É lo chef più giovane del circuito dei Dépositaires Dom Pérignon, in tre anni ha saltato ogni ostacolo, vinto ogni sfida. Sicuro di sé, abile, solitario e sempre al lavoro nel proprio atelier, Andrea Antonini, Executive Chef di Imàgo, porta avanti con abile fermezza la sua brigata di Cucina, dialoga con l’importante Sala e crea un nuovo microcosmo di grande coerenza e piaceviolezza.
Il suo estro in cucina parla italiano e vola leggero tra cromatismi e rigorosa tecnica. Padroneggia la materia senza mai deluderla anzi, la divide con piglio neoimpressionista e la ricostruisce in “gallerie” per mostrare le inespersse potenzialità di quell’accordo noto tra sapori che noi chiamiamo “tradizione”.
“La tradizione è una cosa seria”. Queste sono le parole scritte sulla tovaglietta di carta a quadretti bianchi e rossi che si posa leggera sulle tavole dell’Imàgo, vestite di candido e teso lino irlandese.
Una tovaglietta di carta sottile, che anticipa la “galleria” delle seconde portate previste dal percorso degustazione, posata con grande savoir-faire e ironia sulla tavola di un prestigioso ristorante stellato Michelin che, dalla sua posizione privilegiata, osserva fiero la distesa di Cupole e Campanili di Roma immensa.
Andrea Antonini la fa accomodare assieme una lunga serie di garbate provocazioni da mangiare per richiamare un’idea, per sottolineare un concetto. Quale? “La tradizione è una cosa seria” e, per questo, va presa con leggerezza.
Quella stessa “leggerezza” di cui Italo Calvino ci parla nelle sue “Lezioni Americane” (1988), scrivendo:
“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
Una frase che, consentitemi la veloce digressione, è sunto di una filosofia di vita più saggia, più adulta, che ci invita a vivere con “leggerezza” ovvero con la capacità di non dare peso all’inessenziale riuscendo così a “planare sulle cose”. Essere leggeri non significa essere superficiali tutt’altro, significa arrivare al cuore delle cose, riuscire a liberarsi dai pesi che non ci appartengono.
Così, Andrea Antonini, Executive Chef di Imàgo, (ne avevamo parlato qui) determinato, talentuoso, coraggioso, rigoroso, creativo e sempre al lavoro nel proprio atelier, porta avanti le sue idee. Il suo estro di cucina diverte e parla italiano. Padroneggia la materia gastronomica con fierezza, lucidità e detrezza, senza mai mancarle di rispetto anzi, potenziandola, la divide e la ricostruisce in modo nuovo mostrando inespresse potenzialità e forme di quell’accordo noto tra sapori che noi chiamiamo “tradizione”.
La sala diretta da Marco Amato, per completamento, è perfetta: dinamica, partecipativa, attenta, competente, presente e discreta al contempo.
Il “Carrello delle Bollicine” è sempre presente e a disposizione degli ospiti, così come la grande capacità di saper dare il consiglio giusto, di istruire su nuove interessanti etichette, fino ai millesimi storici e alle annate pregiate di Dom Pérignon.
La tavola è essenziale, via via più asciutta. L’atmosfera è leggera, piacevolissima. La vista, ogni volta, un colpo al cuore.
Imàgo 7 – Il Menu
Crescita personale, una grande libertà espressiva, dinamismo, intrattenimento e talento nel trasferire unicità, sapore lungo e stile moderno ad ogni singola portata, grande o piccola che sia.
Imàgo 7 è un menù al quale abbiamo partecipato tutti attivamente e che ha coinvolto l’intero ristorante a livello creativo, racconta lo Chef.
Andrea Antonini approccia la cucina classica con rigore scientifico e vocazione emozionale creando continui divertissement per suoi commensali espansi dalla sempre più collaudata “ImàgoCrew”.
I suoi piatti partono sempre dalla centratura sul gusto, sia quando gioca con forme, consistenze e rimandi, sia quando divide la materia seguendo nuove personali logiche. Così come accade negli “Gnocchi al ragu” e nel “Pollo e Peperoni”.
Piatti noti ai quali applica una tecnica che mi ha ricordato quella pittorica dell’ l’artista parigino Georges- Pierre Seurat, il pointillisme, l’impressionismo scientifico, i suoi “pixel” su tela, il contrasto simultaneo e la ricomposizione retinica di un’immagine univoca, brillante, tenuta in questo caso insieme dalla forza di titoli familiari come Crudo misto di mare, Gnocchi al ragu, Pollo e peperoni.
Ad ogni ondata di portate amabilmente servite, sulla tavola il soggetto si divide e si ricompone in un nuovo quadro.
Sono le “gallerie” delle entrées, degli antipasti, rapporti cromatici di terra e di mare che giocano con lo stesso stile sia con le tipicità regionali sia con le “icone di moda”.
Le emozioni arrivano ad ogni piccolo bon bon realizzato da rigorosa tecnica al servizio del sapore, con twist di ironia e solida leggerezza.
Ci sono le bolle da far scoppiare con il naso, i bocconi di parmigiano e quelli di parmigiana, i crostini al cacao con il ciauscolo e finocchietto, la cibattina con la porchetta servita con il piccolo boccale di birra, lo spicchio di “meringa di pizza” che svanisce in un morso rilasciando il suo aroma preciso, il finto sushi, il club sandwich di mare con tanto di bandierina.
Ma il pointillisme (o divisionismo) cui accennavo arriva a tavola negli “gnocchi al ragu” – piatto iconico dell’intero percorso – dove l’analisi grammaticale della ricetta trova con gli stessi ingredienti una nuova consistenza e una nuova verbosità giocata sul concetto di crudo e cotto. La risultante è quella del ricordo, le consistenze tutt’altro.
Ancora più in evidenza nel “Pollo e Peperoni”, anicipato dalla tovaglietta a quadri attorno alla quale si scompone e ricompone il pollo, esaltato e caratterizzato in ogni suo quarto, dal boccone del prete fino alle “alette in salsa bbq” da mangiare con le mani con gli appositi guanti.
Chiusa la prima sfilata, entra in scena la pastry chef Mariasole Martella con il suo sublime quanto scenografico “Lemon Curd”. Seguono i carrelli di dolci con piccola pasticceria e primizie di stagione; e ancora quello dei Formaggi con attente selezioni tutte provenienti del Lazio e che seguono diverse logiche di percorso sulla base della territorialità, tipologia di latte e stagionatura.
Oltre al percorso degustazione Imàgo 7 annovera piatti come Carne cruda alla Rossini; Ravioli di Aragosta, funghi, tartufo nero; Sogliola alla mugnaia; Branzino al verde; Pesca vino e cioccolato bianco, proposte pensate tutte nel dettaglio e nel rispetto dei sapori iconici, con le radici ben salde nei sapori italiani e grandi finestre spalancate sul futuro.
Imàgo si conferma essere una grande cucina davvero, all’altezza della sua vista, ambasciatrice di uno stile italiano senza tempo intrepretata con stile moderno, animata da una continua tensione all’eccellenza, sicuramente meritevole di qualche “luce” in più.
Imàgo all’Hassler
Piazza della Trinità dei Monti, 6 – 00187 Roma (RM) Tel: +39 06 6993 4726 SITO
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