Sara De Bellis

Piccole scelte, grandi mutamenti. Un’Alleanza per cambiare il mondo è possibile, si chiama SlowFood

L’Alleanza Slow Food dei Cuochi compie 10 anni e si pone come nuovo obiettivo diventare motore del cambiamento contro la crisi climatica. Una sfida che va dal sostegno alla biodiversità locale a quella dei piccoli produttori, passando per un nuovo attivismo del cuoco.

E’ ancora possibile giocare un ruolo cruciale contro l’attuale crisi
climatica, sensibilizzando gli avventori della propria osteria o ristorante attraverso l’esperienza diretta? Facendo gustare ai propri ospiti il piacere di un buon piatto che non pesi sull’ambiente e che ripaghi il lavoro di chi ne ha prodotto gli ingredienti?

E’ questa la nuova sfida dei cuochi dell’ Allenanza Slow Food che, in ogni angolo del mondo hanno l’occasione quotidiana di raccontare concretamente, cucinando con passione e ragione, che piccole scelte possono davvero portare a grandi mutamenti. 

E così si sono riuniti a Bologna, presso FICO Eataly World, oltre 100 protagonisti italiani dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi, il progetto nato 10 anni fa per sostenere i produttori di piccola scala custodi della biodiversità. L’Alleanza riunisce circa 1.100 cuochi di osterie, ristoranti, bistrot in 25 Paesi del mondo, che si impegnano a utilizzare ogni giorno nelle loro cucine i prodotti dei Presìdi Slow Food, dell’Arca del Gusto e dei loro territori. I rappresentanti della rete italiana (che conta oltre 500 cuochi in tutta la penisola) insieme ad alcuni esponenti da Francia, Sudafrica e Bielorussia, accolti da Francesco Sottile del Comitato Esecutivo di Slow Food Italia e da Massimo Macchitella, Responsabile Small Business UniCredit, si sono confrontati sugli ingredienti di quella che potremmo definire la ricetta per il cambiamento (ambientale e climatico) secondo Slow Food.

Questi i Punti:

  • impatto della ristorazione sul clima e sostenibilità delle scelte di approvvigionamento a partire dalle filiere più impattanti, ovvero quelle della carne e dei latticini;
  • sostegno ai produttori locali di piccola scala, dei Presìdi Slow Food e dei prodotti dell’Arca del Gusto del territorio;
  • consapevolezza del ruolo centrale del cuoco come educatore e attore protagonista di una comunità locale che ruota intorno ai produttori/fornitori e ai cittadini/clienti;

«Ogni giorno incontriamo centinaia di persone e grazie ai nostri piatti abbiamo la possibilità di piantare un piccolo seme di consapevolezza e cura nei confronti della nostra salute e del nostro Pianeta. È di fatto un’attività di divulgazione e di educazione rivoluzionaria che il cuoco svolge naturalmente, semplicemente spiegando le proprie scelte a partire dal gusto e dalla convivialità» ha raccontato Gabriella Cinelli, del ristorante Villa Adriana di Tivoli, Rm, che grazie alle attività di formazione per gli studenti e i suoi clienti, ha unito la tradizione della sua famiglia con la passione per l’insegnamento.

A sostenere la testimonianza di Gabriella anche Christian Borchi, della Locanda Antica Porta di Levante di Vicchio, Fi, per cui nel supportare i produttori di piccola scala del proprio territorio va oltre la fornitura: «I cuochi sono un collante del territorio, facendo rete tra di loro e con i produttori, aiutandoli nella logistica e nel miglioramento dei prodotti, da un punto di vista della tecnica di trasformazione e della qualità organolettica, ma anche per migliorare il vissuto quotidiano di contadini, allevatori e artigiani, tra i quali moltissimi sono giovani e hanno voglia di sperimentare». A fargli eco anche Juri Chiotti, giovane chef stellato nel suo locale a Cuneo che per riconnettersi con le sue origini ha realizzato Reis, ristorante a Frassino, Cn, intorno al quale ha costruito una Comunità Slow Food insieme ai produttori della Val Varaita: «Il ristorante è il punto di riferimento di un percorso di avvicinamento tra cucina, agricoltura e allevamento che coinvolge i produttori delle borgate, quelli storici e quelli che come me stanno sposando questo progetto».

Il clima è servito.

Qual è il ruolo del cuoco nei confronti della crisi climatica e
quali azioni può mettere in atto per ridurre l’impatto ambientale
della propria attività?
A queste domande ha risposto Indaco2, società di consulenza composta da esperti in sostenibilità e comunicazione ambientale, ha condotto
mettendo a confronto l’impatto del ristorante Les Résistants,
nel quartiere République di Parigi con una realtà che propone un
menù “climate-friendly”, con un ipotetico locale che propone un menù identico ma che opera scelte di acquisto convenzionali.
«I risultati sono sorprendenti» hanno raccontato Elena Neri e
Riccardo Pulselli, di Indaco2. «Nel confronto con il ristorante che propone lo stesso menù, l‘impatto di chi sceglie fornitori sostenibili è inferiore del 50% rispetto a quello di chi fa ristorazione rifornendosi presso produttori convenzionali. Il confronto è poi schiacciante (impatto 4,5 volte minore) se viene effettuato con un ristorante che propone un menù diverso da quello de Les Résistants, più ricco di piatti a base di carne e latticini e che non presta attenzione a evitare sprechi in cucina e in sala».
«Il mio obiettivo era creare un’impresa sostenibile, attenta a ristabilire un giusto rapporto tra campagna e città, che rispettasse e valorizzasse il
lavoro degli agricoltori. Volevo anche proporre piatti buoni e raggiungere una soddisfacente performance economica
» ha raccontato 
Florent Piard de Les Résistants alla platea. «Sono sempre stato attratto dai contadini e dalle campagne; prima di aprire il mio ristorante ho
studiato a fondo, andando a visitare ogni tipo di fattoria per oltre un
anno. Ho studiato i prodotti e le filiere per acquistare il meglio dalle varie regioni della Francia e ottimizzare la logistica. Ognuno di voi può
prendere spunto dallo studio di Indaco2 per adattare il modello de Les Résistants alla propria attività e quindi ridurre l’impatto sull’ambiente e sul clima, proteggendo al tempo stesso il mondo dell’agricoltura di piccola scala e sostenibile
».
 
Ma a cosa si deve l’impatto ambientale di un ristorante?
E quali sono le buone pratiche suggerite da Indaco2
sulla base del modello de Les Résistants?
Lo studio rileva che la sostenibilità è molto condizionata dalla
scelta di materie prime prodotte secondo pratiche agricole e zootecniche virtuose più che dalle distanze percorse dai singoli prodotti
acquistati: i concetti di filiera corta e chilometro zero, soprattutto nel contesto delle grandi città, hanno infatti una valenza relativa.

Anche la loro politica di zero-spreco incide fortemente nel limitare il loro impatto ambientale. 

Ecco il menù climate friendly proposto da Slow Food

Meat the Change: ovvero meno carne e di migliore qualità per il bene nostro e del Pianeta.

Per raccontare l’esperienza dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi rispetto al tema del consumo di carne, è intervenuta la sudafricana Caroline McCann: «I cuochi dell’Alleanza Slow Food locale hanno rilanciato le campagne di sensibilizzazione proposte da Slow Food in questi anni, invitando i loro clienti a mangiare meno carne ma scegliendola meglio, acquistandola direttamente da produttori in grado di allevare in modo sostenibile o da macellai di fiducia che conoscono gli allevamenti, e imparando a utilizzare tutti i tagli, anche quelli ritenuti meno pregiati. Questi allevatori esistono e hanno bisogno di noi per continuare ad allevare con rispetto per gli animali e per la terra». 

In questo senso va anche la nuova campagna di Slow Food Meat the Change, realizzata con il contributo del Ministero italiano dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, che aiuta a comprendere l’impatto del consumo di carne e degli allevamenti intensivi sulla crisi climatica, partendo da un piccolo quiz che fa riflettere sulle abitudini quotidiane. 
 

Naturale è possibile.

Un tema centrale intorno al quale il mondo dell’agroalimentare di qualità si sta già interrogando è quello della produzione naturale, come ha evidenziato Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus: «Si tratta di una concezione strategica per il nostro futuro, non una visione nostalgica dei prodotti tipici tradizionali. È quello che del resto sta già avvenendo, e lo abbiamo visto lo scorso settembre a Cheese a Bra, con i formaggi senza fermenti selezionati e i salumi senza nitriti e nitrati, ma anche i vini senza lieviti selezionati e i pani a lievitazione naturale che rappresentano movimenti già affermati. E ne è la prova il grande lavoro di ricerca e sviluppo che le grandi aziende più accorte e i produttori di piccola scala stanno svolgendo per sperimentare le alternative già oggi praticabili, aprendo la strada a consumi più razionali, sani, equilibrati e sostenibili, ed è questo il sentiero che molti cuochi stanno già percorrendo nei propri territori». 


Proprio da Cheese, con il supporto del Consorzio Parmigiano Reggiano,
formaggio naturale per eccellenza e
Sostenitore Ufficiale di Slow Food Italia, l’associazione ha avviato una serie di incontri di formazione sulle tecniche di produzione dei formaggi naturali e dei fermenti autoprodotti, rivolti ai produttori della manifestazione. Questi incontri proseguiranno in tutta Italia e avranno come focus i formaggi dei Presìdi Slow Food. 

L’incontro nazionale dell’Alleanza Slow Food dei Cuochi è stato ospitato a Bologna presso FICO Eataly World ed è stato realizzato grazie al sostegno degli Official partner UniCredit e Consorzio Parmigiano Reggiano e del Partner tecnico Cantina Santi del Gruppo Italiano Vini.
FOTO CREDITS: Tiziana Favi e Tiziana Tacchi (Italia) Adele Stiehler Van Der Westhuizen (Sudafrica) Anton Kalenik (Bielorussia) @Oliver Migliore @Marco Del Comune