Sara De Bellis

Autore: Sara

This is our archive page

A Roma, a due passi da Fontana di Trevi, debutta DON PASQUALE Restaurant & Bar del Boutique Hotel Maalot. Un salotto del gusto ricercato e contemporaneo, sensuale ed eccentrico, con un menu che inneggia alla cucina romana, pensato come fosse un programma d’opera teatrale di musica e balletto, inclusi i “colpi di scena”.

Sono diverse e tutte degne di nota le cifre stilistiche che definiscono l’offerta “all day dining” che fa preso forma nel salotto a “tinte forti” di Via delle Muratte, tra velluti e bon bon di tradizione romana.

Deve il suo nome all’opera buffa che Gaetano Donizetti compose nel 1842.

Parliamo del Don Pasquale Restaurant & Bar, pancia e cuore pulsante del Boutique Hotel Maalot a Fontana di Trevi, ultimo nato del Gruppo Shider che ci riserverà a breve altre novità .

Perchè “Don Pasquale”?

Perchè proprio qui, in questo palazzo del rione Trevi, quando tutto intorno era il rumore delle carrozze e l’ininterrotta musica dell’acqua della splendida fontana, Donizetti abitò dal 1828 al 1837 (così come ricorda l’incisione sulla parete esterna) e furono gli anni che si rivelarono i più prolifici della sua produzione.

Oggi, in questo palazzetto dell’ottocento, si accende di nuova energia e vibrante voglia di nutrirsi di buono nel bello.

Concedersi un pausa tra queste poltrone, rilassarsi nell’azzurro pavone o nel rosso intenso dei lunghi sofà tra pareti affollati da quadri, è un piacere da concedersi il più spesso possibile e per sfuggire al caos subito fuori.

Location

Oltre la veranda esterna che incornicia l’ingresso, la grande cura per gli arredi accoglie e accompagna gli ospiti per il corridoio che conduce nella corte centrale dal sapore deciso e “teatrale” con i dipinti disposti fittamente fino al soffitto per ricordare la “vocazione delle Muratte”, un tempo la via degli artisti con botteghe e atelier.

Infatti, il progetto architettonico dell’intero palazzetto dove oggi abita l’Hotel Maalot (sviluppato su 4 piani per circa 3000 mq), è firmato dall’Architetto Roberto Antobenedetto di RPM Proget e rispecchia appieno la volontà di mantenere l’heritage del luogo proiettandola in una visione contemporanea, sontuosa e ribelle al tempo stesso.

La Collezione “Almost Classic”

C’è più di un motivo per tornare al Don Pasquale. Si perchè tra la sala-studiolo, tappezzerie animalier, cuscini, tendaggi, imponenti lampadari e parquet di rovere e particolari coloniali, la vera emblematica, suggestiva, protagonista della scena (seppur sulle pareti) è la galleria di apparenti capolavori storici, una collezione di quadri “Almost Classic”, ovvero geniali dipinti irriverenti firmati dall’argentino Stanley Gonczanski che si è divertito nel “ridipingere” Fiamminghi tatuati con lo sguardo ammiccante, Maria Antonietta che mangia il gelato o Napoleone sul Cavalluccio a Dondolo.

Stanley Gonczanski, regista, direttore creativo e illustratore argentino appassionato dei Maestri classici. I suoi collage di arte digitale sono densi di ironia che a tratti si trasforma in satira, per dare un messaggio moderno e irriverente, contemporaneo, suggerendo un nuovo modo di godersi l’arte classica, o quasi.

“Cosa Mangia Don Pasquale”?

Gli ambienti del Maalot sono aperti all’ospitalità e convivialità. Al Don Pasquale cono circa 60 i coperti tra veranda e salotto, divani e tavoli-teca con rare maioliche portoghesi verde intenso.

Alla regia Domenico Boschi, Executive Chef, orgogliosamente romano, che abbina con decisione i sapori tradizionali della sua città natale alla sua creatività e alle tecniche contemporanee apprese negli anni. Arrivano così, all’aperitivo, piccoli maritozzi con le polpette al sugo, i Mini burger, i supplì, le melanzane alla parmigiana: piccoli bon bon di sapori di tradizione per accompagnare piacevolmente vini, cocktail o “giocare la Carta” degli Champagne.

Oltre i grandi classici della cucina capitolina, che vuole rimanere tale con convinzione e per offrire ai turisti, viaggiatori e clientela locale, i sapori autentici di Roma più autentici, il menu annovera piatti come Carciofo alla Romana, Baccalà mantecato e Bottarga d’Uovo; Linguine ajo, ojo e scorfano; Baccalà fritto con i carciofi; Agnello con la sua salsiccia e cicoria, vitello alla fornara e broccoli; unitamente a scelte più cosmopolite come Club sandwich o Avocado toast.

Proposte che vengono tutte realizzate con ingredienti e materie prime del vasto e rigoglioso territorio laziale, poi presentate con garbo e grande cura.

“Il nuovo Maalot Roma e il suo ristorante Don Pasquale – racconta il General Manager Edoardo Officiososi propone di diventare, nel cuore della Roma più autentica, il punto di riferimento per una clientela anticonformista, giovanile, amante del bello e della buona cucina. I nostri ospiti saranno avvolti da un’atmosfera vibrante fatta di colori, di arte, di gusto e da un servizio attento, amichevole ma discreto”.

Qui ovunque si può bere un caffè, fare colazione, fermarsi a pranzo o sorseggiare un tè nel pomeriggio, prendere un aperitivo, cenare in grande stile o sorseggiare un cocktail dopo teatro.

Don Pasquale Restaurant & Bar – Maalot

Roma, Via delle Muratte 78, tel. 06/878087

Read more

Grano, materie prime, energia elettrica spingono i costi alle stelle, problemi che, sommati ai due anni di restrizioni legate alla pandemia, disegnano un quadro ai limiti della decantata “sostenibilità”. Quali le cause degli aumenti, quali le prospettive, quale l’impatto sui consumatori? Cercheremo di capirlo insieme.

La pandemia di Covid-19 ha rappresentato uno shock non solo a livello sanitario, ma anche socioeconomico, riconfigurando le nostre abitudini, i nostri consumi, il lavoro e il nostro stesso modo di vivere.

Cambiamenti repentini, impensabili, che non lasciano molto spazio alle prospettive perchè impongono una “navigazione a vista” mentre i costi delle utenze e delle materie prime continuano ad aumentare.

Dal punto di vista economico infatti, lo scorso anno e mezzo ha visto un aumento generalizzato del costo delle materie prime, soprattutto quello del grano duro, che sta mantenendo prezzi altissimi.

Le cause dell’aumento del prezzo del grano duro

Partendo dall’assunto che l’economia mondiale è ormai globalizzata, interconnessa e interdipendente – e che la determinazione del prezzo di un prodotto dipende dalla domanda e dell’ offertail settore cerealicolo non fa di certo eccezione.

Lo scossone subito dai prezzi del grano duro, con picchi che hanno raggiunto e superato nel 2021 incrementi in percentuale pari al 60%, è dovuto alla diminuzione della produzione di grano a livello mondiale. 

In questo caso, a determinare la scarsità di grano sul mercato mondiale sono state in primo luogo le inondazioni in Europa, che hanno fatto calare la produzione del 15%.

Ma il fattore principale è stato indubbiamente la siccità in Canada. Il Paese nord-americano è infatti il primo produttore al mondo di grano: è evidente che il passaggio da una media di 6,5 milioni di tonnellate prodotte alle 3,5 di quest’ultimo anno non può che impattare negativamente sul mercato internazionale.

Europa e Italia

In Europa si registrano livelli molto simili. In Italia vale lo stesso discorso, sebbene le rilevazioni dell’Ismea al 29 settembre 2021 ci hanno mostrato un quadro di maggiore stabilità, seppure su valori sempre molto elevati.

Il problema riguarda il nostro Paese molto da vicino. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, visto il clima mediterraneo e la nostra tradizione enogastronomica, l’Italia non è autosufficiente dal punto di vista della produzione di grano, data anche la grande richiesta interna di pasta, pane e prodotti simili.

Il nostro settore cerealicolo riesce a soddisfare il 70% della domanda interna, una quota certo rilevante, ma che lascia scoperto un 30%, che influenza naturalmente l’andamento dei costi e per il quale siamo costretti a importare dall’estero.

L’impatto su Consumatori, Artigiani e Ristoratori

Ma quale potrà essere l’impatto dell’aumento del prezzo del grano duro sui consumatori? È una domanda che si pongono molte organizzazioni e associazioni del settore, ma anche aziende produttrici.

Partiamo col dire che l’aumento sta interessando tutte le materie prime in generale, con evidenti ripercussioni sui prodotti derivati. Per quel che riguarda il comparto cerealicolo, non fanno eccezione la semola, con un balzo ancora più netto del +6% tra giugno e luglio, né le farine tenere. I dati riferiti a luglio 2021 evidenziano un aumento rispetto a dodici mesi prima del 9,9% per il grano duro e del 17,7% di quello tenero.

Il calcolo effettuato a luglio scorso da Confesercenti sulle ricadute sui consumatori prevede un aumento dei prezzi all’origine intorno al 10% rispetto al 2020 per il grano duro, e del 17,7% per quello tenero.

A confermarlo è stato anche Vincenzo Divella, amministratore delegato del gruppo pugliese, in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore: «I primi 30 centesimi li abbiamo dovuti chiedere dopo l’estate, per far fronte all’aumento vertiginoso del costo della nostra principale materia prima, cioè il grano. Tra giugno e oggi, il prezzo del grano alla borsa di Foggia è cresciuto del 90%. Un rincaro che non avremmo mai potuto ammortizzare da soli, basta pensare che per noi la semola rappresenta il 60% di tutto il costo di produzione della pasta».

L’aumento interessa einteresserà quindi probabilmente anche i prodotti derivati dai cereali, come il pane e la pasta (che in realtà ha già visto rialzarsi il prezzo al dettaglio).

Durante la pandemia, in particolare nei primi mesi di lockdown, questo tipo di alimenti aveva registrato una rapida ed esponenziale crescita della domanda interna e delle vendite, intorno al 3,7% complessivo, con un vero e proprio boom delle farine, che nel 2020 avevano toccato un +38%.

Materie Prime & Co.

L’effetto domino dei rincari è giunto fino alle tasche dei consumatori, colpendole profondamente. I dati delle tabelle si sono riversati inesorabilmente sugli scaffali dei negozi generando pesanti conseguenze sugli esborsi di produttori, venditori e acquirenti.

I rincari energeticihanno condizionato tutte le fasi del ciclo produttivo degli imprenditori agricoli, passando pesantemente per l'imballaggio. Hanno intercettato e variato il costo della plastica, dell’acciaio, del vetro, del legno, della carta, del riscaldamento delle serre, dell’essiccazione dei foraggi, delle macchine agricole e dei loro pezzi di ricambio.

Con l’arrivo dell’autunno, ci si sono messi tutti gli altri rincari: il costo del cellophane è aumentato del 25%, il gas del 300%, l’elettricità anche. Per questo a gennaio abbiamo chiesto alla grande distribuzione altri 12 centesimi al chilo.

Oltre il Grano, c’è infatti molta incertezza per lo zucchero e per il caffè a causa dei rischi meteorologici di La Niña in Brasile. Perciò, è probabile che i prezzi del caffè rimarranno elevati fino a quando il mercato non avrà le idee più chiare su quanto sarà grande il prossimo raccolto in Brasile.

Sembra quindi che anche i consumatori finali e tutto il comparto enogastronomico e ristorativo, dovranno imparare a fare nuovi conti. Le vera domanda restano sempre le stesse, ovvero: come? Con quali risorse e soprattutto, fino a quando?

Torneremo a parlarne ancora. E ancora.

Read more

Gli esperti non hanno dubbi: la “bevanda di patate” ha tutte le carte in regola per competere con avena, soia e mandorle, tanto che Waitrose – catena britannica di supermercati – ha previsto che a febbraio i consumatori potranno aggiungerlo al carrello della spesa o richiederlo nelle caffetterie.

Scopriamo insieme cos’è “la bevanda di Patate” e perchè, oltre alle “ragioni di marketing”, non può/potrebbe chiamarsi “latte”.

La bevanda di patate è l’ultima novità nel mercato dairy-free e, secondo gli esperti, sarà uno dei maggiori trend alimentari del 2022, che abbiamo cominciato a raccontare QUI.

Messo a punto dalla società Veg of Lund in collaborazione con la professoressa Eva Tornberg dell’Università di Lund, si tratta di un’alternativa vegetale che ben si adatta a tutti gli usi, esattamente come altre bevande vegetali già in commercio, ma con il vantaggio di una maggiore sostenibilità: le patate richiedono la metà del terreno necessario per la coltivazione della stessa quantità di avena, 56 volte meno acqua della coltivazione delle mandorle e, a differenza della soia, non hanno una cattiva reputazione legata alla deforestazione illegale per far fronte alle richieste di mercato.

Ma non è tutto, perché la bevanda di patate vanta anche la totale assenza di allergeni: senza lattosio, soia, glutine e frutta a guscio, è diverso dalla maggior parte del latte vegetale sul mercato. Secondo l’azienda che lo produce, il suo sapore è neutro e per questo può essere bevuto da solo, utilizzato per cucinare e perfino per creare la schiuma per il latte macchiato.

Abbiamo creato un prodotto di cui siamo orgogliosi” – dichiara Thomas Olander, CEO di Veg of Lund – La nostra scelta di utilizzare le patate come base ci ha portato a ottenere una bevanda super sostenibile. Le patate non hanno bisogno di molto per crescere, il che le rende migliori rispetto a soia, mandorle o avena. Per non parlare dei latticini“.

Fermo restando che a questa opzione sostenibile, gli studiosi di ingegneria ambientale avvertono:

dove e come viene confezionato il latte vegetale, può avere un impatto maggiore sull’ambiente rispetto alla sua produzione.

Queste bevande a base vegetale sono in realtà per lo più acqua, il che significa che non c’è molta della pianta nel latte, sostengono. Quindi l’impatto ambientale di spedizione e imballaggio, sono fattori piuttosto importanti a cui pensare.

Proprietà, Benefici e del Drink di Patate.

La bevanda di patate è la creazione di Eva Tornberg, professoressa e ricercatrice presso l’Università di Lund. Nel 2017 ha trovato il modo per trasformare delle normalissime patate in un drink vegetale. La bevanda è stata commercializza per la prima volta col nome DUG in una formula che contiene anche proteine ​​di piselli, maltodestrine, fibra di cicoria e aromi naturali oltre all’aggiunta di vitamine D, B12 e acido folico.

È anche addizionato di altri nutrienti essenziali come vitamine e minerali, tra cui vitamine A, C, E e K. È stato anche riscontrato che il contenuto di calcio e ferro del latte di patate commercializzato, è equivalente al latte vaccino.

Inoltre, è senza lattosio, senza glutine, senza caseina, senza grassi, senza colesterolo, senza soia e senza frutti a guscio, quindi vanta la totale assenza di allergeni diversamente dalla maggior parte del latte vegetale sul mercato.

Quando sugli scaffali?

Come ha riportato il Guardian, a febbraio 2022 la catena britannica di supermercati Waitrose metterà in vendita sui suoi scaffali. Mentre per ora, e per il resto del mondo incuriosito dalla novità, rimane disponibile su Amazon nei gusti “Original”, “Unsweetened” e “Barista”, al momento solo nel Regno Unito.

Secondo l’azienda che lo produce, il suo sapore è neutro e per questo può essere bevuto da solo, utilizzato per cucinare e perfino per creare la schiuma per il latte macchiato.

Il mercato delle bevande vegetali

Con l’aumento del veganesimo e delle intolleranze – in particolare al lattosio – la vendita del latte di origine animale ha subito un’inflessione rispetto alla costante crescita sul mercato delle alternative vegetali.

Secondo le stime diffuse dal sito The Vegan Society, infatti, il settore delle bevande vegetali in Europa nel 2019 ha prodotto un giro d’affari complessivo di oltre 1,7 miliardi di euro che si traduce con il 14% sul settore totale. A preferire il latte vegetale sono i soggetti allergici o intolleranti al latte vaccino, in aumento costante, ma anche coloro che lo scelgono rispetto al latte vaccino, per ragioni etiche o personali. Il latte vegetale è solitamente meno calorico, senza grassi saturi e ricco di proteine e vitamine. Tutti elementi che lo rendono un valido sostituto del latte di mucca.

Perchè non si può chiamare “LATTE”?

Il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato un rafforzamento della tutela per le denominazioni lattiero-casearie. Le bevande vegetali, come quelle a base di soia, mandorla, avena, ecc, non si potranno chiamare “latte”. Diversi nella composizione e nell’origine stessa della materia prima, le bevande veg e il latte di origine animale sono due prodotti che differiscono soprattutto dal punto di vista nutrizionale

Da tempo nell’Unione europea non è possibile usare la parola “latte” per definire alcune bevande vegetali, come per esempio, una su tutte, quelle di soia. Il voto dell’Europarlamento però va oltre, in quanto non si limita a confermare le norme in vigore già dal 2017, che vietano l’uso improprio dei nomi tipici dei prodotti lattiero caseari come: burroformaggioyogurt o la stessa parola “latte”. Con questo voto, il Parlamento ha deciso di vietare anche le evocazioni e le imitazioni: per esempio, l’uso di espressioni quali “bevanda tipo latte” o “succedaneo del latte”. Così come il tofu non potrà più essere definito un “formaggio vegetale”, o una bevanda di riso o di soia non potrà recare in etichetta diciture quali “succedaneo del latte”. Si tratta di una tutela delle denominazioni lattiere simile a quella prevista per le Dop e le Igp.

Read more

Chi è stato il Maestro del Maestro Luca Maroni? Degustatori si Nasce o si Diventa? Il palato si può allenare? Tutti abbiamo una chance? Quali sono i parametri del Metodo di Analisi Sensoriale? Quali sono stati i cambiamenti più significativi del 2021 nel mondo dell’Enologia?

E i Vini Naturali? E l’enoturismo? E la sostenibilità? E quali sono le previsioni di Maroni per “l’annata 2022”? Questo e molto altro nell’intervista a Luca Maroni, importante analista sensoriale del vino, anche definito “teorico del vino-frutto”, celebre per aver ideato un metodo di degustazione matematico che misura l’indice di piacevolezza del vino.

Luca Maroni è una delle maggiori firme dell’enologia italiana. A lui, tra le tante attività di analisi enologica di alto rango, si devono l’Annuario dei Vini Italiani (prima edizione firmata 2015) e un Manuale di teoria e pratica per l’assaggio consapevole di ogni tipo di vino (Degustare il Vino, 1995) che racchiude un metodo di degustazione da lui stesso perfezionato, semplice quanto severo, sensoriale quanto matematico:un metodo di degustazione del vino che ne misura l’indice di piacevolezza attraverso precisi parametri e punteggi.

Mai stanco di raccontare il nettare di vite, di trovare nuove parole, sfumature, suggestioni e analogie per farlo, Luca Maroni continua a esplorare l’appassionante e multisfaccettato mondo dell’enologia con l’entusiasmo di un ragazzo. Sempre attente le Sue descrizioni, prendono il via dall’attenzione, dalla tensione proattiva di sentori e pensiero sono necessari, anzi fondamentali, per approcciarsi nel modo corretto ad un vino perché, come dice lui stesso, “analizzare le sensazioni vuol dire pensare”. 

assoenologi

Chi è stato il Maestro del Maestro Luca Maroni? 

Da un punto di vista tecnico, ovvero come analista sensoriale sono un autodidatta, ma chi mi ha aperto le porte del vino è stato Luigi Veronelli.

Com’è iniziata la vita professionale nel vino? 

Appena laureatomi in Economia e Commercio, e appassionatomi al vino dal 1984, scrissi a Veronelli una lettera nel 1987 e pochi giorni dopo mi telefonò chiedendo di andarlo a trovare a casa sua a Bergamo. Quando arrivai da lui mi disse: “D’ora in poi scriverai di vino” e io gli chiesi: “Ma cosa devo scrivere?”. “Quello che senti assaggiandolo”. Così cominciai la mia attività professionale di analista sensoriale-degustatore di vino analizzando, valutando, raccontando le sensazioni che provavo entrando in contatto con questo.

Da dove si parte per analizzare un vino?

Si parte dalle analisi delle sensazioni che occhi, naso e bocca percepiscono entrando in contatto con un dato vino. Ma queste sensazioni vanno immediatamente pensate, ovvero analizzate e giudicate con molta attenzione. Analizzare le sensazioni, ovvero pensare a ciò che si è visto, odorato e gustato. Non esistono persone incapaci di sentire, ma la maggior parte delle persone non pensa, non elabora intellettivamente il portato dei sensi. 

Quali sono i parametri del suo Metodo di Analisi Sensoriale?

Consistenza (quanto un vino è ricco di sostante estrattive e non acquose); equilibrio (il rapporto gustativo fra morbidezza, acidità ed amaro del gusto del vino); integrità (assenza di difetti enologici di trasformazione e dell’ossidazione). Tanto più un vino è consistente, equilibrato e integro, tanto migliore la sua composizione chimico-fisica, tanto più piacevole il suo gusto-aroma all’assaggio. Tanto più vero e puro il suo richiamo al frutto compositivo: la stupenda uva di cui ogni vino è fatto.

Degustatori si Nasce o si Diventa? Il palato si può allenare? Tutti abbiamo una chance?

Degustatori si nasce e si diventa. Si nasce perché ciascuno di noi ha un apparato sensoriale meraviglioso in grado di percepire perfettamente le qualità organolettiche del vino in esame. Si diventa nel momento che si comincia sistematicamente a valutare intellettivamente ciò che sì è sentito, come detto in precedenza.

Per far questo in modo utile occorre analizzare e giudicare le sensazioni impiegando sempre lo stesso metodo, ovvero valutando dei tanti diversi vini sempre gli stessi parametri qualitativi fondamentali indicati in precedenza. Se di ogni diverso vino valuto differenti e non omologhi parametri, non posso valutare in modo significativo la sua qualità e non si amplia la memoria organolettica del degustatore. Abbiamo quindi tutti le stesse capacità valutative che possono essere però differentemente applicate e sviluppate.

Dalla Riscoperta degli autoctoni ai Packaging passando per l’impennata delle Bollicine, il settore Wine è in continuo fermento: quali sono stati i cambiamenti più significativi del 2021?

Sono ulteriormente migliorati i vini di base, i più economici della linea di ciascun produttore. Quando ho cominciato il mio mestiere di analista sensoriale applicato al vino, per bere un vino di alta qualità organolettica occorreva spendere almeno l’equivalente odierno di 50 Euro; oggi, vini che è possibile acquistare nella fascia fra 5 e 10 Euro presentano caratteristiche compositive-organolettiche eccellenti. 

Il “vino sostenibile” è passato dall’essere un piccolo movimento di nicchia a un fenomeno globale, cosa ne pensa?

Ottimo e importante produrre vino nel modo più sostenibile possibile, ma è opportuno che i vini “sostenibili” siano anche di alta qualità sensoriale, ovvero piacevoli all’assaggio e privi di difetti di produzione e trasformazione. L’uva e i residui di lavorazione del frutto sono poi ricchi di sostanze che recuperate possono dar luogo a prodotti di alta utilità come bio-carburanti, alcol, cosmetici, ecc.

In Italia siamo all’avanguardia anche in questo settore come dimostra il caso di Caviro, leader mondiale nella valorizzazione dei sotto-prodotti delle filiere agroindustriali. Grazie all’innovazione tecnologica e di processo, Caviro è il fornitore di riferimento di semilavorati e materia prima per aziende leader dei comparti farmaceutico, cosmesi e food&beverage, il secondo produttore di alcol in Italia e il terzo produttore di acido tartarico naturale nel mondo.

Quanto e perchè è importante incentivare l’enoturismo?

Perché l’enoturismo porta ricchezza e valorizzazione del territorio di produzione del vino, porta notorietà e pubblico nelle nostre meravigliose colline vitate e induce i residenti a migliorare la bellezza e le capacità ricettive dei diversi distretti produttivi.

Cosa pensa dei Vini Naturali?

Vale quanto osservato per il vino sostenibile, ovvero che la naturalità del processo ha come limite di applicabilità la qualità sensoriale del vino prodotto. Un vino “naturale” ma non pulito e ossidato non verrà mai preferito sensorialmente ad un vino buono ottenuto con tecniche di lavorazione convenzionali.

Quali sono Sue le previsioni per il 2022?

Il vino italiano crescerà ancora, conquisterà e penetrerà in nuovo mercati forte della sua qualità assoluta e del suo eccezionale rapporto qualità/prezzo.

Per Saperne di Più: IL METODO MARONI

La qualità del vino è la piacevolezza del suo sapore, effetto della sua composizione analitica assolutamente virtuosa. Tre i parametri che determinano detta qualità: la consistenza, l’equilibrio, l’integrità del gusto aroma del vino.

La consistenza è il volume espressivo del vino, determinato dalla sua ricchezza in estratto secco; l’aspetto quantitativo della qualità, la persistenza e la longevità potenziale del vino.

L’equilibrio è l’armonia fra i componenti, l’opportuno dosaggio fra le sostanze compositive tale che il gusto del vino risulti all’assaggio tanto morbido quanto acido+amaro. L’integrità è l’assenza nel gusto-aroma del vino di difetti di trasformazione enologica (sulfureo, acetoso, lattoso, svanito, legnoso) e di ossidazione.

La qualità, la purezza, la fragranza dei componenti del vino esprimono la caratura tecnica e la longevità potenziale del vino. Tanto più consistente, equilibrato e integro il gusto del vino in esame, tanta più piacevole il suo gusto-aroma, tanto più alta la sua qualità organolettica e compositiva.

La valutazione dell’Indice di Piacevolezza (IP) di qualsiasi vino si ottiene allora assegnando un punteggio da 1 a 33 ad ognuno dei 3 parametri determinanti la qualità: consistenza, equilibrio, integrità: per questo il massimo è 99.

Applicando tale metodo, facile da apprendere, diretto e immediato eppure di rigorosa impostazione scientifica, ogni individuo è in grado di decodificare le sensazioni olfattive e gustative suscitate da un vino valutando la qualità della sua analitica essenza.Infatti secondo Luca Maroni

“Se un vino non genera piacevolezza all’assaggio, la colpa non è di chi lo assaggia perché non sa degustare, la colpa è del vino giacché qualitativamente, analiticamente carente. Qualsiasi individuo infatti, valutando la piacevolezza del sapore di qualsiasi bevanda o alimento, di esso valuta la sua qualità analitica pura. Volendo esprimerlo con una proporzione eccola qui:

QUALITÀ ANALITICA ALTA: SAPORE PIACEVOLE = QUALITÀ ANALITICA BASSA: VINO SPIACEVOLE.

In sintesi: la qualità analitica alta sta al sapore piacevole come la qualità analitica bassa sta a un vino spiacevole.

Bibliografia:

Piacevolezza del vino. Il metodo per degustare” – Luca Maroni – Edizioni Sens | Amare il vino. Arte natura tecnica estetica |Luca Maroni , Sergio Valzania – Edizioni Sens, 2019

Read more

La Wagyu arriva a Roma per farsi conoscere attraverso la “Wagyu Week” nei Ramen Bar Akira.

L’evento diffuso in Italia è promosso dal Governo Giapponese e propone la grande eccellenza dei prodotti della Wagyu Company a piccoli prezzi per regalare al mondo i sapori dei tesori culinari nipponici.

Un progetto extra-ordinario quello voluto dal Governo del Giappone per promuovere la cultura e la valorizzazione dei prodotti enogastronomici nipponici in trenta locali in tutta Italia. A Febbraio infatti, grazie al supporto economico giapponese, che vuole svelare al mondo i propri tesori culinari, proseguono le “Wagyu Week” e sarà possibile assaggiare e conoscere la pregiatissima carne Wagyu a prezzi eccezionali nei “locali ambasciatori”: i Ramen Bar di Akira sono tra questi.

Nei Ramen Bar Akira sarà infatti possibile assaggiare carni rarissime da trovare in Italia, quelle della Wagyu Company, il rivenditore certificato di Wagyu di Kobe, Wagyu Ozaki (prefettura di Miyazaki) & Wagyu di Kyushu.

Quando c’è e come funziona la Wagyu Week da Akira?

Durante le due settimane di Febbraio (dal 14 al 21 e dal 21 al 27 febbraio 2022) in ogni locale di Akira Yoshida (ovvero i “Ramen Bar Akira” a Roma – Ostiense, Fontana di Trevi, Termini – Fiumicino e Torino) ha pensato una speciale carta di fuori menu a metà prezzo che annovera piatti come il Kakuni special edition Wagyu, Wagyu Teppanyaki, Wagyu Yakiniku, Wagyu Ramen, Wagyu Bun, unitamente all’assaggio gratuito della carne Wagyu giapponese dell’allevamento Ozaki di Hitokuchi Wagyu.

La Wagyu Week sarà un progetto itinerante che per Febbraio movimenterà con tante sorprese tutti i Ramen Bar Akira a Roma e a Torino.

Nelle settimane sopraindicate, i “Ramen Bar Akira” ospiteranno anche il sushi man Koji Nakai che a cena preparerà i tradizionali nigiri di carne Wagyu, una specialità di Kobe, sua terra di origine.

Gli appuntamenti delle Wagyu Week

Dal 14 al 21 febbraio

  • Ramen Lab Akira – via in Arcione 71 (Roma)
  • tel. 06 6401 4602 (gradita prenotazione)

Dal 14 al 21 febbraio

  • Ramen Bar Akira & Cerulli Sushi – via delle Ombrine 17 (Fiumicino)
  • tel. 06 8913 3828 (gradita prenotazione)

Dal 21 al 27 febbraio

  • Ramen Bar Akira – via Ostiense 73 f (Roma)
  • tel. 06 8913 3841 (gradita prenotazione)

Dal 21 al 27 febbraio

  • Ramen Bar Akira – corso Vittorio Emanuele 29 (Torino)
  • tel.  011 699 4576 (gradita prenotazione)

Si, ma che cosa è la Carne Wagyu?

Wagyu è una parola composta formata da due ideogrammi giapponesi: “WA” (和), che significa Giappone, e “GYU” (牛), che vuol dire manzo. Il suo significato finale è quindi “manzo giapponese”. Indica determinate razze di manzo giapponese che, grazie al DNA rimasto puro nei secoli e metodi di allevamento molto particolari, vantano una carne naturalmente ricca di grasso intramuscolare (le venature del grasso nella carne danno vita alla cosiddetta marezzatura) molto aromatica, dolce e, difficile da credere, salutare

Molti pensano che la carne di wagyu sia solo di Kobe, ma non è proprio così: il manzo di Kobe non rappresenta tutta la carne wagyu ma ne è una sottocategoria, ossia bovini di razza wagyu selezionati allevati a Tajima.

La wagyu, quindi, non è altro che una categoria di manzo giapponese all’interno della quale possiamo trovare tante tipologie di carne derivanti da animali allevati in zone diverse del Giappone, come ad esempio la Kobe, la Ozaki o la Kyushu.

Cos’è il grado di rendimento della carne?

Il grado di rendimento A / B / C indica quanta carne può essere consumata rispetto al peso della carcassa. Il mercato presenta 3 classi di rendimento: la classe A è quella con massimo rendimento e la C quella con scarsa resa (tanto grasso superficiale). Attenzione a non fraintendere, non si sta parlando di gusto né di qualità, ma di resa. Il motivo per cui la classe A costa di più e la C costa di meno è che, alla fine, con la classe C lo scarto è maggiore. La classe non impatta sul sapore della carne.

Come si determina il grado di qualità della Wagyu?

Il giudizio si basa sull’incrocio di quattro elementi: grasso (grado di marmorizzazione, BMS) colore della carne, compattezza (consistenza), colore e qualità del grasso. Tutti e quattro gli elementi vengono valutati su una scala da 1 a 5, dove 1 è il punteggio minore e 5 il maggiore. Il grado finale della carne sarà equivalente al punteggio più basso tra i quattro elementi.

Che cos’è il grado di marezzatura?

La marezzatura è l’infiltrazione e distribuzione di grasso all’interno del tessuto muscolare animale. Sono quelle piccole venature e chiazze di grasso bianco che si vedono (da crude), ad esempio tra le fibre rosse della carne nelle bistecche di più alta qualità.

Più alta è la percentuale di tessuto grasso contenuta, maggiore è generalmente considerata la qualità. Inoltre, la marezzatura è di per sé sinonimo sia di qualità della carne, sia di un’ottimo processo di allevamento.

La quantità e qualità di striature di grasso fine tra le fibre rosse di carne. Con una marmorizzazione inferiore a 6 la carne non è premium wagyu e non può essere Kobe gyu, Ozaki gyu, o Kyushu gyu. Classificata da 6 a 12 è premium wagyu.

Wagyu Company: il meglio certificato dal Giappone

Wagyu Company è il rivenditore certificato di Wagyu di Kobe, Wagyu Ozaki (prefettura di Miyazaki) & Wagyu di Kyushu. Tra i partner c’è il prestigioso Ozaki Gyu che esporta la Wagyu allevata da Mr. Ozaki, guru dell’allevamento, l’unico allevatore che ha innovato la tecnica di allevamento a tal punto da meritarsi una “DOP” a suo nome. 

Tutte le carni di Wagyu Company hanno ben indicato il luogo di macellazione su ogni etichetta. Tutte le carni consegnate da Wagyu Company sono sempre tassativamente accompagnate da un certificato di origine e provenienza che ne attesta zona di crescita, macellazione e il grado di marezzatura. Il certificato è emesso direttamente dal Giappone. La qualità è garantita dalla Japan Beef Association.

L’allevamento Ozaki

In Giappone ogni prefettura ha la sua carne Wagyu, un po’ come in Italia ogni regione ha il suo vino. La maggior parte dei bovini Wagyu Kuroge proviene dalla prefettura di Miyazaki, rappresenta un’area molto preziosa e qui troviamo una delle wagyu migliori del Giappone, la Ozaki beef, carne di manzi Kuroge allevati dal Muhenaru Ozaki san in una fattoria a un’ora e tre quarti di volo da Tokyo. 

La Japanese Wagyu Association gli ha conferito un riconoscimento per le innovazioni e la qualità dei suoi allevamenti, ha permesso quindi a Ozaki san l’uso del proprio nome per identificare la Wagyu Ozaki. Oggi infatti Ozaki san è l’unico allevatore in tutto il Giappone a poter dare il nome alla propria carne (normalmente il nome dall’allevatore non compare, risulta solo il nome della zona dove crescono gli animali) e Wagyu Company è il distributore esclusivo per l’Italia di questo fenomenale produttore. 

Ozaki san è famoso nella prefettura di Miyazaki come maestro per la capacità di individuare i vitelli migliori. Nascono da “famiglie” che possiedono un determinato pedigree, però, solamente il 10% circa di loro viene giudicato perfetto da Ozaki san. Li acquista al mercato di Miyazaki, dove vengono venduti e acquistati vitelli di 8-10 mesi di età. Questo è il punto di partenza imprescindibile per poter allevare Wagyu di alta qualità: la scelta di esemplari con pedigree migliore, grasso di ottima qualità e bassa temperatura di fusione. 

Ozaki san osserva attentamente la qualità del pelo del vitello, la distanza tra gli occhi, la dimensione e la forma delle orecchie e la forma della coda. Inoltre, il vitello deve essere nato da una vacca madre Tottori ushi (vacca wagyu della prefettura di Tottori ) di circa 800 kg e da un manzo padre Tajima ushi (Toro di Kobe) tra i 600 e i 650 kg. Con questo pedigree, il vitello diventerà un manzo con una corporatura forte, un fisico massiccio e la sua sarà una carne saporita e gustosa (eredità del Tottori-gyu) con un grasso dolce che si scioglierà in bocca (eredità del Tajima-gyu).

Altro elemento fondamentale che contraddistingue l’allevamento di Ozaki san è la modalità di crescita e allevamento con una precisa filosofia: non bisogna forzare la natura.  A differenza di molti altri allevatori di Wagyu che acquistano mangimi preconfezionati ad alto contenuto calorico, con lo scopo di ingrassare le mucche e massimizzare la marezzatura, nella fattoria Ozaki il mangime che viene somministrato agli animali mattina e sera, viene preparato in modo molto meticoloso tramite un processo che richiede circa due ore per ogni pasto composto da mosto di birra, lievito di birra, mais, orzo, grano, soia, kinako (farina di soia tostata), bucce di soia, corteccia di frumento, corteccia d'orzo, polvere di carbone “binchotan” (carbone giapponese di alta qualità)e alghe, senza conservanti e antibiotici. 

Leggende a tema Wagyu

Quanto alle varie leggende che gravitano attorno alla carne di Wagyu, Ozaki san assicura che non fa ascoltare Mozart ai suoi animali, non gli dà birra da bere, non li massaggia e non gli fa la doccia calda.

Le uniche cose vagamente legate a queste credenze che riguardano la sua fattoria sono il mosto e il lievito di birra nel mangime e la spazzolatura del manto che viene effettuata ogni tanto, con l’unico scopo di togliere il pelo in eccesso, dato che ne perdono molto nei cambi di stagione. Ciò che è sicuro, è che questi bovini crescono in un ambiente estremamente pulito, protetto e rilassante, elemento fondamentale per evitare che lo stress vada a inficiare il gusto della loro carne.

Sapore e Frollatura

La carne Wagyu Ozaki viene macellata e fatta frollare per 3 settimane in una condizione chiamata “wet aging”. Viene mantenuta in umido a 3 gradi centigradi per 3 settimane, il tempo necessario alla carne per sviluppare umami e accentuare ulteriormente il caratteristico sapore della Wagyu Ozaki: pieno, elegante, non opulento.

Read more

Partiamo dai numeri, ripartiamo dall’Italia, che si conferma essere il Paese più desiderato dal punto di vista turistico per la qualità della vita, la sua enogastronomia, l’arte, l’ottimismo, la creatività e la capacità di inventiva del suo popolo.

Tra dati, studi e statistiche, l’enoturismo ci incorona al primo posto al mondo: come intercettare questo business? Capiamo insieme quali sono gli scenari, gli sbocchi e i rabocchi.

Enoturismo: cos’è esattamente?

L’enoturismo è una forma di turismo tematico che pone al centro dell’attenzione il vino e la sua filiera vitivinicola di produzione. Il nostro Paese vanta realtà di assoluto pregio a livello nazionale e internazionale oltre ad un territorio estremamente vocato e legato all’enologia, peculiarità italiane che rappresentano una grande potenzialità dal punto di vista del turismo del vino.

La tendenza si è sviluppata in Italia circa 25 anni fa grazie soprattutto al lavoro di promozione svolto da alcune associazioni, in particolare da: Città del vino (1987) e il Movimento del Turismo del Vino (1993).

Chi è l’Enoturista?

Se in passato il turismo del vino poteva essere visto più come un segmento di nicchia, oggi è divenuto un’ attrattiva per un pubblico ampio composto sia da esperti e professionisti sia da appassionati e curiosi.

L’enoturista è infatti colui che, per comprendere al meglio le caratteristiche peculiari del vino degustato, ne studia a fondo il territorio di provenienza attraverso l’esplorazione dei sapori e dei profumi, delle tradizioni e dei costumi propri dei luoghi di produzione.

L’enoturismo, qui inteso come esperienza in cui la degustazione di vino si abbina alla conoscenza della cultura e delle tradizioni di una regione a vocazione vitivinicola, ha consentito agli amanti del vino di entrare in cantina, stringere rapporti diretti ed esclusivi con i produttori, trasformare in esperienza personale e autentica la conoscenza di un prodotto dalle mille sfaccettature come il vino.

L’enoturismo è un’esperienza personale di esplorazione, degustazione e scoperta.

Il prodotto tipico diventa occasione per conoscere e valorizzare un territorio e favorirne lo sviluppo, in un panorama contemporaneo in cui il turista non richiede più soltanto di degustare il prodotto, ma desidera anche entrare in contatto con il luogo dove questo viene realizzato, per scoprire la sua storia e le sue origini più genuine.

Perchè l’ITALIA?

L’Italia è il Paese più desiderato dal punto di vista turistico per la qualità della vita, l’ottimismo, la creatività e la capacità di inventiva del suo popolo.

Secondo l’indagine di IPSOS (società che si propone la comprensione totale di mercati, società e persone attraverso indagini e statistiche) a fare la differenza è proprio l’offerta enogastronomica la quale, a braccetto con moda e arte, è considerata espressione del Made in Italy all’estero: il Belpaese è infatti primo tra le mete più golose nel mondo (49% degli intervistati), seguito a distanza da Francia (22%) e Giappone (16%).

L’Enoturismo in Numeri

Il “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019” indica che il 56% dei turisti italiani ha visitato una cantina nel corso dei loro più recenti viaggi, e il 44% ha partecipato ad un evento o festival a tema. Alto è pure il numero degli enoturisti, ossia chi è stato motivato a viaggiare per partecipare ad un’esperienza a tema, che è pari al 28% dei turisti italiani.

Nello stesso anno, secondo i dati dell’ENIT, l’Agenzia Nazionale per il Turismo, parlava dell’Italia come il terzo paese più visitato al mondo con 94 milioni di presenze, mentre il turismo del vino conta circa 3 milioni di turisti l’anno con un giro d’affari di circa 4, 5 milioni. Secondo gli studi, il mese prediletto è maggio e la somma che i turisti si concedono è di circa 150 euro al giorno.

Turista italiano e Turista straniero: quali le differenze?

L’enoturista ha generalmente tra i 30 e i 50 anni e ama “evadere” dalla città per rifugiarsi in un’ esperienza differente. Ma l’enoturista italiano ha un diverso modo di concepire il viaggio rispetto all’enoturista straniero: l’italiano preferisce organizzarsi da sé l’itinerario dedicando ad esso un solo giorno o al massimo due.

L’enoturista straniero, invece, preferisce affidarsi a tour operator specializzati e concedere a questo tipo di esperienza almeno 3-4 giorni. I paesi stranieri maggiormente interessati al turismo del vino sono Germania e Stati Uniti, ma anche Brasile, Australia e Cina. Una recente indagine ha inoltre evidenziato come il turista del vino oggi si definisca prevalentemente “amante” o “curioso” del vino. (Dati percepiti da rivistadiagraria.com)

Le basi del primato dell’enoturismo italiano secondo Bounce e le previsioni post pandemia

Anche Bounce, la società internazionale di indagini e statistiche, non è rimasta fuori da coro anzi, ha colpo l’occasione per elaborare una analisi delle destinazioni enoturistiche effettuando una valutazione in base al suo “Wine Lovers Index”.

Il dato che sorprende (e rincuora) maggiormente è che i cambiamenti indotti dalla pandemia non hanno intaccato, ma anzi, hanno consolidato la tendenza a prediligere vacanze orientate alle dimensioni enogastronomiche più disparate.

Altro dato importante emerso dallo studio è che gli italiani che hanno abbracciato il turismo di prossimità a causa delle restrizioni agli spostamenti internazionali, continueranno il loro viaggio alla riscoperta del territorio nostrano e delle sue eccellenze, mentre gli stranieri,nell’attesa di una piena mobilità, continueranno a sognare le nostre destinazioni come viaggio ideale.

In ogni caso l’enoturismo si candida a divenire un volano per l’Italia che dovrà prepararsi a cogliere appieno questa grande opportunità, di fronte ad un pubblico sempre più consapevole e attento alle tematiche della sostenibilità, pronto a premiare i territori in prima linea nella difesa dell’ambiente, contribuendo con la sua presenza alla valorizzazione delle risorse locali.

L’indice prende come riferimento fattori quali il consumo e la produzione di vino, il numero di vigneti, i tour delle cantine, il costo medio di una bottiglia di vino, elementi cui gli appassionati danno grosso peso e che quindi incidono nella pianificazione della vacanza perfetta.

Il massimo punteggio è stato riconosciuto all’Italia per diversi motivi. In primo luogo ha pesato la sua ricchezza ampelografica: non esiste paese al mondo che abbia una varietà di autoctoni eguagliabile (400 secondo lo studio): ogni regione esprime i suoi vitigni unici, offrendo un ventaglio di proposte che possono incontrare i gusti più disparati.

Anche il primato nella produzione è significativo (0,82 lt per persona) ottenuto secondo Bounce grazie ad una solida tradizione vitivinicola che parte da molto lontano (4.000 anni di esperienza), ad un clima, quello mediterraneo, particolarmente favorevole, e alla fertilità dei suoli; componenti che sono alla base di produzioni in equilibrio tra quantità e qualità.

Quali sono le proposte a tema enologico più richieste?

L’attività cult dell’enoturismo è sicuramente la degustazione dei vini preceduta dalla visita della cantina in cui avvengono tutti i processi volti a ottenere il prodotto finale che poi si andrà a degustare: vendemmia, appassimento dell’uva, imbottigliamento, etichettatura. Non meno importante risulta essere inoltre la visita e l’esplorazione dei vigneti e l’assaggio dei prodotti tipici. 

Numerose sono le aziende vitivinicole offrono degustazioni, visite guidate, ristorazione e alloggio andando così a soddisfare questa crescente richiesta, percepita, spesso e purtroppo, ancora come omogenea. Se gli appassionati del genere desiderano vivere un’esperienza di turismo del vino a 360°, le cantine dovranno quindi segmentare la propria offerta e creare un posizionamento distintivo sul mercato. Da questa angolazione l’emergenza sanitaria in corso, nonostante i numerosi riflessi negativi, può essere anche un momento utile per sviluppare una riflessione in tal senso.

Su cosa puntare per potenziare la propria offerta?

La degustazione dei vini e l’acquisto degli stessi a prezzi interessanti sono le esperienze più ricercate, ma dalla ricerca si evince un forte desiderio di una offerta più ricca, con l’assaggio di piatti ricercati in abbinamento alle produzioni dell’azienda, quindi di attività come fare degustazioni al tramonto e cenare nei vigneti.

Molto gradite risultano anche essere la vendemmia turistica, i trattamenti di benessere e attività sportive, artistiche e di rilassamento psico-fisico, oltre alla possibilità di trovare attività dedicate ai bambini. Ciò denota un chiaro desiderio di vivere e sperimentare la cantina attraverso modalità nuove e più coinvolgenti.

Turismo Enogastronomico: il punto di vista di GOOGLE

Sulla attrattività della nostra penisola arrivano conferme anche dall’analisi di Google Destination Insights: l’Italia è in cima alla lista delle mete gourmand.

Nelle tendenze di ricerca su Google, ha registrato un interesse in crescita tra gennaio e ottobre 2021, il “tour enogastronomico” che segna un +39%, mentre quella relativa alle cantine mostra un altro +30%.

Google però avverte: se da un lato il turismo di prossimità rappresenterà un trend sempre più consolidato a livello globale, nell’organizzazione di una vacanza ad essere messa al centro sarà anche la sostenibilità, considerata valore molto importante dall’83% dei viaggiatori.

La scelta della destinazione diventa quindi una sorta di riconoscimento ai territori e alle aziende che operano per uno sviluppo armonico, nel rispetto della tradizione e della cultura locali. Realtà che creano e attivano, laddove possibile, nuove sinergie, opportunità. professionali e nuove reti tra persone.

Immagine di testo da fonte / Immagine copertina al link

Read more

Parliamo del “Bonus birra artigianale a fondo perduto”, la domanda si presenta dal 20 gennaio al 18 febbraio 2022: di seguito i requisiti per l’istanza, le specifiche del contributo e il modulo per l’iscrizione.

Il mondo brassicolo è in continuo fermento, soprattutto il suo comparto artigianale, fatto da birrifici e microbirrifici (quasi 1000), tutti produttori indipendenti, che non pastorizzano né microfiltrano il loro prodotto. L’aiuto, messo a disposizione dal ministero dello Sviluppo Economico, è rivolto proprio a loro e consiste in un contributo a fondo perduto che si chiama “Bonus birra artigianale”.

Aprendo un piccolo flash-back al 2020, il comparto artigianale stava allora vivendo un periodo di vero e proprio sviluppo (e di consolidamento degli importanti traguardi raggiunti), insomma era un vero e proprio settore in espansione.

Un biennio incompiuto quello 2019/20, da molti definito la “primavera della birra”, una fioritura di vitalità del valore di quasi 10 miliardi di euro (9.483 milioni di euro), che dava lavoro a 108 mila famiglie (+18% rispetto al 2017), con contributi versati allo stato per 4,5 miliardi di euro (+8% in 3 anni). A partire da marzo e con il lock down è arrivata la “gelata” con una perdita di circa 21.000 posti di lavoro lungo l’intera filiera in appena 6 mesi. (fonte QUI)

A chi è rivolto il Bonus Birra 2022 e cosa prevede?

Il sostegno è destinato ad aiutare economicamente i birrifici artigianali.

Il bonus birra artigianale consiste in un contributo a fondo perduto messo a disposizione dal Mise (con uno stanziamento di 10 milioni di euro) e previsto dal decreto Sostegni bis. L’obiettivo è quello di dare un aiuto economico al comparto brassicolo italiano che è stato particolarmente colpito durante la pandemia.

L’agevolazione prevede un contributo a fondo perduto pari a 0,23 centesimi per ciascun litro di birra artigianale prodotta e presa in carico nel registro annuale di magazzino nel 2020 o nel registro della birra condizionata. I dati sono quelli presentati dai microbirrifici e dagli esercenti delle piccole birrerie nazionali all’Agenzia delle accise, dogane e monopoli.

Si tratta di un bonus per aiutare un settore giovane, che “è riuscito a valorizzare un’arte antica legata al territorio e alla qualità dei prodotti”, ha dichiarato il ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti.

Vediamo quali sono i requisiti per avere accesso al bonus, a quanto ammonta il contributo e quali sono le modalità di presentazione della domanda.

Bonus birra artigianale: i requisiti necessari per accedere al contributo

Per birra artigianale si intende la birra prodotta da birrifici indipendenti, e non sottoposta a processi di microfiltrazione e pastorizzazione.

Il contributo potrà essere richiesto a partire dal 20 gennaio dai birrifici in possesso dei seguenti requisiti:

  • devono utilizzare impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio;
  • devono essere economicamente e legalmente indipendenti da un altro birrificio;
  • non devono operare sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale di altri.

Per la domanda va compilato il modulo che è possibile scaricare cliccando sul link:

Tempistiche: entro quando inviare la domanda?

Le istanze possono essere inviate a partire dalle ore 12:00 del 20 gennaio fino alla scadenza delle ore 12:00 del 18 febbraio 2022. Le domande vanno firmate digitalmente dal legale rappresentate e devono essere presentate con posta elettronica certificata (PEC) all’ indirizzo contributobirrifici@pec.mise.gov.it.

Read more

La principale minaccia alla biodiversità è oggi rappresentata dalla cieca azione dell’uomo sulla Natura, dai cambiamenti climatici portati dall’inquinamento, dall’antropizzazione degli ambienti, dalla deforestazione, dai sistemi di allevamento e di agricoltura intensivi, da quelli di distribuzione commerciale e dalla pratica agricola delle monoculture.

In un paese in cui ci si vanta di una Biodiversità unica al mondo, stiamo perdendo i nostri tesori. Ad arrestare questa avanzata ci pensa COLDIRETTI e la Politica dei SIGILLI. Scopriamo cos’è.

Parliamo solo di un secolo fa. Nel nostro Bel Paese si contavano circa 8.000 varietà di frutta. Oggi arriviamo a meno di 2.000, di cui 1.500 sono considerate a rischio di scomparsa. Ma la perdita di biodiversità riguarda l’intero sistema agricolo, dagli ortaggi ai cereali, dagli ulivi fino ai vigneti.

E’ quanto già affermava nel 2019 la Coldiretti nell’evidenziare gli effetti dell’allarme lanciato dalla FAO sulla perdita di biodiversità con ‘Il rapporto sullo Stato della biodiversità mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura”.

Non sono chiacchiere, sono dati, allarmanti dati. E non parliamo di un altro mondo, parliamo del nostro. Di chi è la colpa? Da una parte, sicuramente dei cambiamenti climatici, che hanno visto e vedono l’Italia esposta a lunghi periodi di siccità – cui fanno da contrappunto fenomeni meteorologici estremi, come le alluvioni, la grandine improvvisa, le bombe d’acqua -l’antropizzazione degli ambienti.

Dall’altra ( che pesa molto di più sul piatto della bilancia) sono i moderni sistemi di coltivazione e distribuzione commerciale, le logiche della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) che privilegiano grandi quantitativi, la facilità di raccolta e la standardizzazione dell’offerta.

Nell’ultimo anno e mezzo la rovinosa Pandemia ha aggravato anche questo scenario tagliando sbocchi di mercato per la chiusura del canale della ristorazione e per l’assenza di turisti oltre stivale.

Si tratta in fatti di un apparato fortemente interconnesso, come l’ecosistema in cui viviamo, per cui l’omologazione e la standardizzazione delle produzioni a livello internazionale finisce con il mettere a rischio anche gli antichi semi della tradizione italiana, sapientemente custoditi per anni da generazioni di agricoltori.

Un pericolo che riguarda anche – continua la Coldiretti – la fattoria in Italia dove sono scomparsi 1,7 milioni tra mucche, maiali, pecore e capre negli ultimi dieci anni. Stalle, ricoveri e ovili si sono svuotati dal 2008 con la Fattoria Italia che ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale.

Un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori. A rischio – denuncia la Coldiretti –la straordinaria biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini. Un pericolo – secondo la Coldiretti – per i produttori e i consumatori per la perdita di un patrimonio alimentare, culturale ed ambientale del Made in Italy, ma anche un attacco alla sovranità alimentare del Paese.

COME TUTELARE CIò CHE RESTA?

I prodotti coltivati e le razze allevate rappresentano dei veri e propri tesori che la nostra millenaria storia ci ha tramandato e che sta a noi, cittadini del nuovo millennio, valorizzare e preservare.

Cibi legati a doppio filo ai propri territori d’origine, salvati dagli agricoltori grazie ad una capillare operazione di valorizzazione della biodiversità contadina.

Coldiretti e Fondazione Campagna Amica hanno maturato nel tempo l’esigenza di porre attenzione alla tematica della biodiversità di interesse agronomico in primis, ma anche a livello naturalistico, considerando il paesaggio italiano come la principale risorsa del nostro Bel Paese.

Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che il patrimonio enogastronomico italiano, così come la ricchezza naturale dei sui territori, ha dei custodi che da sempre vivono e lavorano a contatto con la natura e curano i prodotti della terra: gli agricoltori. I prodotti coltivati e le razze allevate rappresentano dei veri e propri tesori che la nostra millenaria storia ci ha tramandato e che sta a noi, cittadini del nuovo millennio, valorizzare e preservare.

“I Sigilli” di Coldiretti

Siamo tutti coinvolti nel preservare il patrimonio agricolo italiano.

Sono nati così “i Sigilli di Campagna Amica”, veri testimonial della nostra cultura agricola. Oggi è possibile trovare in vendita nei Mercati di Campagna Amica questi splendidi prodotti che sono stati individuati, già nel 2018, con un primo censimento.

Oltre al prodotto si valorizza anche il relativo custode, l’imprenditore agricolo, a cui va il merito di aver continuato a conservare semi antichi, piante centenarie e razze autoctone legate da secoli alla storia italiana.

“La biodiversità non è solo un valore ambientale ma anche economico ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “la distintività è un motore di sviluppo per le imprese del Made in Italy”. Un valore che la Coldiretti è impegnata a difendere nei mercati e nelle fattorie con i “Sigilli” di Campagna Amica che sono i prodotti della biodiversità agricola italiana che nel corso dei decenni sono stati strappati all’estinzione o indissolubilmente legati a territori specifici ai quali si aggiunge la lista delle razze animali che gli imprenditori agricoli di Campagna Amica allevano con passione. Si tratta – conclude la Coldiretti – in totale di 311 prodotti e razze animali raccolti nel corso di un censimento, curato dall’Osservatorio sulla biodiversità istituito dal comitato scientifico di Campagna Amica.

I primi 311 Sigilli sono stati presentati in un ricco volume, un vero atlante, dal titolo evocativo “I Sigilli di Campagna Amica – La Biodiversità agricola”. In realtà i prodotti così censiti sono stati ben più di 1.100 a cui si aggiungono quelli del secondo censimento (anno 2020) che porta a un paniere di circa 1.500 prodotti da studiare e custodire.

Il nuovo Atlante dei Sigilli di Campagna Amica – la biodiversità contadina vuole presentare le diverse realtà e i variegati prodotti sigilli della biodiversità che ogni giorno migliaia di agricoltori coltivano in giro per l’Italia; dopo una prima parte tecnica in cui vari esperti del settore ci aiutano ad affrontare e approfondire il tema biodiversità da un punto di vista più culturale e un aggiornamento dello studio statistico del 2018 a cura dell’Istituto Ixè sul rapporto degli italiani con la biodiversità, vengono presentati i Sigilli di Campagna Amica del 2020: prodotti rari, antichi e quasi persi.

Sono 107 i nuovi prodotti della nostra biodiversità contadina che vanno sommati ai 311 censiti nell’atlante precedente.

Nel corso dello studio biennale sono risultati 450 “agricoltori custodi”, di cui il 25% sotto i 40 anni. Le aziende condotte da questi imprenditori per il 20% producono con il metodo biologico e il 5% è impegnato in attività di agricoltura sociale ai sensi della Legge 141/2015.

Dei 311 prodotti della biodiversità censiti, il 90% sono presenti sui banchi di vendita diretta dei mercati di Campagna Amica, mentre il 10% può essere acquistato solo in punti vendita aziendali o durante eventi specifici. Il 16% sono frutti, il 44% è rappresentato da ortaggi, legumi e cereali, il 30% da derivati di razze animali che sono rappresentante da 55 razze diverse presenti nei registri e nei libri delle razze, il 3% da miele e prodotti spontanei ad alto valore ecosistemico, ed infine trasformati di olivi e vitigni per un 7%.

Tutto questo rappresenta lo sforzo ulteriore che Coldiretti e Campagna Amica portano avanti per permettere ai cittadini di poter scegliere: un acquisto consapevole, mirato, informato e trasparente. In questo caso, nel nome della biodiversità, perché l’offerta del produttore agricolo viene tutelata dalla scelta di acquisto etico del consumatore.

Come prendere parte all’inversione di rotta?

Se sei un produttore agricolo puoi rivolgerti a Coldiretti per localizzare e valorizzare dei tuoi sigilli della biodiversità contadina cliccando QUI.

Read more

Una pizza in teglia romana, croccante in superficie, ben alveolata, leggera, digeribile, perfetta come base per golose combinazioni di ingredienti o per essere tagliata e farcita come più Vi piace. Realizzarla a casa con la ricetta di uno dei più talentuosi pizzaioli italiani, il bravissimo Luca Pezzetta, sarà un gioco da ragazzi. 

Ha da poco aperto la sua CLEMENTINA a Fiumicino (ne parliamo qui), è dei più celebri allievi di Gabriele Bonci, è stato per tanti anni la colonna gastronomica de l’Osteria di Birra del Borgo a Roma, è stato eletto “Miglior chef pizzaiolo” dalla Guida Identità Golose 2020; parliamo di Luca Pezzetta, l’enfant prodige dei lievitati che, grazie alla sua importante esperienza maturata negli anni e alla sua instancabile ricerca sugli impasti, ci regala una ricetta e dispensa consigli utili per ottenere ottimi risultati anche con il forno di casa.

Da Pizzeria Clementina – in via della Torre Clementina 159 a Fiumicino (RM) – Luca ha messo a punto una proposta di pizza che si divide in tre tipologie: quadruccio romano, padellino e pizza romana.

Tre impasti e tre lieviti madre differenti. Di seguito riportiamo la Ricetta del
quadruccio romano“, ovvero un trancio di pizza romana in teglia che qua diventa un perfetto e soffice palco pronto ad ospitare ghiotte combinazioni di ingredienti, dalle più ardite a quelle più tradizionali.

I CONSIGLI di LUCA PEZZETTA

Oltre alla caratterizzazione di sapore che sceglieremo di dare alla nostra Pizza in Teglia, sperimentare una buona tecnica e, a prescindere dalle competenze di ciascuno, seguire passo passo “una ricetta a prova di alveolo”, può essere sufficiente per realizzare un prodotto a casa che sia altamente digeribile quanto gustoso.

Visto e considerato che la Pizza in Teglia è l’unica pizza che con il forno di casa riesce a dare ottimi risultati, a prescindere dal talento e dalla preparazione sul campo, esistono delle nozioni di base tenere sempre a mente se si vuole realizzare un buon prodotto.

Partiamo dalla scelta delle farine che, oltre i dettami della lievitazione e maturazione, è fondamentale per ottenere il risultato finale desiderato. Non siete sicuri di sapere tutto? Per conoscere di più le farine, cliccate QUI.

Dopodichè sarà fondamentale e/seguire attentamente la ricetta, evitando di improvvisare. Dopo la cottura, altrettanto importante, sarà la scelta dei condimenti. Qui vige una sola regola, quella di non lesinare sulla qualità per garantire, dopo tanto lavoro, un’esperienza ad alto godimento.

La ricetta che segue prevede un companatico di Provola, Cicoria e Porchetta, liberamente tratta dal menu di Pizzeria Clementina.

Ingredienti

1 kg farina forte tipo 0 (ovvero con una W che può variare dai 320 ai 340) / Olio extravergine di Oliva / Sale marino / Lievito di birra fresco / Malto o Zucchero / 380 g farina tipo 1 o tipo 2

Procedimento

Partite con un giorno di anticipo e preparate un preimpasto con 1 kg farina, 1 kg acqua e 1 g di lievito quindi, in un recipiente alto e stretto, sciogliete il lievito nell’acqua e aggiungete la farina. Miscelate tutto con una frusta da pasticceria o con un mestolo fino a ottenere la consistenza della pastella, poi lasciatelo per 18/20 ore a temperatura ambiente dai 18/22 gradi chiudendo il contenitore con la pellicola forata per far passare ossigeno (il contenitore deve essere capiente per poter far raddoppiare di volume il pre-impasto).

Dopo 18/20 ore vedrete che il pre-impasto risulterà raddoppiato di volume e sentirete al naso delle note leggermente alcoliche notando anche delle bolle in superficie. Il nostro pre-impasto a questo punto è pronto.

Versate i 380 g di farina tipo 1 nella planetaria con 20 g zucchero o, meglio, – se lo avete a disposizione –  10 g di malto in polvere. Poi 15 g di lievito e 3/4 del pre-impasto fatto precedentemente. Iniziate a impastare fino a ottenere una massa liscia e omogenea. Una volta ottenuta continuate a versare l’ultima parte di pre-impasto fino a farlo assorbire tutto, realizzando così una massa unica, liscia e omogenea. Aggiungete 35 g di sale con un piccolo goccio di acqua e continuate a impastare fino al suo assorbimento. Una volta assorbito, aggiungete 38 g di olio evo e lasciatelo assorbire bene a sua volta.

Quando si è assorbito tutto lasciate riposare l’impasto in un contenitore capiente coprendolo con della pellicola, altrimenti si secca la pasta. Una volta raddoppiato di volume (impiegherà circa 50 minuti) fate le palline in base alla grandezza della teglia calcolando lato x lato della teglia diviso 2 (per esempio, in una teglia 30×30 mettete 450g di impasto 30×30 diviso 2).

Lasciate le palline nella teglia leggermente oleata coprendole con la pellicola e aspettate che raddoppiano di volume (circa 30 minuti). Una volta raddoppiate, stendetele molto delicatamente portando l’impasto fino ai bordi della teglia e lasciatela lievitare di nuovo in teglia per circa 30 minuti, sempre coprendola con la pellicola da cucina.

Infine, cuocete la teglia sul fondo del forno (al massimo della potenza e ventilato); a metà cottura, quando vedrete che sotto la pasta inizia a diventare cotta, passate la teglia al centro del forno per completare la cottura il superficie. Sfornare e arricchire di condimenti come e più Vi piace.

Read more

La Thuile, nella valle laterale della Valle d’Aosta, è il lato wild del Monte Bianco.
Con i suoi 6 abitanti per kmq, il raccolto borgo di montagna, concede a tutti ampi spazi e la rara possibilità di una riconnessione con la potete natura che diventa elemento energizzante e concede forme di benessere a più livelli, da quello psico-fisico alle Performance sportive ed enogastronomiche.

Oltre ad un’incredibile varietà di sport invernali in fondo all’omonimo vallone, quasi al confine con la Francia, capace di trasmettere forza e armonia, La Thuile rappresenta il lato selvaggio del Monte Bianco, ma è anche il luogo ideale per misurarsi con la natura e con la tavola, infatti l’iniziativa promossa dal Ristorante Les Granges, è declinata in vari appetitosi appuntamenti alla scoperta delle unicità territoriale, fino ad aprile 2022.

SCENARIO GASTRONOMICO

La Thuile, piccolo borgo di alta montagna in Valle d’Aosta, al confine con la Francia, gode di una posizione strategica in termini geografici. Insieme ai centri di Pré Saint DidierLa SalleMorgex e Courmayeur, fa parte della Vallis Digna, il tratto finale della Valle d’Aosta, nonché accesso nel territorio francese attraverso il Colle del Piccolo San Bernardo.

E’ una destinazione dalla vocazione sportiva di fama internazionale, sia per il turismo invernale sia per quello estivo, che è riuscita a mantenere salda la dimensione più vera e pura della montagna, grazie ad un’affiatata comunità che si impegna a preservarne l’ambiente mettendo in atto strategie volte alla sostenibilità e alla valorizzazione dei propri prodotti.


LE GROTTE DELLA FONTINA 

Alcuni prodotti della gastronomia valdostana sono ormai famosi nel mondo, altri invece, sono meno conosciuti ma assolutamente degni di nota. Tra le eccellenze D.O.P. troviamo Fontina, Valle d’Aosta Fromadzo, Vallée d’Aoste Lard d’Arnad e Jambon de Bosses, che saranno proprio le prelibatezze protagoniste del ciclo di appuntamenti "Mattinata D.O.P. Sapori di montagna", iniziativa promossa dal Ristorante Les Granges, a La Thuile e che che fa parte del circuito Saveurs du Val d’Aoste, da gennaio ad aprile 2022 (gennaio 14 e 21 – febbraio 4 e 8 – marzo 17, 24 e 31 – aprile 7, 13, 23 e 30).

Un itinerario del gusto, che si inserisce a pieno titolo quale appuntamento fisso nel calendario degli eventi invernale proposti da La Thuile. Il programma prevede la visita alla Grotta delle Fontine, in zona Buic, dove sono stivate per la stagionatura più di 6.000 forme: un enogastronomo svelerà le caratteristiche, i segreti della lavorazione e della maturazione di questo straordinario formaggio Dop dall’alta concentrazione di valori nutrizionali, ideali per il proprio benessere (se non si esagera, eh!).

A seguire, aperitivo e degustazione guidata di quei prodotti valdostani che hanno ottenuto il riconoscimento “Denominazione di Origine Protetta”, presso il Ristorante Les Granges, che fa parte del circuito Saveurs du Val d’Aoste.

Si scopriranno i sapori di:

Fontina Dop: un formaggio prodotto con latte crudo e intero, la cui produzione è regolamentata da un rigido disciplinare che la definisce: “un formaggio grasso a pasta semicotta, fabbricato con latte intero di vacca appartenente alla razza valdostana (pezzata rossa, pezzata nera, castana), proveniente da una sola mungitura” (primo prodotto valdostano a diventare Dop).

Valle d’Aosta Fromadzo Dop: formaggio magro o semigrasso, a pasta semidura, prodotto da latte di vacca valdostana, pezzata rossa e castana, talvolta addizionato con una piccola percentuale di latte di capra, dalla maturazione minima di 60 giorni fino a una stagionatura di 10 mesi.

Vallée d’Aoste Lard d’Arnad Dop: un lardo maturato in antichi recipienti di castagne e rovere, molto profumato.

Jambon de Bosses Dop: prosciutto di alta qualità, principe della salumeria valdostana che, nelle fasi della lavorazione, prevede la concia con erbe aromatiche del territorio, la salatura manuale, la stagionatura su letto di fieno e la disossatura con legatura anch’essa eseguita manualmente.

Ad accompagnare il tour degustativo, Claudio Giacchetto, la moglie Ester Ollier e il figlio Nicolò, enogastronomi e proprietari dell’Hotel Ristorante Les Granges, insigniti del titolo “Ambasciatori della Fontina” grazie all’impegno con la Regione Valle d’Aosta Assessorato dell’Agricoltura e Ona “Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio”.

Le date degli appuntamenti sono:

15/01 Les Granges: prodotti locali, vino valdostano e sapori Dop

22/01 Lo Riondet: la Raclette (piatto a base di formaggio fuso servito con patate, sottaceti e salumi)

27/01 Eden: cucina bio di montagna

14/02 Le Petit Skieur: tagliere, polenta e vini locali

04/03 Eden: cucina bio di montagna

08/03 Les Granges: prodotti locali, vino valdostano e sapori Dop

19/03 Coppapan: la tradizione nel piatto

Per info e prenotazioni: Ristorante Les Granges – Loc. Les Granges – 11016 La Thuile (AO). Tel. 0165 884885 – cell. 335 5355803; info@lesgranges.it. Costo a persona: euro 16,00

CENA & CIASPOLE

Per godere appieno della potenza della montagna, circondati da una natura intatta e selvaggia, immersi in un’atmosfera preziosa e rara per il proprio benessere, La Thuile offre anche una magnifica abbinata ciaspole + cena gourmet.

In compagnia dell’esperta guida alpina Alberto Miele, valdostano di adozione, che ha fatto delle Alpi Graie la meta principale per le escursioni legate all’alpinismo e allo sci alpino, si vivrà La Thuile nelle ore serali, respirando l’aria pura e frizzante delle sue montagne e sperimentando un’esperienza energizzante, seguita da una degustazione di prodotti Dop della tradizione valdostana proposti dai ristoranti locali.

Alberto coinvolgerà con la sua conoscenza e con la passione per questi luoghi i partecipanti alla ciaspolata riscopriranno la bellezza del passo lento sulla neve, del silenzio avvolgente delle frizzanti serate montane, della forza che solo luoghi come questi sanno comunicare. Il tutto sempre coronato da una cena e da una degustazione, sempre ricercate e particolari.

Per informazioni, orari e luogo di partenza contattare la Guida Alberto Miele 3382722764; www.zerovertigo.com – info@zerovertigo.com

Costo a persona: Euro 35,00 (ciaspolata e offerta gourmet).

Per altre info: www.lathuile.it

Immagine di Copertina www.fontina-dop.it

Read more