore Carta dei Vini 2022 – Prosecco DOC Award. Mentre a Nino Graziano, alla guida di Semifreddo, è andato il titolo di Modello d’Ispirazione 2022 – D’Amico Award. Infine il primo classificato, Don Alfonso 1890 Toronto, si è aggiudicato anche il premio per il Pranzo dell’Anno 2022 – Mulino Caputo Award.

“Non scopriamo certo noi – sottolineano Barbara Guerra, Luciano Pignataro e Albert Sapere, i tre curatori del progetto editoriale – il successo della cucina italiana nel mondo.

Quello che in particolar modo notiamo, però, negli ultimi anni, è un significativo aumento della qualità media. Pian piano gli stereotipi e i falsi miti che circondano la cultura gastronomica del Bel Paese stanno venendo meno e gli stranieri stanno così riuscendo a scoprire i veri sapori italiani anche al di fuori dalla Penisola.

E non è certo un caso che questo premio veda protagonista il Prosecco DOC, brand dal successo globale, vero e proprio alfiere di italianità nel mondo intero”.

Partner dell’iniziativa:

Consorzio di Tutela del Prosecco DOC, D’Amico, Olitalia, S.Pellegrino & Acqua Panna, Latteria Sorrentina, Pastificio dei Campi, Solania, Birrificio Fratelli Perrella, Mulino Caputo.

La classifica completa de I Migliori Ristoranti Italiani nel Mondo 2022 – Prosecco DOC Award:

1 Don Alfonso 1890 Toronto – Toronto, Canada

2 Fiola – Washington DC, USA

3 Da Vittorio Shanghai – Shanghai, Cina

4 Otto e Mezzo Bombana – Hong Kong, Cina

5 Sesamo – Marrakesh, Marocco

6 Il Lago – Ginevra, Svizzera

7 Il Ristorante Luca Fantin – Tokyo, Giappone

8 Locanda Locatelli – Londra, Regno Unito

9 Restaurant Passerini – Parigi, Francia

10 Tèrra – Copenaghen, Danimarca

11 Gucci Osteria da Massimo Bottura – Los Angeles, USA

12 Acquerello – San Francisco, USA

13 Senzanome – Bruxelles, Belgio

14 Braci – Singapore, Singapore

15 Tentazioni – Bordeaux, Francia

16 Gusto by Heinz Beck – Algarve, Portogallo

17 Il Carpaccio – Parigi, Francia

18 Acquarello – Monaco di Baviera, Germania

19 Sartoria – Londra, Regno Unito

20 Principio – Tokyo, Giappone

21 Aromi – Praga, Repubblica Ceca

22 Rezdôra – New York, USA

23 LuMi Dining – Sydney, Australia

24 Caffè Stern – Parigi, Francia

25 Armani Ristorante – Tokyo, Giappone

26 Ornellaia – Zurigo, Svizzera

27 Pastamara – Vienna, Austria

28 Picchi – San Paolo, Brasile

29 Semifreddo – Mosca, Russia

30 Pianeta Terra – Amsterdam, Paesi Bassi

31 Erasmus – Karlsruhe, Germania

32 Mosconi – Lussemburgo, Lussemburgo

33 Orobianco – Alicante, Spagna

34 Bini – Kyoto, Giappone

35 Buona Terra – Singapore, Singapore

36 Mancini – Stoccolma, Svezia

37 Piero TT – Parigi, Francia

38 SPQR – San Francisco, USA

39 The River Cafe – Londra, Regno Unito

40 La Locanda – Kyoto, Giappone

41 Tipo 00 – Melbourne, Australia

42 La Sosta – Swellendam, Sud Africa

43 IT London – Londra, Regno Unito

44 Racines – Parigi, Francia

45 Giando – Hong Kong, Cina

46 Osteria 57 – New York, USA

47 Mono – Edimburgo, Regno Unito

48 Dilia – Parigi, Francia

49 Cioppino’s – Vancouver, Canada

50 Belotti Ristorante – Oakland, USA

Special Awards 2022

Pranzo dell’Anno 2022 Mulino – Caputo Award

Don Alfonso 1890 Toronto – Toronto, Canada

Chef dell’Anno 2022 – Pastificio dei Campi Award

Massimiliano Sena – Il Lago – Ginevra, Svizzera

Migliore Carta dei Vini 2022 – Prosecco DOC Award

Ornellaia – Zurigo, Svizzera

Modello d’Ispirazione 2022 – D’Amico Award

Nino Graziano – Semifreddo – Mosca, Russia

Innovazione e Sostenibilità 2022 – D’Amico Award

Osteria 57 – New York, USA

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