Sara De Bellis

Mese: Novembre 2023

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Gianluca GrossiAndrea D’Alonzo, Alessandro Scarsi e Alessia Rivano. Sono loro i quattro finalisti della Selezione nord di EmergenteSala, il concorso di Lorenza Vitali e Luigi Cremona dedicato alla valorizzazione della professionalità della Sala ristorante. Ma dove lavorano? E perchè la sala è così impotante?

Si torna a parlare di “Sala”. E ce ne sarebbe sempre maggior bisogno. Modesta o sontuosa che sia non dovrebbe infatti mai perdere di vista la sua prima funzione, che è accogliere, comprendere l’ospite e intercettare lo stile della sua serata. Luogo strategico di ogni locale, è lì che si gioca la vera partita per e attorno all’ospite, vera linfa vitale di qualunque attività ristorativa. 

Come ha già raccontato Lorenza Vitali, “la sala è l’area più importante di ogni locale pubblico, ed il personale di sala quello al quale spetta la missione fondamentale: far star bene il cliente per indurlo a ritornare.

La parola “servizio” deriva da “servire”. Dovrebbe essere una delle attività più belle e nobili del comportamento umano ed invece negli ultimi tempi soprattutto ha assunto sfumature non proprio positive. Come anche il professionista che ne è dietro: il cameriere, una parola che nel linguaggio comune sembra definire una professione di serie B. La discesa del “cameriere” agli inferi è ancora più eclatante se paragonata all’ascesa del cuoco in paradiso. I due cammini inversi hanno acuito le disparità, allargato la forbice delle due professioni che invece di essere accomunate, lavorare in simbiosi come dovrebbe essere corretto e comunque auspicabile, hanno visto invece l’annichilimento della sala rispetto alla cucina come tendenza dominante degli ultimi anni. 

Ma quali sono gli aspetti più importanti di questo mestiere?

Tre parole che racchiudono l’essenza e le problematiche del settore: Accoglienza, Conoscenza, Servizio. 

Nel nostro piccolo abbiamo cercato di dare un segnale, creando e realizzando un nuovo format che affianca Emergente Chef ed Emergente Pizza: Emergente Sala, una competizione riservata ai giovani camerieri under 30 che ogni anno si articola attraverso due selezioni (Nord e Centro Sud) e una finale a Roma dei migliori. Ha avuto e continua ad avere molta attenzione essendo anche l’unico evento focalizzato su questi problemi. Ne siamo orgogliosi perché abbiamo visto da vicino il positivo impatto di queste gare, la solidarietà che si crea tra i concorrenti, il sapersi oggetto di attenzione e il poter condividere con altri colleghi tensioni e ricordi.

E così, con la Bolzano-Merano, è ripartito il Premio EmergenteSala 2024 che sottolinea la storica collaborazione con il Merano WineFestivalevento top del mondo del vino – e che quest’anno chiude il festival con una torta monumentale a cura dell’Istituto alberghiero Cesare Ritz di Merano.

Lo stesso Istituto che ha ospitato la svolta la prima prova, ovvero “La Cena di Gara” servita agli ospiti-giurati che hanno potuto così esprimere il proprio giudizio sul servizio di sala. Il menù della cena ha visto protagonisti diversi prodotti e vini dei dei partner.

Mentre al Teatro Puccini a Merano, ha avuto luogo la lunga e importante prova orale che ha visto i concorrenti presentarsi attraverso un video e di persona sul palco, per poi rispondere alle domande della giuria di giornalisti ed esperti. L’ultimo atto è stato riservato a una sfilata di abiti professionali LUSINI prima della Premiazione, perchè anche lo stile è importante è come un ingrediente che serve a definire l’identità di un ristorante.

Al termine sono stati annunciati i finalisti che parteciperanno alla Finale di EmergenteSala 2024 e si sderanno con i finalisti del CenstroSud (Febbraio 2024) durante la Finale in programma a metà maggio 2024 alla Villa Reale di Monza, e che sono:

  • Gianluca Grossi di Glam a Venezia;
  • Andrea D’Alonzo di Il Fenicottero Rosa Gourmet all’interno di Villa Abbondanzi a Faenza (RA);
  • Alessandro Scarsi di Trattoria Contemporanea a Lomazzo (CO);
  • Alessia Rivano di Hostaria Ducale a Genova.

I premi speciali “miglior pane” in collaborazione con Agugiaro & Figna Molini sono stati assegnati a:

Angela Shtjefni di LUNARIS 1964 gourmet restaurant a Cadipietra (BZ).

Manuel Ricupa di DaV Milano by Da Vittorio a Milano.

I premi speciali “miglior abbinamento cibo-vino” sono stati assegnati a:

Juan Carlos Bojaca Herrera di Feria Restaurant a Treviso.

Nicholas Buratto di Osteria del Guà presso Villa Pisani Bonetti a Bagnolo (VI).

Il.miglior portamentp in occasione della sfilata è risultato quello di Andrea Solari di Le Cupole dell’Hotel Bristol a Rapallo (GE).

Gli altri partecipanti in gara:

Nicholas Buratto di Osteria del Guà presso Villa Pisani Bonetti a Bagnolo (VI).

Juan Carlos Bojaca Herrera di Feria Restaurant a Treviso.

Daniel Cotugno di Ristorante Acanto dell’Hotel Principe di Savoia a Milano.

Fabrizio Muscatella di Da Vittorio a Brusaporto (BG).

Manuel Ricupa di DaV Milano by Da Vittorio a Milano.

Angela Shtjefni di LUNARIS 1964 gourmet restaurant a Cadipietra (BZ).

Andrea Solari di Le Cupole dell’Hotel Bristol a Rapallo (GE).

Christian Salamanca di Fine dining Senso presso EALA Hotel Lake Garda a Limone sul Garda (BS).

Ingrid Krause di Peter Brunel ristorante gourmet ad Arco (TN).

Yashell Yoffre Yarif Ynfantes Felix del Ristorante Ca’ Del Moro Wine Reatreat a Verona.

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Si chiama “Pastificio Futuro”. Questo il nome del laboratorio artigianale di pasta all’interno del complesso del carcere minorile di Casal del Marmo a Roma, che verrà inaugurato il prossimo 10 novembre in via Giuseppe Barellai 140. Per l’occasione tre chef Andrea Pasqualucci, Luciano Monosilio e Arcangelo Dandini cucineranno tre primi tipici della cucina romana, mentre Luigi Cremona sarà il narratore della bella e importante iniziativa nata per nutrire un nuovo futuro.

Sarà inaugurato venerdì 10 novembre alle ore 16 Pastificio Futuro, il laboratorio artigianale sito in via Giuseppe Barellai 140, all’interno del complesso del carcere minorile di Casal del Marmo. L’idea è nata dopo la prima visita di Papa Francesco alla struttura detentiva, nel 2013, quando scelse di lavare i piedi, nel Giovedì Santo, ai minori reclusi. «Non lasciatevi rubare la speranza», aveva detto loro. Parole che non sono cadute nel vuoto e che hanno portato alla costruzione del pastificio nei locali di un edificio da anni in disuso.

A realizzarlo la Gustolibero Società Cooperativa Sociale Onlus, con il sostegno della Conferenza episcopale italiana e di Caritas Italiana e in sinergia con la Direzione dell’Istituto Penale Minorile Casal del Marmo, il Centro della Giustizia Minorile Lazio-Abruzzo-Molise, il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità.

All’inaugurazione saranno presenti il cardinale vicario Angelo De Donatis; l’arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Conferenza episcopale italiana; il sindaco di Roma Capitale Roberto Gualtieri; il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca; Anna Maria Santoli, dirigente Centro Giustizia Minorile Roma; don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana.

Con i suoi 500 metri quadri di superficie, una pressa che può produrre fino a 220 kg all’ora di pasta e 4 essiccatori, Pastificio Futuro è un’azienda che potrebbe occupare fino a venti ragazzi. L’iniziativa partirà con tre addetti: una detenuta presente al pastificio grazie all’articolo 21, un ventenne affidato ai servizi sociali e un altro che vive in comunità.

«La pasta verrà venduta in alcune catene di supermercati con cui abbiamo preso contatti – spiega don Nicolò Ceccolini, cappellano di Casal del Marmo –, nonché servita in alcuni ristoranti di livello, perché è una pasta di elevata qualità. Dare delle prospettive future a questi ragazzi è molto importante, può incentivare anche altri loro coetanei che si trovano in carcere a fare un percorso, dare loro un obiettivo. È una bella opportunità perché devono comunque uscire dal carcere, in quanto il laboratorio è esterno alla zona detentiva, seppure all’interno della cinta muraria». Quando sarà a regime, «il laboratorio potrebbe produrre 2 tonnellate di pasta al giorno, circa 4.000 pacchetti da 500 grammi ogni giorno», sottolinea Alberto Mochi Onori, responsabile di Gustolibero Società Cooperativa Sociale Onlus.

Non è più il tempo delle punizioni. Quello che ci interessa è cosa succede alla persona “dopo”, quando ha terminato di scontare la sua pena. Nel mondo carcerario bisogna lavorare molto su questo aspetto. La promozione del lavoro e del reinserimento nella società è una spinta notevole in questo percorso di rieducazione e resurrezione.

Vescovo Benoni Ambarus, delegato per la Pastorale carceraria della diocesi di Roma

Per l’occasione Luigi Cremona, giornalista enogastronomico, ha invitato tre chef romani per eseguire al momento tre ricette iconiche della cucina romana: la “gricia”, che verrà realizzata da Andrea Pasqualucci chef del Moma, che sulla bella iniziativa ha commentato: “Sono sempre entusiasta di partecipare a iniziative come queste. Al Moma siamo sempre stati sensibili alle attività della Caritas alle quali abbiamo già in passato aderito. Credo che la formazione sia la forma riabilitativa più importante che possiamo offrire a ragazzi che hanno vissuto difficoltà, di qualunque natura esse siano state. Partecipare alla produzione di questa pasta significa acquisire la manualità e l’artigianalità che sono dietro a questo prodotto e sentirsi parte di una squadra che lavora per un risultato in cui ognuno è importante, esattamente come accade in cucina in cui ogni elemento della brigata contribuisce al risultato finale”.

La Regina “carbonara” verrà inceve realizzata da Luciano Monosilio, del ristorante da Luciano, che ha così commentato:Il Pastificio Futuro è un esempio di come si possa realizzare un progetto bello, funzionale a livello pratico. L’apertura di Pastificio è un argomento he mi tocca molto personalmente essendo questo uno dei miei sogni che spero a breve di realizzare. Anche se in piccolo già produco e vendo pasta secca di semola di grano duro con un mio brand, sicuramente non mancherà l’occasione di collaborare con questi ragazzi. Auguro a loro il meglio e lunga vita!”

La “finta matriciana” verrà invece realizzata da Arcangelo Dandini, titolare e chef del ristorante Arcangelo, che ha aggiunto: ” il futuro è una strada, una porta che si apre su un cortile dove si opera e ci si industria. La pasta fa parte delle opere umane e attraverso la sua storia ha edificato la storia del nostro paese. Storia di nutrimento e storia economica. La pasta italiana è la nostra strada.”

Ad accompagnare questi assaggi, l’acqua minerale Egeria e i vini del Consorzio di tutela di Vini Roma doc. Hanno dato il loro sostegno all’iniziativa anche: Union Food, che collabora per la produzione alimentare; Confagricoltura, che sostiene per la scelta del miglior grano; La Cascina Cooperativa; INC Istituto Nazionale per la Comunicazione; Confcooperative Lazio.

Pastificio Futuro, via Giuseppe Barellai, 140 – Roma

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Al via il bellissimo evento dedicato alla professionalità della Sala, che si terrà nelle prossime ore a Merano, dal 6 al 7 Novembre 2023 la prima Selezione Nord del premio 2024

Poche ore e si ripartirà con la nuova edizione di EmergenteSala 2024, l’unico originale evento dedicato al servizio di sala ideato dal giornalista Luigi Cremona e da Lorenza Vitali come consuetudine, nella cornice della storica collaborazione con il Merano WineFestival, l’evento dedicato al vino più prestigioso d’Italia. 

Lunedì 6 Novembre ci sarà la prima prova dei partecipanti delle selzioni del Nord, durante la “Cena di gara” che li vedrà impegnati all’interno dell’Istituto Alberghiero Cesare Ritz di Merano. In questa occasione i protagonisti saranno impegnati nel dimostrare le proprie capacità durante il servizio, a un pubblico di ospiti giurati altamente selezionati.

Il giorno successivo, martedì 7 novembre alle ore 9:00, invece presso il Teatro Puccini, a Merano, l’importante prova orale che vedrà i concorrenti presentarsi sia attraverso un video che di persona sul palco, di fronte ad una giuria di giornalisti ed esperti gastronomici i quali sottoporranno i partecipanti domande e quesiti relative al settore Ho.Re.Ca.

L’ultimo atto si terrà presso la sala delle Feste Kursaal in coincidenza con la chiusura del WineFestival.
Sul palcoscenico verranno chiamati i concorrenti e verranno proclamati i finalisti che avranno diritto a partecipare alla Finale di EmergenteSala in programma a maggio 2024 alla Villa Reale di Monza. 

Partecipanti in gara:

– Nicholas Buratto di Osteria del Guà presso Villa Pisani Bonetti a Bagnolo (VI)

– Juan Carlos Bojaca Herrera di Feria Restaurant a Treviso

– Daniel Cotugno di Ristorante Acanto dell’Hotel Principe di Savoia a Milano

– Gianluca Grossi del Glam** a Venezia

– Fabrizio Muscatella di Da Vittorio*** a Brusaporto (BG)

– Manuel Ricupa di DaV Milano by Da Vittorio a Milano

– Alessia Rivano di Hostaria Ducale a Genova

– Alessandro Scarsi di Trattoria Contemporanea* a Lomazzo (CO)

– Angela Shtjefni di LUNARIS 1964 gourmet restaurant a Cadipietra (BZ)

– Andrea Solari di Le Cupole dell’Hotel Bristol a Rapallo (GE)

– Andrea D’Alonzo di Il Fenicottero Rosa Gourmet all’interno di Villa Abbondanzi a Faenza (RA)

– Christian Salamanca di Fine dining Senso presso EALA Hotel Lake Garda a Limone sul Garda (BS)

– Ingrid Krause di Peter Brunel* ristorante gourmet ad Arco (TN)

– Yashell Yoffre Yarif Ynfantes Felix del Ristorante Ca’ Del Moro Wine Reatreat a Verona.

EMERGENTE è un format che prevede una serie di gare riservate ai giovani talenti under 30 della ristorazione e ospitalità, comprende oltre ad EmergenteSala anche EmergentePizza, EmergenteChef, EmergentePastry. 

MERANO WINEFESTIVAL Cinque giornate ricche di eventi, grandi vini e alta gastronomia. Saranno presenti, come sempre da 32 anni, le eccellenze selezionate da Helmuth Köcher, WineHunter e patron della manifestazione.

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Mood etno-chic, una drink list subsahariana, un calendario internazionale di rilievo e una sorpresa in ogni tramonto. È la stagione africana del Rhinoceros RoofBar, che porta Matteo Zed a esplorare nuovi territori di drinks ispirati dalla “Safari experience” sui tetti della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti. Un poliedrico hub artistico e culturale romano con ospitalità di design, super panoramiche terrazze per brindare e originali spazi per cenare.

Safari. Una parola a primo impatto semplice, ma densa di connotati riconducibili a quando l’Occidente coloniale conobbe il ventre primordiale dell’Africa, la forza della sua natura, i suoi sconfinati spazi. L’etimologia deriva infatti dell’arabo safara, che significa “viaggiare”, arrivato a noi per vie inglesi. Se nell’immaginario collettivo il termine rimane associato al biondo baffuto vestito di chiaro, con in testa il Pith helmet, che scruta l’orizzonte col binocolo alla guida di una lunga spedizione nell’ignoto della savana, al Rhinoceros Bar, sul roof della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti, ai confini dei Fori Imperiali, la rilettura contemporanea del concetto “safari” pone l’accento sull’ironia, puntando sul senso di avventura colorato di neon, fascino della giungla di città e libertà espressiva.

 L’accostamento rinoceronte-Africa-safari è venuto spontaneo, ma ovviamente stiamo parlando di esplorazione, scoperta, viaggio. Nessuna intenzione aggressiva o riferimento al colonialismo, così Matteo Zed – affermato bartender che è intervenuto sulla bottigliera, squadra e cocktail list condividendo con la proprietà i contenuti – ha raccontato in un’intervista a Bar Giornale qualche giorno fa.

Ma cosa c’è all’interno del “palazzo del Rinoceronte”? 25 spazi dedicati all’ospitalità di lusso e design, una galleria d’arte diffusa con vocazione sperimentale e d’impatto, un polo di pregio gastronomico diviso tra Le Restau (curato dal binomio Giuseppe Di Iorio – Executive Chef e Alessandro Marata, Resident Chef) e il Roof Bar, entrambi realizzati in collaborazione con Manfredi Fine Hotels Collection, la stessa proprietà di Palazzo Manfredi che vanta il Ristorante stellato fronte Colosseo (Aroma* – Stella Michelin) con la cucina dello Chef Giuseppe di Iorio.

Sarà per questo che Matteo Zed di fronte al vasto quanto emozionante panorama da scoprire dal Rhinoceros decide di modulare la sua nuova personale drink list sul tema “viaggio”.

L’idea del Safari è stata costruita proprio a partire dal nome dell’imponente lavoro di riqualificazione voluto da Alda Fendi e firmato da architetti e designer di caratura mondiale – la massiccia struttura che prende appunto il nome di Rhinoceros. Un’immagine di forza per un palazzo oggi vocato all’espressività dell’arte e che, sulle sue super terrazze, cita appunto un viaggio di scoperta attraverso i drinks d’autore, miscelati tra sapori europei, aromi, frutta, spezie e rimandi africani per creare un nuovo territorio da esplorare dedicato agli amanti delle dimensioni eccentriche.

In questo hub culturale per mostre e performance su 3.500 mq e 6 piani nel Foro Boario, Zed mette a punto così un Safari Cocktail Book presentato in 15 drink ispirati a tre territori africani: 5 in Tanzania, 5 in Zimbabwe e 5 in Namibia

La Safari Experience

Safari Experience”, come dicevamo, è il format ideato da Matteo Zed per rendere distintiva e funny l’atmosfera del rooftop sviluppato su due livelli, con staff in abiti da esploratori, neon rossi e fucsia, un bizzarro T-Rex sul bancone, elementi e citazioni integrate al lavoro di Giorgia Dennerlein di Loto AD Project, completate dall’offerta gastronomica del resident chef Alessandro Marata, del Rhinoceros Le Restau.

La panoramica del Rhinoceros RoofBar a 360° dal Campidoglio al Palatino, che permette allo sguardo di sfiorare le cupole di Roma e tornare sull’Arco di Giano, sui templi di Vesta ed Ercole, è un lungometraggio sulla storia di Roma con pochi eguali, che abbraccia splendidi tramonti che verranno accompagnati dal suono di un corno che intonerà un saluto al sole.

Qualche esempio dalla Drink List. La prima sezione è dedicata ai Mocktails (cocktails analcolici ai quali Zed tiene molto) tra cui spicca “Il Frutto del peccato” con spirito analcolico di agave, cordiale di mela e soda al pepe e pomelo; “Desert Colada” con cordiale di ananas e dattero. Arrivano poi i cocktail più freschi e bevibili ispirati allo Zimbabwe come “Greener” con agave, tequila, mezcal, liquore di fiori di sambuco ed edamame; ma anche “Purple Sea” che ripropone le sfumature del mare africano al tramonto con Champagne Rosé e tinture violacee di erbe locali. Infine, in coppetta, l’omaggio alla zona della Namibia con “Capers Dirty Martini” a base di gin ed estratto di cappero verde; “Avocado Daiquiri” con purè di avocado e sciroppo di agave; “Che Figo!” con infusione di foglie di fico, cocchi americano, succo di lime e vaniglia. I drink si ispirano ai frutti, alle erbe e alle botaniche africane che trovano però nelle tecnologie avanzate e nelle preparazioni moderne una via di contemporanea bevibilità.

Abbiamo dato vita ad uno spazio estremamente originale, che vuole regalare vibes positive ai clienti. Piante, bonghi, complementi d’arredo, musica, colori e soprattutto la nuovissima drink list ispirata al Safari ed alle materie prime provenienti dall’Africa contribuiscono e creare un ambiente di grande fascino ma al tempo stesso rilassante ed accogliente.

Matteo Zed

La nuova stagione del Rhinoceros RoofBar farà soffiare su Roma diversi “e-venti del deserto” [n.d.r.] e clima internazionale perché Matteo Zed – bar manager già da tempo alla guida del The Court di Palazzo Manfredi a Roma – sta per presentare un calendario di Guest che vedrà arrivare nella Capitale i bartender-Star bar di tutto il mondo, come Jigger & Pony di Singapore.

Foto di Copertina: Sara De Bellis

RHINOCEROS Bar

Via del Velabro, 9

00186 – Roma

Tel.: +39 06 6798 902

Aperto tutti i giorni dalle 18 alla 01

http://rhinocerosrooftop.com

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Non è un grido di battaglia, non è una scure, è una  gigantesca e scenografica bistecca, invitante e seducente, irresistibile per gli “agguerriti” carnivori.  

La Tomahawk è una bistecca molto scenografica che cattura subito l’attenzione di chi la vede per la prima volta: la polpa infatti è attaccata ad un lungo osso che può arrivare anche a 30 cm. Con Tomahawk si definisce infatti una costata con l’osso della costola lasciato intatto che si ricava dalla parte anteriore della lombata di manzo. Il curioso nome deriva dalla forma slanciata del suo lungo osso di 30 cm che viene lasciato intatto e che ricorda l’ascia che lanciavano gli Aborigeni e i nativi d’America. 

Da dove viene e quali sono le sue caratteristiche?

Questo taglio di manzo nasce in Australia, territorio nel quale si trova principalmente l’incrocio tra il Black Angus e il pregiatissimo e più recente Wagyu, ma si può ricavare, ovviamente, anche da altre razze. La carne è molto saporita e presenta un’evidente venatura di grasso. Le fibre sottili e la forte marmorizzazione portano la carne ad essere tenerissima e succosa. Nel tempo questo taglio è stato selezionato a partire anche da altre razze molto pregiate, tra cui la Rubia Gallega o la Simmental.

Per ottenere questa splendida porzionatura di carne, il manzo deve essere allevato con molta attenzione: viene lasciato libero di pascolare su rigogliosi prati d’erba e alimentato con una dieta che comprende anche cereali come mais e grano.

Nulla deve essere lasciato al caso per ottenere un taglio di eccellente qualità che già ad una prima occhiata rivela molto di quella che sarà la sua consistenza e il suo sapore.

Caratteristiche della Tomahawk

Alla vista la Tomahawk si presenta con uno spessore importante: solitamente la porzionatura è di non meno di tre dita.

Si nota subito anche un’altra importante caratteristica ovvero la marezzatura: grazie all’alimentazione a cui il bovino viene sottoposto e al movimento che pratica costantemente durante la sua esistenza, il grasso accumulato è penetrato vigorosamente all’interno dei muscoli.

Ciò significa che la carne sarà decisamente morbida come consistenza e succulenta alla prova del palato con un gusto deciso ma non troppo invadente.

Grazie ad una frollatura che generalmente si attesta intorno ai 30 giorni, la Tomahawk acquisisce una nota ancora più saporita ed intensa: ogni boccone ti metterà voglia di farne subito un altro.

Cottura della Tomahawk

Un aspetto interessante di questo taglio di carne è la sua facilità di preparazione che la rende adatta anche ai “griller” meno esperti. 

Queste qualità rendono il taglio un vero gioiello della macelleria e, come il carnivoro esperto può facilmente intuire quale sua la sua perfetta destinazione: la brace o la griglia. 

Una rapida cottura di pochi minuti per lato su una griglia rovente è ideale perchè la bistecca Tomahawk forma una sottile crosticina in grado di trattenere tutti i succhi della carne per poi sprigionarli con forza al momento dell’assaggio.

Note Generali

Le Tomahawks sono tagli di grosse dimensioni e pesano tra 1 e 2 kg, sono quindi destinate ad essere condivise. 

  • Se la tomahawk è congelata va scongelata bene in frigo un paio di giorni;
  • Va tolta dalla confezione, asciugata completamente con carta da cucina e lasciata riposare a temperatura ambiente. 
  • Condire, condire e condire! Questo il must per essere poi pronti alla cottura! Condisci liberamente ogni lato della costata con un velo di olio extra vergine, sale, pepe, erbe aromatiche a piacere appena prima di cuocerla. 

1) Il barbecue e la sigillatura

Utilizzare un barbecue è il miglior modo per cuocere la tua Tomahawk . Preriscaldare il barbecue ad alta temperatura intorno ai 250°C e sigillare con una scottatura tutti i lati della carne compreso ogni bordo.

Abbassare poi la temperatura fino a 160°, chiudi il coperchio e cuoci per circa 15-20 minuti in cottura indiretta. Controllare sempre la temperatura interna con un termometro preciso (guarda qui sotto la guida di riferimento per sapere quando toglierla dalla griglia). Lasciare riposare la carne in un ambiente caldo coprendola con un foglio di alluminio per 10-15 minuti. 

2) Il Reverse Searing  

Un altro approccio per la cottura della Tomahawk utilizzando il barbecue è il“reverse sear”. 
Questo metodo prevede di cuocere in forno o sul bbq la costata o la bistecca lentamente e a bassa temperaturara e di finirecon il sigillare la carne con una scottatura finale che grigli la carne.

Portare pertanto il BBQ o il forno alla temperatura di 50°C; inserire la tomahawk sopra alla griglia e girala ogni 5 minuti fino a che la temperatura interna raggiunge i 50°C. A quel punto coprire la carne con della carta stagnola. 

Alzare la temperatura a circa 200°-220°C. Porre la carne sulla griglia rovente per far si che la superfice si sigilli e cauterizzi dopo circa 1-2 minuti, su tutti i lati. Con questo metodo non serve lasciar riposare ancora la carne, quindi, tolta dalla griglia, puoi servirla e gustarla in compagnia in tutta la sua bontà! 

Gradazione della cottura 

Qualunque tecnica tu decida di utilizzare, il consiglio è quello di non rischiare la finitura della tua Tomahawk senza un controllo della temperatura interna utilizzando un termometro.
Qui una guida di riferimento per sapere quando la carne dovrebbe essere tolta dalla griglia e la temperatura finale di riposo. 

  Al sangue Media al sangue Media Media ben cotta Ben cotta 
Togliere dalla griglia 50-55o55-60o60-65o65-70o70o
Temperatura di riposo finale 60o60-65o65-70o70o75oC+ 

Servizio 

Il servizio è l’ultimo atto di questo spettacolo!
Portala in tavola su un bel tagliere e tienila ben salda per l’osso quando l’affetti contro vena rifilandola fino all’osso. Insaporisci i bocconi con sale e pepe, magari accompagnata da una salsa chimichurri, con una senape o con la più tradizionale bernese insieme a delle patate rustiche, arrosto o fritte.

Il sale ideale per la Tomahawk è il sale rosa dell’Himalaya o il sale bianco a scaglie di Maldon, caratteristico per i cristalli particolari a forma di piramide cava che ricevono perfettamente la succulenza del taglio tomahawk. 

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Panciuto, soffice, irresistibile, goloso in ogni sua variante: è il “Santo Maritozzo”. Appellativo romanesco, storico e quaresimale che ha contribuito a infondere ancora maggiore notorietà a questo dolce antico, emblema di semplicità e trasversalità. Questa è la sua storia tra leggende, curiosità e varianti regionali. Buona lettura e Auguri a Tutti i Santi!

Che sia con panna montata, quaresimale con uvetta e pinoli, contemporaneo in varianti creative o riletto dal benessere alimentare, il fascino del maritozzo ha resistito intatto al tempo. Il Maritozzo infatti è ancora oggi uno dei dolci più amati della tradizione gastronomica capitolina, le cui origini risalgono all’antica Roma.

È già allora che fa la sua comparsa una sorta di antenato del maritozzo: una grossa pagnotta a base di farina, uova, olio o strutto e sale, addolcita con uvetta e miele, preparata dalle donne come alimento sostanzioso per le giornate di lavoro all’aperto dei braccianti e dei pastori.

Nel Medioevo diminuisce leggermente la pezzatura, il sapore si arricchisce di frutta secca, come pinoli e canditi, e l’impasto, privo di strutto, si fa più scuro. Il maritozzo è noto come “Quaresimale”, unica, gustosa eccezione al periodo di digiuno imposto dai lunghi quaranta giorni prima della Pasqua.

È proprio da qui che il dolce diviene “er santo maritozzo”, celebrato nel 1833 dal grande poeta Giuseppe Gioachino Belli – che nei suoi 2279 Sonetti romaneschi, composti in vernacolo romanesco, raccolse la voce del popolo romano del XIX secolo nel suo sonetto – lo cita in quello dal titolo La Quaresima.

Come io nun zò cristiano!

Io fo la spesa / oggni ggiorno der zanto maritozzo /

Io nun cenavo mai, e mmó mme strozzo/ pe mmaggnà ott’oncia come vò la cchiesa. 

Gioacchino Belli

Uno dei più grandi poeti romaneschi spiega quindi come per il popolano romano “il vero cristiano è colui che durante la Quaresima mangia i maritozzi.” Belli aggiunge anche una nota in italiano (dell’epoca) per spiegare: “I maritozzoli sono certi pani di forma romboidale, composti di farina, olio, zucchero, e talvolta canditure, o anaci, o uve passe. Di questi si fa a Roma gran consumo in Quaresima, nel qual tempo di digiuno si veggono pei caffè mangiarne giorno e sera coloro che in pari ore nulla avrebbero mangiato in tutto il resto dell’anno”. E qua c’è già quasi tutto. Il tono quaresimale è dato dall’uso dell’olio, invece del più consueto strutto. Tra gli ingredienti ci possono essere anche miele o burro.

Dal Medioevo a noi il Maritozzo non ha subito poi tante modifiche, fatta eccezione della panna montata, usanza sempre romana, ed è rimasto uno di quei dolci che ancora oggi potrebbe mettere tutti d’accordo: amato infatti sia dai sostenitori della semplicità, sia da chi rimane attratto gusti nuovi e varianti gourmet. Un dolce quindi trasversale, che potrebbe fare capolino sulle tavole dalla colazione, una merenda corroborante, un peccato di gola, chiuso nella sua carta di pasticceria, divenire chiusura del pasto della domenica o diventare esso stesso, nelle sue varianti creative e salate, re di un’insolita pausa-pranzo.

La certezza dell’impasto di base di questo composto da acqua, farina, lievito, zucchero o o miele, latte, uova e burro/olio (un tempo strutto) annovera oggi numerose interpretazioni ad opera di chef, pastry chef mastri fornai.

Il maritozzo: storia di un nome tra racconti e leggende

Oltre all’origine storica di questo dolce senza tempo, sono tante le leggende, i racconti e gli studi che tentano di restituire l’etimologia del suo nome. Sull’origine del nome “maritozzo” e sui suoi usi, molteplici sono i racconti e le leggende riportati da alcuni tra i più grandi studiosi, artisti e poeti della tradizione romana come Giggi Zanazzo, Adone Finardi e il già citato, Giuseppe Gioacchino Belli.

Anche il grande folklorista Luigi Zanazzo, nel suo “Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma”, con prosa in romanesco spiega come “una mucchia d’anni fa, dda noi, s’accostumava, in tempo de Quaresima, er primo vennardì de marzo, de portà’ a rigalà’ er maritózzo a l’innammorata. ’Sto maritózzo però era trenta o quaranta vorte ppiù ggranne de quelli che sse magneno adésso; e dde sopre era tutto guarnito de zucchero a ricami. In der mezzo, presempio, c’ereno du’ cori intrecciati, o ddu’ mane che sse strignéveno; oppuramente un core trapassato da una frezza, eccetra, eccetra: come quelle che stanno su le lettere che sse scriveno l’innammorati. Drento ar maritòzzo, quarche vvorta, ce se metteveno insinenta un anello, o quarch’antro oggetto d’oro”.

A riprova di ciò Zanazzo cita anche diversi stornelli o “ritornelli”, come si diceva a Roma.

“Oggi ch’è ’r primo Vennardì dde Marzo/ Se va a Ssan Pietro a ppija er maritòzzo; Ché ccé lo pagherà ’r nostro regazzo”. “E dde ’sti maritòzzi:/ Er primo è ppe’ li presciolósi;/ Er sicónno pe’ li spósi;/ Er terzo pe’ l’innamorati;/ Er quarto pe’ li disperati”. “Stà zzitto, côre:/ Stà zzitto; che tte vojo arigalàne/ Na ciamméllétta e un maritòzzo a ccôre”.

E infatti certi maritòzzi ereno fatti a fforma d’un côre”, annota Zanazzo.

Così, il primo venerdì di marzo il fidanzato, donava alla sua fidanzata un maritozzo come gesto d’amore e promessa di un futuro insieme. Forse nascondeva un anello, o un altro oggetto d’oro, ma era proprio in questa occasione che al fidanzato si dava l’appellativo di “maritozzo”, una storpiatura del termine “marito”, proprio a voler simboleggiare l’impegno della proposta matrimoniale.

Secondo la tradizione del tempo, e in particolare grazie agli studi di Zanazzo, sappiamo anche che sul maritozzo venivano realizzate anche decorazioni di zucchero raffiguranti cuori, mani giunte e cuori trafitti dalle frecce di Cupido, una sorta di “milk-art ante litteram”.

Secondo un altro filone interpretativo, il nome “maritozzo” sembra avere origine dall’usanza secondo cui le giovani ragazze in cerca di marito donavano un dolce a forma di cuore al più bel ragazzo del paese. Quest’ultimo avrebbe preso in sposa la ragazza artefice del maritozzo più buono. Sembra inoltre che il maritozzo abbia assunto nel tempo denominazioni diverse a seconda della zona in cui veniva preparato. Nomi come “maritelli”, “panmariti” e “panpariti” sono solo alcune di queste denominazioni alternative.

Le varianti del maritozzo

Il maritozzo non è diffuso unicamente nel Lazio, ma anche in altre regioni del centro e del sud Italia come le Marche, la Sicilia e la Puglia.

Il maritozzo classico, quello tipicamente laziale, è preparato con un panino dolce dalla forma arrotondata, farcito con soffice e abbondante panna montata zuccherata. Un’altra variante laziale prevede una farcitura di panna arricchita con pinoli e uvetta.

Il maritozzo marchigiano è preparato con un panino dalla forma tipicamente allungata e la farcitura non prevede la presenza dei pinoli.

Il maritozzo pugliese ha una forma di una treccia, mentre quello siciliano viene preparato sia a forma di treccia sia a forma di panino rotondo.

Talmente celebre la sua storia da creare una ricorrenza annuale: Il Maritozzo Day, una maratona celebrativa del gusto che coinvolge i migliori Maîtres Pâtissiers e Artigiani capitolini. Dalla classica farcitura di panna, i pasticceri e gli chef hanno dato via libera alla fantasia, realizzando nuovi e abbinamenti dolci e salati. Si spazia dal cioccolato alle confetture di frutta e crema chantilly a panini d’autore con pomodorini, baccalà, salmone, rucola, burrata e alici, polpette, frutti di mare, carni pregiate, amatriciana e carbonara, fino a versioni vegane e gluten free pensate per tutti coloro che hanno particolari esigenze alimentari e che non intendono rinunciare all’intramontabile bontà del maritozzo.

Oltre alle varianti dolci, sono molte le varianti del maritozzo salato. Questo viene preparato con un impasto meno zuccherato e farcito con alimenti salati quali salumi, formaggi, pomodoro, acciughe, baccalà, pesti, paté, prestandosi molto bene ad abbinamenti gourmet.

Foto nell’articolo – sezione Maritozzo Day – da “Il Maritozzo Rosso“, primo format dedicato al maritozzo salato a Roma

Foto di copertina al Link

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