Sara De Bellis

Autore: Sara

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Dalle Alpi alle Coste isolane le ricette per portare sulla tavola i sapori della primavera italiana, scoprire prelibatezze e piatti tipici pasquali, simbologie, leggende e curiosità delle nostre 20 regioni-scrigno. Terza tappa: Molise, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Per la Prima Tappa clicca qui, per la Seconda clicca qui.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della bella stagione che si sono fatti nel tempo un cibo carico di simbologie, divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Così, dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa. Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua.

– Molise

Se credevate di conoscere tutte le tipologie di lasagne, vi sbagliavate perchè, oltre a quelle bolognesi, a quelle verdi, a quelle ricche napoletane e siciliane ci sono, ebbene si, quelle in brodo.

Il Molise, scisso dagli Abruzzi dal 1963 e regione dal 1970, una delle più piccole d’Italia, ha due province, Campobasso e Isernia. In sua gloria ha le laine del conforto con polpette e brodo, come è d’uso a Montenero di Bisaccia. Per cucinare le lasagne in brodo, preparate un buon brodo di gallina assieme alle sue interiora; amalgamate la carne e le frattaglie del pollo con del macinato, noce moscata, mollica di pane, uova, formaggio, prezzemolo. Ricavate delle polpettine grosse come un cece, cuocetele in brodo.  A parte cuocete le lasagne. Versate qualche mestolo di brodo in una teglia, rivestite il fondo con le lasagne, spolverizzatele di formaggio, mettete una manciata di polpettine e una di tocchetti di formaggio, quindi aggiungete qualche mestolo di brodo e servite caldo.

Si prosegue con Casciatelli, Agnello e insalata buona Pasqua, fatta con uova di quaglia sode e fagiolini verdi. Col grano pestato al mortaio si prepara in Molise, nelle zone di Monteroduni e Sant’Agapito, la PIA.

La  pia è un piatto tipico di Sant’Agapito, paese in provincia di Isernia, dove, per tradizione viene mangiato il Sabato Santo o la mattina di Pasqua.
Richiama antichi riti pagani di primavera, propiziatori di buoni raccolti e di abbondanza. Anticamente per preparare questo piatto veniva utilizzato il grano “spogliato”, cioè  messo a bagno per ventiquattro ore nella “pila” (grosso recipiente di legno a forma di imbuto), poi privato della pula con i colpi di un pesto ( mazzola) in legno veniva “spogliato” fino a quando il grano non era pronto per essere setacciato e cotto a fuoco lento con abbondante acqua salata. Oggi è possibile saltare  questo passaggio utilizzando del grano precotto, in barattolo.

anche la frittata di Pasqua è ricca di simbologie: è molto grande, fatta con uova sempre di numero dispari e preferibilmente più di 101. Durante la preparazione ogni familiare ne deve rompere almeno una per assicurarsi lunga vita. Si aprono anche per i parenti defunti, per alleviare la loro espiazione dei peccati nell’Aldilà. Contiene coratella, formaggio caprino, nepitella, asparagi selvatici.

– Campania

In Campania, ad esempio, la tradizione della Pasqua è molto sentita, sia a livello religioso che gastronomico. Per molte famiglie è motivo di gioia perché ritornano a casa i figli lontani trasferiti al nord, per tanti altri è semplicemente l’occasione per riunirsi con amici e parenti. Ma anche per i tanti turisti che scelgono la Campania come meta delle loro vacanze pasquali, una full immersion nella cucina napoletana non guasta mai.

Ci sono piatti imprescindibili nella cucina partenopea, dal casatiello alla minestra maritata, che sono il cuore pulsante della tradizione, ma non mancano anche altri tipi di primi piatti pasquali meno partenopei, ma comunque tradizionali.

Si parte dalla sera del giovedì santo, con la zuppa di cozze, preparata con pane duro, cozze e polpo.

Il venerdì santo si è invece soliti praticare il digiuno, secondo la tradizione Cristiana ed approfittarne per preparare tutti i piatti della tradizione per il giorno di festa.

Il sabato santo è l’occasione per dare il via libera al casatiello, il più classico e famoso tra i piatti pasquali. Si tratta di un rustico realizzato con pasta di pane a forma di ciambella con delle uova sode intere posizionate sulla superficie. Il termine di questo piatto deriva dalla parola “caso”, che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e richiama la consistente presenza di questo ingrediente all’interno del rustico, insieme a diversi tipi di salumi, quali mortadella, prosciutto cotto e salame, con l’aggiunta di pecorino romano, parmigiano, strutto e ciccioli di maiale.

Nella provincia di Caserta è diffusa anche la variante dolce del Casatiello, preparata con uova, strutto, glassa, zucchero e sopra, al posto delle uova, ci sono i tipici confetti campani chiamati “Diavulilli”, presenti anche nella ricetta degli struffoli.

Altro rustico della tradizione pasquale in Campania è la Pizza ‘Chiena Napoletana, formata da una sfoglia alla base di strutto, farina e lievito di birra, ed un ripieno di uova, prosciutto cotto e crudo, pecorino e parmigiano grattugiato, provolone e scamorza.

Il pranzo pasquale inizia con la tipica fellata, un antipasto di affettati misti, il cui termine deriva da “fella”, parola napoletana che indica la fetta, poiché tutti i salumi sono tagliati a fettine più o meno sottili. Nella fellata troviamo il salame napoletano, il capocollo, la ricotta salata, il provolone e uova sode. In alcune zone del casertano non è raro trovare anche la mozzarella di bufala.

Si prosegue poi con la minestra maritata, che vede l’accostamento della carne agli ortaggi e che è stata a lungo la pietanza del regno di Napoli prima di essere sostituita dai maccheroni. Il nome deriva dal fatto che gli ingredienti, la carne e le verdure miste come cicoria, scarole, verza e borragine, si sposano, ovvero si cuociono insieme creando un unico sapore.

In alcune famiglie si prepara anche la pasta al forno con sugo e provola, oppure sformato ricco di tagliatellepasta pasqualina fettuccine alla maestosa. È poi il turno dell’agnello con piselli e uova prima di arrivare a mettere le mani sulla Regina indiscussa della tavola di Pasqua in Campania: la famosa pastiera napoletana, così buona che molte pasticcerie ora la preparano durante tutto l’anno e non più solo a pasqua.

Si racconta che, per la sua bontà, l’imperatrice Maria Teresa D’Asburgo, che non rideva mai, dopo averla assaggiata avesse fatto uno dei suoi primi sorrisi facendo nascere il detto napoletano “magnatell ‘na risat”.

La pastiera, di colore giallo, altro non è che una torta di pasta frolla croccante, con il morbido ripieno di ricotta, uova, zucchero, frutta candita e grano bollito nel latte. Nella ricetta originale viene inoltre aromatizzata con cannella, canditi, scorze d’arancia e vaniglia.

Nel salernitano, la versione è leggermente differente e sostituisce il riso al grano, mentre a Mondragone la si prepara senza ricotta. In provincia di Napoli, invece, nella zona di Torre del Greco, si è soliti preparare la pastiera di pasta: una sorta di frittata di pasta fatta con i capellini e zucchero, vaniglia, cannella e fiori d’arancio, dalla consistenza morbida e croccante allo stesso tempo.

– Puglia

Le celebrazioni pasquali in Puglia a tavola sono sentite per lo più tra i secondi piatti e i dolci, dove l’agnello la fa sempre da padrone.

Un classico è l’Agnello con patate al forno, irrorato con vino rosso o rosato e la variante con le patate prima fritte nel tipico olio pugliese a bollore per dare loro una sfumatura dorata e un sapore più profondo, poi finite in forno.

Capace di combinare il simbolismo dell’agnello con quello dell’uovo, immagine dedicata al concetto di rinascita e resurrezione, la ricetta del Brodetto di Pasqua con uova e piselli e pecorino. 

L’antipasto qui si chiama Benedetto e annovera i prodotti tipici delle terre di Puglia: capocollo di Martina Franca con fette d’arancia e olio Evo, ricotta frescaasparagi, taralli bolliti e uova sode; ed è così chiamato così per via del ramoscello di ulivo che è abitudine porre sul piatto una volta pronto, in segno di benedizione per tutti i commensali.

L’agnello è padrone anche del comparto dolciario della Pasqua pugliese, con la ricetta del tipico Agnello in pasta di mandorle. La regione è celebre per la sua cultura dolciaria e la sua nascita è legata ai monasteri benedettini della città di Lecce, dove fu preparato la prima volta. Ricca per fascino estetico e valore simbolico, la ricetta prevede un grande uso della pasta di mandorle che rappresenterà in seguito la figura dell’animale.

Poi panzerotti in una gustosa variante: le pastatelle pugliesi, conosciute anche come boconotti, un esterno d’impasto dolce ricoperto da zucchero a velo con un interno di marmellata alle ciliegie. Un piatto capace di ingolosire chiunque, finger food solitamente di breve durata sulla tavola per via della facilità con cui viene consumato.

A simboleggiare la liberazione dal peccato originale è tipicamente la scarcella, un grande biscotto in pasta frolla realizzato con ingredienti tipicamente poveri e alla portata di tutti: farina, olio, uova. La forma è variabile ma spesso le si dona l’aspetto della colomba pasquale, indicando la nascita di una nuova vita. È possibile assaggiare scarcelle a forma di coniglietti, cestini, cuori e molto altro, comunemente decorate con uova sode o ovetti in cioccolato e confetti.

Scopri la ricetta su: Scarcella di Pasqua, dolce della tradizione pugliese

Base di una grandissima quantità di dolci pasquali è la pasta di mandorle, fusione di sapori come quello della mandorla con quello del limone, della ciliegia e del cioccolato bianco. Tra i diversi prodotti preparati con questa pasta ricchissima e speciale ci sono la cassata, il rollò, le cassatelle, le cassatine, la frutta di martorana o la frutta di pasta di mandorle, spesso presenti sulle tavole della regione soprattutto in concomitanza della Pasqua.

– Calabria

La tradizione calabrese a Pasqua arriva a tavola grazie con una selezione di salami, pancetta e soppressata unita a formaggi del territorio come caciocavallo, caciotte, ricottine con pecorino. Il tutto rigorosamente accompagnato da pane casereccio, funghi sottolio, olive “ammaccate” e filetti di melanzane. Si prosegue con un primo piatto carico di Sud: Fusilli con salsiccia e nduja con passata di pomodoro, nduja sbriciolata senza budello, cipolla e olio extravergine d’oliva.

Per non passare bruscamente al secondo piatto, cosa c’è di meglio che concedersi un ottimo Timballo nduja e cacio? Questo piatto è  un’esplosione di sapore che unisce tutta la piccantezza e il gusto intenso della cucina calabrese con una deliziosa croccantezza data dalla gratinatura in forno.

Per prepararlo sono necessari mezzi, caciocavallo silano, nduja, Parmigiano reggiano grattugiato, pangrattato, olio extravergine d’oliva e origano. Per Secondo: capretto al forno con patate, semplice con patate, aglio, olio, acqua, origano e sale. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso locale.

E arriviamo al momento tanto atteso dei biscotti pasquali: le Cuzzupe sono una sorta di biscotti morbidi fortemente radicati nella tradizione, comunissimi nel periodo di Pasqua e le Nepitelle, altra ricetta tipica calabrese ravioli dolci ripieni di marmellata di uva, mandorle, uva sultanina, cannella, cacao e liquore.

– Basilicata

La cucina Lucana è ancora poco conosciuta ma molto emblematica e ricca di simbolismi legati ad eventi religiosi e tradizioni che non devono essere perduti nel tempo.

In Basilicata, a Pasqua, l’usanza tipica è quella di unire tre alimenti che configurano la sacralità della morte e risurrezione del corpo di Cristo. La simbologia vuole che l’uomo chieda purificazione attraverso l’elemento/alimento madre, il cibo.

Il pranzo pasquale è indirizzato dall’ unione dei tre alimenti che compongono il sacrificio e la redenzione: l’uovo, simbolo della morte e risurrezione nella Pasqua; il formaggio, derivato dal latte, simbolo di purezza e di verginità; il verde colore dei vegetali, che Madre Terra.

Si pane lucano il Piccillato di Pasqua, realizzato con farina 00, vino bianco, lievito, uova, latte e scarso in sale. Torta salata di Pasqua per antipasto, ripiena di toma di pecorino, salame a dadini, uova e pepe.Un altro antipasto è il Tortino di patate e asparagi fresco e saporito. Si prosegue con Ravioli ripieno di funghi cardoncelli e minestra di cardi, fra i secondi piatti non può mancare l’Agnello alla lucana realizzato con petto o spalla di agnello, patate, pomodorini, mollica di pane, cipolline, pecorino e sapori; o il Capretto al forno con Muscari realizzato appunto con carne di capretto, muscari o comunemente conosciuti come lampascioni, mollica di pane, pecorino, aglio e sapori. Fra i dolci Pasquali tipici troviamo lo Squarcieddo.

– Sicilia


In Sicilia, terra molto legata alla tradizione religiosa, la Pasqua è una festività molto sentita. Durante la settimana santa, in passato si mangiavano solamente farinacei: si preparava quindi “il pane di cena”, pane dolce tipico della Sicilia orientale, impastato con la farina di Majorca, che nella provincia di Catania veniva invece usata per la cucchia, una specialità di pane che si cucinava per festeggiare la nascita di una figlia femmina. Il cibo umile è al centro di vari rituali durante la Settimana Santa: in provincia di Caltanissetta, ad esempio, dal Mercoledì Santo (giorno di processioni in tutta la Sicilia) in poi si portano presso i sepolcri patate, legumi e dei fusti di zagara detti cruneddi.

Le tradizioni culinarie pasquali del pranzo domenicale sono invece molto elaborate. Comune a tutta la Sicilia è l’agnello, che però presenta diverse ricette a seconda della zona: a Palermo si arrostisce e si serve con le patate, a Ragusa è accompagnato dall’impanata pasquale, una focaccia di origini spagnole, mentre a Trapani si cucina l’agnello alla menta.

In più, tipico di Messina è u sciusceddu, una ricetta antiche che vede polpette cotte in un brodo leggero e poi ricoperte dalla “conza”, una morbida crema di ricotta, formaggio e uova che, con il calore del forno, formerà una leggera crosticina dorata mantenendo una consistenza interna simile a quella di un soufflé; mentre ad Agrigento si prepara “il tegame pasquale d’Aragona”, formato da uova, zafferano e cannella.

Piatto forte del pranzo sono, però, i dolci. Il più importante e famoso è la cassata, che nasce come dolce pasquale ma è ormai presente in tutti i periodi dell’anno. Diffusa in tutta la Sicilia, ha origine nella Palermo araba e rispecchia nella sua composizione i diversi strati culturali della città. 

Il suo nome deriva dall’arabo quas’at (scodella), dal recipiente in cui ricotta e zucchero venivano mescolati. Inizialmente la ricetta si limitava a zucchero, ricotta rigorosamente di capra e pasta di pane, ma si arricchisce quando viene inventata la pasta reale o pasta di mandorle, detta anche Martorana perché inventata nel 1100 dalle suore di una chiesa palermitana chiamata appunto della Martorana, per decorare la chiesa con dolci a forma di frutto (che diventeranno tipici della festa di Ognissanti e saranno chiamati frutta di Martorana). In seguito, i dominatori spagnoli aggiungono cioccolato e Pan di Spagna e in epoca barocca viene introdotta la frutta candita come decorazione.

Tipici tra le tradizioni culinarie pasquali sono anche pupi cu l’ova, ciambelle a forma di agnello, colomba o altri simboli pasquali al cui centro viene posto un uovo con ancora il guscio. La simbologia dell’agnello sacrificale e dell’uovo è frequente nei dolci: abbiamo infatti un agnello fatto di pasta di mandorle, con lo stendardo della resurrezione, che si mangia anche in tutto il periodo precedente alla giornata di Pasqua. A Favara, in provincia di Agrigento, l’agnello è ripieno di crema di pistacchi.

L’arrustuta di Pasquetta

Una vera e propria istituzione della cultura pasquale siciliana è poi l’arrustuta di Pasquetta e le stigghiole, budella di agnello arrotolate intorno a un porro o una cipolla lunga e condite con sale e limone, in una ricetta di origine greca.

– Sardegna

Semplicità, genuinità e sapori antichi: queste le prerogative dei piatti chiamati ad imbandire la tavola sarda nel giorno di Pasqua. Un tripudio di sapori che delizia il palato e celebra la tradizione sarda in un giorno di festa. Chi volesse sbizzarrirsi e preparare un menù tipicamente sardo non avrà che l’imbarazzo della scelta, tanti e variegati sono i gusti e i piatti tipici della tradizione enogastronomica dell’isola. 

Si parte dagli antipasti: pomodori secchi, Pecorino Sardo, salumi e carciofi spinosi locali sott’olio si adageranno su un letto di pane carasau, il pane croccante in fogli sottili caratteristico della tradizione culinaria sarda.

A Pasqua in Sardegna si è soliti cucinare la Panada, piatto unicoa forma di ‘cestino’ di pasta ripieno di carne di agnello, carciofi e patate, cucinato anche nella variante con i piselli.

C’è anche quella a base di carne di maiale o di anguille, se si sceglie il menu di pesce. Mentre un altro primo piatto sempre molto gettonato è quello dei Culurgiones.

CULURGIONIS OGLIASTRINI

Culurgiònis o Culurgiònes sono senza dubbio il piatto più famoso della cucina tipica ogliastrina, originariamente preparati solo in famiglia, oggi rappresentano una delle maggiori realtà economiche nel campo della pasta fresca e nel panorama della gastronomia ogliastrina e sarda.

La semplicità degli ingredienti dei culurgiones, ne fa nel passato un piatto povero, appartenente alla cultura agropastorale della zona.

Per prima cosa si lessano le patate, si sbucciano e si schiacciano per bene. Alle patate si aggiunge dell’olio d’oliva o del grasso (in passato si usava il grasso di vitello o manzo fresco o dello strutto di maiale), del pecorino (fresco o stagionato), sale, menta e aglio a piacimento. La sfoglia può essere preparata con una miscela di farina e semola o di sola semola, questa viene impastata con un po’ d’acqua tiepida salata e chiusa pasta originando una spiga detta in sardo “sa spighitta”.

I culurgiones vengono cotti tramite bollitura e serviti classicamente con del semplice sugo di pomodoro e pecorino grattugiato.

E i secondi? Un’apoteosi di arrosti di carne, come vuole la tradizione sarda. L’agnello arrosto cucinato con lo spiedo, oppure al forno con patate o in umido, con cuori di carciofi spinosi, prezzemolo e un pizzico di zafferano, esistente anche nelle varianti con piselli e patate. Agnello e capretto sono cotti in diversi modi, per esempio i piedini vengono fritti.

Molto diffusa “sa Cordula“, una treccia fatta con le interiora dell’agnello. Si può mangiare infilata con uno spiedo e arrostita, oppure in umido con piselli (prisucci) e passata di pomodoro. Non manca il porceddu, il famoso maialino sardo.

E poi, dulcis in fundo: le Pardulas ovvero le formaggelle di ricotta, dolce tipico pasquale sardo. Si tratta di cestini di pasta con la forma di stella e un cuore di ricotta vaccina o di pecora, a seconda dei gusti, insaporito da zafferano e scorze di agrumi e decorate con una glassa impreziosita da praline colorate.

Spazio, quindi, al torrone di mandorle e miele – famosissimo quello di Tonara – Mostaccioli, dolci di forma romboidale a base di mandorle, cannella e Sapa, glassa dolcissima ottenuta dal mosto cotto. Ancora, le Sebadas, ravioli fritti farciti di formaggio fresco, limone e ricoperti di miele fuso.

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Dalle Alpi alle Coste isolane le ricette per portare sulla tavola i sapori della primavera italiana e scoprire le prelibatezze d’Italia, i suoi piatti tipici pasquali, le simbologie, le leggende e curiosità legate alle preparazioni tradizionali delle nostre 20 regioni-scrigno. Per la prima Tappa -Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria- clicca qui.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della bella stagione che si sono fatti nel tempo un cibo carico di simbologie, divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Così, dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa. Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua.

– Emilia Romagna

I dolci della tradizione pasquale sono sempre molto semplici, soprattutto in quelle regioni a vocazione contadina come l’Emilia-Romagna dove la tipica Pagnotta Pasquale con uvetta viene accompagnata dalle uova sode benedette e dai celebri salumi e salami caserecci; si prosegue con il Pasticcio di maccheroni in pasta frolla – anche detto pasticcio ferrarese, un piatto antico le cui origini risalgono al ‘500 caratterizzato da uno scrigno di frolla dolce e un sapido ripieno di maccheroni, ragù bianco e besciamella, un piatto della tradizione che non manca mai sulle tavole delle case e dei ristoranti della città emiliana), nonchè le celeberrime lasagne verdi alla bolognese, la versione con la pasta all’uovo verde (agli spinaci o all’ortica) si servono tradizionalmente durante il pranzo di Pasqua.

La umile e contadina Tardura – che in dialetto romagnolo, significa “tiratura”, è una minestra con un gusto quasi identico ai passatelli romagnoli, solo che viene “tirata” anziché impastata e passata). Piatto antichissimo, sopravvive con gioia sulle tavole più tradizionali.

Tra i secondi l’agnello arriva su molte tavole (con i piselli alla romagnola o stufato al finocchio e non manca il suo fegato all’aceto balsamico) ma a sorpresa è spesso insidiato dal coniglio, alla cacciatora o in porchetta. Come dolci troviamo la panina pasquale e la ciambella, antichi e semplicissimi, ancora sfornati dalle nonne.

 – Toscana

L’astinenza quaresimale dalla carne, in Toscana è rotta dall’agnello, spesso cotto in fricassea. In Lunigiana, dove si sentono le influenze liguri, si prepara la Torta pasqualina, secondo un rituale che prevede di dividere l’impasto in 33 panetti, tanti quanti gli anni di Cristo.

Nella provincia di Massa Carrara la Torta è di riso ed è dolce, ma – sempre di riso – torna salata in Versilia e si chiama Putta, cioè con tanto pepe e pecorino stagionato. La Putta della Garfagnana è invece fatta anche con il farro. In ogni caso va gustata fredda, come antipasto durante il pranzo di Pasqua e viene servita accompagnata dai classici companatici quali uova sode, salumi e formaggi.

Tipica del Casentino è la Panina (e qui si sente l’influenza dell’Emilia-Romagna), un pane insaporito di spezie, zafferano e uvetta, da mangiare con le uova benedette. Tra gli altri pani più tipici, la focaccia di Pitigliano, pagnotta salata che ha un disegno a quadri sulla superficie guarnita di foglie d’ulivo.

Il Buglione invece è uno stufato di agnello marinato nel vino, che aiuta a stemperare il sapore forte della carne, ed è cotto con la pancetta e il pomodoro, servito con dei crostoni di pane toscano leggermente tostato che serve a raccogliere il sugo formatosi durante la cottura.

La Schiacciata di Pasqua, che è tutto tranne che sottile, è il dolce di Pasqua tipico diffuso in buona parte della Toscana con nomi leggermente diversi e con piccoli cambiamenti che ad un orecchio esperto permettono di attribuirla al senese, alla Valdelsa o all’empolese. C’è anche chi la chiama sportellina, il nome con cui viene definita a San Gimignano. Qualunque sia la definizione rimane il dolce caratteristico delle tavole pasquali della Toscana, la cui peculiarità consiste nell’intensa lavorazione manuale dell’impasto, nella lunga lievitazione naturale e nel distintivo profumo di anicini.

– Umbria

Regina indiscussa è la Torta di Pasqua, chiamata anche Pizza di Pasqua. Una torta salata a base di uova, farina e formaggi misti, soffice e gustosa, cotta in forno a legna dopo una lunga lievitazione. Nella tradizione veniva preparata dalle donne di famiglia il giovedì santo e non poteva essere consumata prima della mattina di Pasqua con salame, capocollo, uova sode colorate, cioccolato e vino rosso, tutto rigorosamente benedetto.

La mattina del Sabato Santo, infatti, si prepara un cestino con la tipica torta salata, del sale, le uova, i salumi, il pane, il vino e la ciaramicola (dolce caratteristico del Perugino) e si porta in chiesa per la benedizione dei cibi. È elevato il loro valore simbolico legato alla tradizione cristiana: l’uovo che rappresenta la Resurrezione, il pane emblema di Cristo, il vino che richiama il sangue di Gesù, la carne che evoca il sacrificio.

La giornata prosegue con un grande pranzo che prevede un primo piatto a base di pasta fatta in casa: gli “agnolotti” ripieni di carne, le tagliatelle, i tortelloni di Norcia o gli strangozzi spoletinisecondo la zona o la tradizione di famiglia. Come secondo, tipico della Pasqua umbra è l’agnello, cucinato arrosto e servito con fette di limone per esaltarne il sapore.

A Perugia, il pranzo della domenica di Pasqua si chiude con la Ciaramicola, una soffice ciambella lievitata di un bel colore rosso carico, ricoperta da una candida meringa e da una pioggia di confettini di zucchero: il rosso e il bianco ricordano proprio i colori simbolo della città. Secondo tradizione questa ciambella rappresentava l’amore, perché veniva regalata dalle ragazze ai propri fidanzati il giorno di Pasqua.


Tipica dell’orvietano, della Valnerina e delle zone del Trasimeno è invece la Torta di Pasqua dolce, aromatizzata con buccia di limone e cannella, che si accompagna indifferentemente ai salumi e al cioccolato. 

– Marche

La domenica mattina si fa una colazione con salumi, uova sode e Crescia di Pasqua o pizza al formaggio. La Crescia di Pasqua è una variante della pizza al formaggio: ricca di formaggio (soprattutto pecorino) e con una spruzzata di pepe, va mangiata insieme ai salumi, alla coratella d’agnello, frittate di erbe e frittata con mentuccia. La ricetta è molto simile a quella della pizza al formaggio, tanto che in alcuni posti Crescia di Pasqua e pizza al formaggio sono sinonimi. Fra gli affettati non deve assolutamente mancare il ciauscolo.

Se si è sopravvissuti alla colazione, allora poi si può passare al pranzo di Pasqua. Come primi: passatelli in brodo di gallina, tagliatelle o ravioli al sugo, mentre i secondi sono a base di agnello. Per i dolci, ci sarebbe la tradizionale Pizza dolce di Pasqua.

– Lazio

Sapori forti delle campagne e gustose raffinatezze locali, si sposano in un connubio gastronomico ricco di particolarità, impreziosito da numerose preparazioni culinarie: la tavola di Pasqua, a Roma e nel Lazio, è un sincero omaggio alla tradizione gastronomia territoriale.

Il simbolo del pranzo laziale è l’abbacchio, che da secoli campeggia sulle tavole regionali. Tradizionalmente, il termine “abbacchio” indica l’agnello giovane, lattante, pronto per la vendita. Che sia intero, mezzena, spalla e coscio, costolette, testa o coratella, le sue carni, tenere e saporite, rivestono un ruolo di primo piano nella gastronomia territoriale, oramai da millenni. Un ruolo così importante, che il suo commercio, già particolarmente fiorente nella Roma Antica, nella Roma dei Papi era addirittura tutelato con leggi e decreti “ad hoc”.

Anche nel mondo moderno viene tutelato dal marchio IGP dal 2009. La denominazione Abbacchio Romano IGP caratterizza esclusivamente agnelli da latte allevati nei territori della regione Lazio, di massimo 8 kg di peso e con un’età compresa, all’atto della macellazione, tra i 28 e i 40 giorni.

La cucina regionale, nelle sue diverse sfaccettature, conosce innumerevoli per preparare l’abbacchio, ma i più gettonati restano sempre quelli tradizionali: alla Romana (al forno con patate, vino bianco e rosmarino), alla Cacciatora (cotto al tegame, con aceto, rosmarino, aglio e salvia) o a Scottadito (cucinato alla brace, tendenzialmente si utilizzano le sole costolette, condite con rosmarino, olio, pepe e limone).

Altro ingrediente forte della tavola pasquale è la Ricotta Romana. Come l’abbacchio, la ricotta è un altro alimento di origine millenaria, che accompagna le abitudini gastronomiche territoriali oramai da tempo immemore.

I cenni storici più antichi sono le descrizioni delle tecniche lattiero-casearie fornite da Columella nel suo “De Re Rustica” (il più importante trattato agronomico dell’età latina) e le norme di Marco Porcio Catone, sulla pastorizia nell’epoca repubblicana. La ricotta si ottiene dalla coagulazione delle proteine contenute nel siero del latte, che viene separato dalla cagliata durante la caseificazione. Il nome “ricotta”, (dal latino recocta) deriva dall’alta temperatura a cui avviene il processo di coagulazione, che porta il siero a “ricuocere”, donando origine al prodotto. La Ricotta Romana,tutelata dal marchio DOP a partire dal 2005, si ottiene esclusivamente da siero di latte di pecora, proveniente dal territorio regionale. Il suo sapore, delicato e lievemente dolciastro, è uno dei più caratteristici (e popolari) della gastronomia territoriale.

Tra le numerosissime Pizze o Torte di Pasqua, realizzate con ricette differenti, nei diversi territori del Lazio, figurano la Pizza Grassa di Leonessa (a base salata, impastata con burro, spezie e salumi locali) e quella della Tuscia Viterbese, la che viene realizzata in due versioni, dolce o al formaggio, entrambe con la caratteristica forma a fungo. La prima, dolce, si distingue per una forte nota di cannella. La seconda, quella al formaggio, conserva il sapore marcato del pecorino. Altrettanto caratteristica è la Pizza Pasquale della Sabina, una focaccia di forma conica, impasta tata con farina di grano tenero, uova, rum, zucchero e canditi, dal sapore dolciastro o lievemente salato.

Da Roma in giù, invece, la Torta Pasquale è una ciambella dolce, a base di liquore o semi di anice, dall’impasto consistente e dal sapore delicato. A seconda dell’area di produzione (le province di Roma, Frosinone o Latina) la “Torta” può essere glassata, oppure arricchita con uova sode.

Altre preparazioni, dolci e salate, legate al periodo sono la Torta Pasqualina di Anagni (a base di pasta frolla, farcita con un ripieno di ricotta), il Tortolo di Pasqua di Sezze (luna piccola pagnotta di pane dal sapore non proprio dolce: ecco perché c’è chi ora lo consuma insieme alla corallina, tipico salame romano. Farina, uova, olio extravergine, un bicchiere di sambuca, zucchero, lievito naturale e lievito di birra: questi i suoi ingredienti) e la Tosa di Pasqua (una preparazione dolce, a forma di bambola o di ciambella, a base di farina, latte, uova e semi di anice).

Sono tipici di questo scorcio stagionale anche Cavallucci e Pigne di Palestrina (biscotti di pasta cresciuta di dimensioni notevoli, grandi più o meno quanto una piccola torta, guarniti con confetti colorati) e Cavallucciu e Pucanella (pani dolci aromatizzati) di Amatrice: cavallucci per i bambini, pigne o pucanelle (bambole) per le bambine da consumare durante le scampagnate di Pasquetta.

La colazione completa comprende: salame corallina, torta salata, uova sode, pane casareccio caldo, pizza sbattuta (da mangiare insieme alle uova di cioccolato), frittata con i carciofi e la coratella d’agnello con carciofi.

Il salame detto corallina è una specialità di salume con gli inserti di grasso di maiale nel ripieno ben evidenti. La coratella di abbacchio, invece, è un piatto a base di interiora d’agnello che vengono sminuzzate, e cotte in padella con la cipolla dopo averle insaporite, alle quali si uniscono i carciofi già preparati per essere aggiunti.

Pasqua viene in primavera e il carciofo è il simbolo di questi giorni che viene usato sia per la colazione che poi per il pic-nic del giorno di Pasquetta cotto alla brace, magari con le “matticelle”, i tralci della potatura della vite. Sia a sud di Roma con il Carciofo di Sezze, che a nord con il carciofo romanesco di Cerveteri, il Lazio ha una grande varietà di carciofi locali DOP.

Ma facciamo un passo indietro. Nella colazione di Pasqua a Roma non può mancare la “pizza sbattuta”, ossia un dolce simile al pan di spagna che non va confuso con la Torta Pasqualina. A Roma la Torta Pasqualina è una pizza salata ripiena di spinaci, ricotta e uova.

La pizza di Pasqua è una torta salata lievitata, tipica anche di molte zone del centro Italia a base di farina, uova, pecorino o parmigiano. Viene servita per tradizione a colazione della mattina di Pasqua oppure come antipasto del pranzo pasquale, o ancora usata nelle scampagnate della Pasquetta.

Impossibile non citare la Coratella con i carciofi, Regina delle Tavole di Pasqua. Chi (come me) ama le interiora dell’agnello e il quinto quarto in generale, la coratella è qualcosa di irrinunciabile.

Roma, e tutta la regione, è poi un tripudio di minestre in brodo come la la stracciatella (sorella della Tardura emiliana e tipica del lunedì di Pasqua), Fritto di carciofi, Gnocchi alla romana, Agnello arrosto con patate o alla brace, salumi di ogni sorta, ricotta salata, uova sode e uova di cioccolato.

Le uova di cioccolato: la tradizione di colorare le uova a Pasqua risale all’epoca romana, come raccontato da Plinio. La prima tinta adoperata fu il rosso, come il colore del sangue di Cristo. Si racconta che quando Maria di Magdala annunciò la Resurrezione di Cristo, Pietro disse: “Ci crederò quando le uova nasceranno rosse”. Allora Maria scoprì il canestro e si accorse che le uova erano tutte rosse. Nel Medioevo durante la Quaresima era vietato mangiare le uova, perché di origine animale. Così si affermò l’uso di colorarle durante la Settimana Santa con disegni geometrici e prevalenza dei toni rosso e azzurro. Queste uova, poi, nel giorno del Venerdì Santo venivano portate in chiesa per essere benedette, così da poterle consumare la mattina di Pasqua.

– Abruzzo

La colazione del giorno di Pasqua è ormai chiaro che non è una colazione come tante altre e, per sottolinenare questa differenza, in Abruzzo si chiama sdiuno, una sorta di brunch, che inizia dalla colazione e diventa direttamente pranzo dal tono informale.

Si parte con la Pizza di Pasqua, anche qui un impasto non troppo soffice, aromatizzato con l’anice e arricchito con l’uvetta. Poi le Mazzarelle che sono involtini di coratella di agnello avvolta in foglie di indivia (lattuga o scarola) legati con budelline di stesso agnello, preparate in padella con il sugo di pomodoro, anche registrate dal Ministero delle politiche agricole alimentari nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.

Lo sdiuno diventa pranzo e ci procede a suo di Timballo, Agnello, uova e Formaggi. Ancora una volta, le ricette variano a seconda dell’area e del modo in cui sono state tramandate all’interno della regione stessa: troviamo un timballo fatto di scrippelle (fritattine sottilissime di acqua, farina e uova preparate in padella) e pallottine di carne a Teramo, oppure composto da sfoglie, o da pasta secca al forno ricoperta da un guscio di pasta frolla o sfoglia.

I puristi del Timballo affermano che quello vero abruzzese sia il teramano, realizzato con le scrippelle e le polpettine di carne. Qualunque sia l’originale, del timballo esistono molte versioni, tra cui anche alcune in bianco con macinato, carciofi e zucchine, e vale la pena assaggiarle tutte almeno una volta. I secondi piatti pasquali includono generalmente la presenza di agnello, che sia alla brace o sotto forma di “agnello cace e ove”, piatto che arriva dall’antica tradizione pastorale abruzzese ed è il perfetto connubio di agnello, formaggio pecorino abruzzese, e uova, le regine della pasqua.

L’uovo e il formaggio anche gli sono ingredienti principi di fiadoni e fiadoncini di pasta salata e dolce, e si trovano in altre moltissime preparazioni come nei “fegatini e cicoria” e nella pizza di Pasqua al profumo d’anice.

Pet chiudere gli antichi e simbolici “pupe e cavalli”, che sono i dolci che si donano ai bambini che prevedono la decorazione con la ghiaccia reale o con la ghiaccia all’acqua, codette e palline argentate o gocce di cioccolato e gli occhi con chicchi di caffè; un’altra usanza vede invece donare agnellini di pasta di mandorle e le pepatille fatte col tritello, miele, mandorle, scorza di arance e pepe.


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Dalla Crescia valdostana all’Aceddu cu l’ova siciliano passando per Cimma e Fugassa, Mazzarelle e Coratelle, Pastiere e Scarcelle: 3 tappe per scoprire le prelibatezze d’Italia, i suoi piatti tipici pasquali, le simbologie, le leggende e curiosità legate alle preparazioni tradizionali delle nostre 20 regioni-scrigno. Prima tappa: Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della futura bella stagione che si sono fatti nel tempo cibo divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione di origine cattolica prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono così mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa.

Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua

– Val d’Aosta

La Crescia di Pasqua valdostana è un pane-focaccia perfetto per accompagnare i salumi, impastato con formaggi stagionati, uova, olio evo e abbondante pepe nero. Nel nome e negli ingredienti ci ricorda la “sorella marchigiana” con le uniche differenze che nella versione valdostana non compaiono il latte, il formaggio a pezzetti e gli albumi vengono montati a neve per donare alla crescia una consistenza più soffice.

Tra le prelibatezze annoveriamo anche la Torta Pasqualina, una torta rustica che protegge un tripudio di erbe primaverili e selvatiche come ortiche, foglie di papavero campestre e di primula, germogli di luppolo, tarassaco, piantaggine, erba cipollina, salvia, rosmarino, foglie di erba San Pietro e quelle che la natura offre, sempre perfetta accanto allo Spezzatino di agnellone in umido, una ricetta antica che lo rende gustoso eliminando il suo gusto “selvaggio”.

– Lombardia

Capretto ed erbe spontanee (nelle valli prealpine, come a Bergamo e in Valtellina), poi tante uova (simbolo di rinascita e che venivano benedette in Chiesa assieme agli agnelli), formaggi, focaccia dolce e torta salata pasquale lombarda, insolita e poco conosciuta, che è una deliziosa pasta sfoglia farcita con un impasto di pollo rosolato, prosciutto, parmigiano, asparagi, sale pepe, timo e prezzemolo.

Nel Pavese e nell’Oltrepò, insieme con l’insalata novella e al salame crudo sono indispensabili le torte: di erbe spontanee, di carciofi e di riso. Caratteristico il dolce a forma di cestino con dentro un uovo sodo che si offre ai bambini, il cavagnè dl’euv.

Nel lodigiano si riempiono le uova con tonno e insalata russa, poi c’è anche il brodo caldo, spesso con la stracciatella nuova e prezzemolo e il capretto arrosto. Tipico dolce pasquale è l’agnello di pasta sfoglia farcito con crema pasticciera o chantilly.

A Pavia, dove era tradizione sacrificare l’ultima gallina o il gallo per il brodo del risotto, si vanta l’invenzione della colomba, simbolo di salvezza e resurrezione, dolce ora diffuso in tutta la penisola. La colomba pasquale è un dolce simile al panettone, arricchito di una copertura di amaretto e mandorle. La storica azienda milanese Motta decise di confezionare questo prodotto nei primi del Novecento, ma la sua storia però ha origini ben più lontane.

LA LEGGENDA PAVESE
Si narra che verso la metà del VI secolo, il Re Alboino, sovrano dei Longobardi, dopo avere lungamente assediato la città di Pavia, riuscì ad occuparla il giorno della vigilia di Pasqua del 572.
Il sovrano prima di dare la città alle fiamme, decise di accettare i doni che i cittadini volevano offrirgli. Così ricevette in dono dodici meravigliose fanciulle che avrebbero dovuto deliziare le sue notti e, mentre rifletteva sulla sorte di Pavia, si presentò al suo cospetto un vecchio artigiano con dei pani dolci a forma di colomba:
“Sire, – disse il vecchio – io ti porgo queste colombe quale tributo di pace nel giorno di Pasqua”. All’assaggio i pani risultarono così buoni da spingere il sovrano ad una promessa: “In onore di queste colombe, rispetterò la città e i suoi abitanti”.
Ma in realtà, quel buonissimo dolce, nascondeva un sottile inganno: quando il Re Alboino iniziò a chiedere alle fanciulle quale fosse il loro nome, si vide rispondere sempre la stessa cosa, cioè ‘Colomba‘.
Alboino comprese il raggiro che gli era stato giocato, ma rispettò lo stesso la promessa di salvare Pavia e i suoi abitanti.

Oltre alla colomba pavese e lombarda, c’è quella diffusa in Sicilia, chiamata anche ‘palummedda’ o ‘pastifuorta’. Si tratta di piccole colombe in pastaforte, realizzate con zucchero, farina doppio zero e cannella. Hanno una forte consistenza, da qui il nome di pasteforti. Tramandata dai nonni ed ancora prima, si dice che fosse regalo di scambio tra i fidanzati. Ma questa è un’altra storia.

– Piemonte

Accanto alla frittata rognosa – con salame o salsiccia sbriciolati – tipica delle zone rurali, abbondano poi Agnolotti del Plin, vitello tonnato e agnello al forno con patate (con la particolarità che deve essere lasciato a marinare almeno per tutta la notte) arrosti di maiale o vitello, salsa verde obbligatoria (bagnet Verd) e la ciburea (sorella del Cibreo toscano?) preparata con con le parti meno nobili del pollo (frattaglie, ali, collo) cotte in umido con le patate, anche detta in “bagna”.

Altro piatto tipico della Pasqua in Piemonte sembra sia il Tonno di coniglio alla Piemontese: un piatto che si consuma freddo, ideale come antipasto del pranzo di Pasqua o come portata del pic-nic di Pasquetta. Potete accompagnarlo con crostini di pane rustico o usarlo per farcire panini integrali.

– Veneto

“Xe Pasqua! Xe Pasqua! Che caro che go, se magna ea fugassa, se beve el cocò.” È Pasqua! È Pasqua! Sono contento, si mangia la focaccia e si beve l’uovo.

Risi e Risotti con gli asparagi, capretto o agnello al forno con le erbette, mostarde di mele cotogne e semi di senape, insalata pasqualina (un’insalata mista con i fiori di primula, i cipollotti novelli, formaggio, uova sode, panna fresca, erbe aromatiche, erba cipollina e olio EVO) e sua Maestà la fugassa.

Sembra infatti che in Veneto “non è Pasqua se non c’è fugassa“, una “focaccia” dolce un tempo cotta a legna di antichissima tradizione risalente alle prime feste cristiane in onore della Resurrezione di Gesù celebrate sempre con grande solennità.

Si narra anche, oltre a Pasqua e proprio per la sua carica benaugurale venisse preparata in occasione dei fidanzamenti e donata alla famiglia della futura sposa con dentro l’anello.

– Friuli Venezia Giulia

Anche qui asparagi selvatici, agnelli al forno, brodi e pinza triestina, un particolare e amatissimo dolce non dolce tipico pasquale, una sorta di brioche perfetta sia con salumi e formaggi, sia con miele e confetture.

Sulla pinza è tradizione fare tre o quattro tagli sulla sommità dell’impasto. Questi taglio “a croce”, comune a molti pani, hanno per tutti un duplice significato: nella tradizione cristiana simboleggiano il martirio di Cristo, nella pratica servono a far lievitare meglio l’impasto. Oltre le erbe spontanee e agli ortaggi di primavera anche gli animali da cortile contribuivano a far ghiotta la Pasqua: alla gallina o al tacchino o al coniglio si univa anche carne di manzo per fare el brodo taià (misto), poi la minestra con il riso o con le tagliatelle fatte in casa.

Da segnalare la tradizione che ancora oggi si ripete a Timau, legata alla schultar, la spalla di maiale affumicata. La sua preparazione inizia con la salatura a secco e poi l’affumicatura con i legni profumati. Una volta cotta viene portata in chiesa per la benedizione insieme al salam cuet, salame affumicato. Le specialità vengono accompagnate dalla pinca o sirnica, tradizionale pane dolce pasquale croato con uvetta e scorza d’arancia.  

A Trieste e Gorizia, anche qui spalletta di maiale o prosciutto caldo cosparso di crema grattugiato o in salsa e, nella zona del Carso anche da fiori di finocchio selvatico, uova sode colorate e gelatina, il tutto accompagnato dalla tipica pinza. Della merenda goriziana sono tipiche anche lis fulis o fulje o fule, un dolce piuttosto curioso di origine medievale, che mischia insieme dolce e salato, si tratta di polpettine con pane raffermo grattugiato, zucchero uova, formaggio, scorze di agrumi, erba cipollina brodo di maiale. Alcune varianti prevedono canditi e pancetta o lardo, chiodi di garofano e diverse spezie.

– Trentino Alto Adige

Anche nel periodo pasquale si possono degustare dei piatti tipici, come le polpettine pasquali in Trentino fatte con polpa di agnello macinata, rosmarino, scalogno e prezzemolo, avvolte in una rete di maiale, fatte rosolare nell’olio caldo e poi infornate o lasciate cuocere nel sugo.

Ma la Pasqua coincide anche con il periodo della raccolta degli asparagi bianchi di Zambana, in Trentino, protagonisti di tortini di asparagi e risotto agli asparagi, capretto, e per dolce la Corona pasquale tipica del Trentino: un impasto di farina, latte, uova, zucchero, burro, panna fresca e succo di limone, a cui viene data la forma di corona e guarnita poi con uova sode.

Esiste e resiste poi un’usanza propiziatrice che vede regalare dai padrini e madrine ai figliocci un pane a forma di gallina o coniglio chiamato Fochaz che viene benedetto in chiesa. Questo pane in particolare accompagna il prosciutto Pasquale (osterschinken) tipico dell’Alto Adige, ricavato dalla coscia di maiale senza stinco, senza fesa e senza filetto.

– Liguria

La razza dei genovesi è come quella dei pellerossa, si sta spegnendo poco a poco. È un peccato per il mondo, cui abbiamo regalato due cose grandi come l’America e la torta Pasqualina”. Così scriveva il giornalista Giovanni Ansaldo nel 1930. L’origine di questo piatto tipico si perde nella notte dei tempi e la paternità è contesa. Ma i liguri possono vantare di avere dalla loro parte un documento del 1500 di Ortensio Lando, che cita la pasqualina genovese nel “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano”, apprezzandola a tal punto da scrivere: “A me piacque più che dell’orso il miele”.

La Torta pasqualina è la celebre torta rustica della Pasqua genovese realizzata con un ripieno ricco di bietole, uova e prescinseua (più spesso sostituita con la ricotta) e maggiorana fresca: la vera tradizione vuole sia fatta con ben 33 sfoglie in riferimento all’età del Messia. Esiste anche una variante molto diffusa che prevede l’aggiunta di carciofi, cipollotti e piselli,.

Poi c’è la Cima ligure (Cimma in diletto, un suggestivo piatto povero realizzato con la pancia di vitello lavorata come una tasca e farcita da diversi ingredienti, spesso un impasto di formaggio, piselli e carote, poi cotta in un brodo vegetale e fatta riposare sotto un peso),

Il metodo e la grande cura nella preparazione di questa specialità popolare e tradizionale sono ben raccontati e descritti nella canzone in dialetto genovese cantata da Fabrizio De Andrè e scritta con Ivano Fossati, A Cimma, dedicata proprio alla ricetta tipica ligure. (il link del brano qui).

Grandi protagonisti anche le interiora d’agnello – il cosiddetto Giancu e neigru d’agnelletto (una sorta di “sorella coratella” di cuore, fegato, milza, polmone, rognone, tagliati a strisce e cotti con olio, aglio, prezzemolo, vino bianco, sale e pepe, da mangiare il sabato santo) – uova a barchetta e Agnello al forno con le patate. 

Tra i dolci spiccano invece i Cavagnetti di Brugnato dalla forma di un piccoli cestini con il manico, dal quale deriva il nome, dentro ai quali viene posizionato un uovo intero, guscio compreso. L’impasto a lunga lievitazione, realizzato con farina e lievito di birra, zucchero, burro anice e buccia di limone grattugiata cuoce con il suo uovo in forno per circa mezz’ora.

Il Cavagnetto, ovvero cestinetto, è considerato il dolce pasquale tipico del Comune di Brugnato in quanto un tempo veniva preparato il giorno della vigilia e portato in chiesa dai bambini per la benedizione, quindi mangiato in famiglia il giorno successivo.

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Italia blindata fino a dopo Pasqua. Nonostante questo la voglia di pensare al dopodomani è più forte, e già si cominciano a fare previsioni per le riaperture. Con la fine dell’emergenza però non tornerà immediatamente tutto come prima, nè a livello territoriale, nè per tutte le attività lavorative. Si prevede una graduale riapertura delle imprese, ma per negozi, aziende, ristoranti, bar e pub ci vorranno ancora settimane e bisognerà osservare alcune misure di contenimento per molto, molto tempo. 

Difficile dare una data certa per vedere rialzate le serrande italiane. Nonostante il previsto futuro attenuarsi delle misure di contenimento e la possibilità di usare lo “stop and go” degli inglesi, le prime attività a riaprire potrebbero essere quelle della filiera alimentare e farmaceutica, mentre in fondo alla lista rimangono i luoghi che creano assembramento come pub, discoteche, sale eventi, bar e ristoranti. E anche quando verranno riaperti, norme straordinarie rimarranno in vigore per molto tempo ancora, tra cui il famoso metro di distanza tra i clienti e servizio al tavolo. 

Anche la domanda, a quel punto, sarà profondamente modificata nella struttura psicologica e nella capacità economica; sarà diversa e limitata ai confini nazionali, crescerà gradualmente, soprattutto in ambito internazionale, mentre i segmenti e i canali di vendita classica si stanno già modificando. E come e quanto cambieranno la percezione del benessere, le esigenze, i consumi dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? 

Come, in sintesi, e da dove si ripartirà per ricostruire la nostra Italia? E come la Ristorazione deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali in cucina come nella vita? 

Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono 7 Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Sandro Serva, Patron – La Trota dal ‘63, Rivodutri (RI) – 2 stelle Michelin

I consumi seguiranno di più la bussola della qualità e dell’autenticità del prodotto. Prevedo una crescita della spesa a dettaglio da parte delle famiglie, ma anche il mondo della ristorazione non si sottrarrà a questa tendenza, anzi ne sarà uno dei principali promotori. 

Smetteremo di parlare di percezione e inizieremo a parlare di “primato del benessere” in tutte le sue declinazioni, in nome di un principio-guida, quello della prevenzione. Cibo e alimentazione ne sono e ne saranno i simboli più rappresentativi. 

La fisicità fa parte del nostro modo di interagire, è un tratto caratterizzante della nostra italianità. Per qualche tempo, dovremmo metterla da parte. L’allenamento di queste settimane è duro, ma sono certo che quando ripartiremo saremo in grado di rivalutare alcune attitudini e gesti comportamentali che spesso abbiamo lasciato indietro, anche con i nostri più vicini e storici collaboratori, colleghi e clienti. 

Il turismo esperienziale sarà la chiave per ripartire. Ma questa volta dobbiamo farlo mettendo al centro l’ambiente, costruendo un modello di sostenibilità in grado di dialogare con tutte le altre sfere dello sviluppo economico. Il mondo dell’enogastronomia non deve rimanere indietro, ma cercare nuove e costanti sinergie con il territorio e i servizi turistici sostenibili che esso può offrire. Qui il lavoro di squadra farà la differenza. 

Come reagirà il mondo gourmet? I clienti gourmet non avranno timori a fare spostamenti o a spostarsi, ma crescerà anzitutto attenzione e sensibilità su tutti gli aspetti, ovviamente anche quelli legati alla sicurezza. Spetta a tutti gli operatori gourmet farsi trovare pronti: tavoli distanziati si ma non vorrei vedere personale di sala con la mascherina. Ovviamente ci adegueremo se necessario! Il primo ingrediente di qualità rimane l’ospitalità, unica quella italiana. 

Quando inciderà sulla ristorazione classica la vendita all’online?Inciderà più di prima, soprattutto nel breve periodo e soprattutto nelle metropoli dove ci sono sistemi e procedure più organizzate. Ma l’alta ristorazione non verrà toccata da questo processo, seppure già offre servizi di qualità anche in questo campo. La nostra azienda per esempio da tempo organizza banchetti e cene a domicilio ma tutto viene realizzato in loco con cotture espresse: non possiamo permetterci di stravolgere la nostra cucina portando cibi già precotti

Come si rimetterà in piedi la nostra Italia?Ci vuole tempo. Un anno e poco più per riorganizzarsi e ripartire, dobbiamo ricavare il bene da questo male. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, ma serve onestà intellettuale e memoria: anche nel nostro settore alcune mode estemporanee hanno generato, spesso tra i giovani, illusione e falsi miti. Questi ultimi faranno più fatica a ripartire e dovranno mettersi in discussione se vogliono diventare competitivi. La mia generazione ha sfidato ingenuamente la natura e oggi sta perdendo. Chiedo alla nuova generazione di convivere con essa, costruendo un futuro migliore. Io sono molto fiducioso. Viva l’Italia! Viva la cucina italiana ! 

Gabriele Muro, Executive Chef – ADELAIDE al Vilòn, Roma

Oggi, come in tutto il pianeta, il ristorante Adelaide al Vilòn è fermo. Si cerca però di non restare fermi con la mente, studiando nuove soluzioni per quando si ripartirà. Sono sicuro che tutto questo sconvolgerà per sempre la ristorazione italiana ma noi chef, ristoratori, camerieri, abbiamo il dovere e, quindi dobbiamo essere pronti, di rilanciare le attività di ristorazione, più carichi che mai. 

Saranno tutte nuove aperture, è per questo che sarà una seconda occasione,  per poter magari aggiustare il tiro e migliorare, allargare la propria fascia di mercato, aprirsi ad orizzonti magari sottovalutati. Di sicuro la strada è in salita, sarà dura e ricca di ostacoli, ma ricordiamoci sempre che noi abbiamo il vantaggio di vivere nel Paese più bello del mondo, dove da sempre la cucina e il cibo sono al centro della vita. 

Quindi quando tutto questo passerà, ritorneremo ad essere “invasi” da viaggiatori curiosi affamati della cultura del nostro amato Paese più che mai, perché puoi fare a meno di visitare altri posti, ma l’Italia no. E poi ci siamo noi, gli italiani, che tanto abbiamo amato cucinare a casa in questi giorni ma che desideriamo anche tanto tornare a mangiare fuori, a vivere un’esperienza al ristorante con lo stesso spirito di un viaggio: curiosità ed emozioni, il sapore della vita. 

Angelo Lucarella, imprenditore – Pasticceria Le Gourmandise, Bari

Non è un momento facile per tutti noi, ma dobbiamo essere fiduciosi. In questi giorni il più grande obiettivo deve essere quello di sconfiggere il “nemico” e tornare alla normalità. Quando tutto sarà passato avremo tanta grinta e i nostri clienti, sono sicuro, non ci faranno mancare il loro supporto tornando a gustare la nostra pasticceria da banco.

Qualche preoccupazione in più ci viene dal catering per cerimonie. Per esempio, quando ripartiranno matrimoni ed eventi? In tanti stanno decidendo di rinviare le proprie feste al 2021 e il nostro settore potrebbe soffrire: noi guardiamo oltre perché dopo la pioggia arriva sempre il sole. Siamo sicuri che la gente tornerà a festeggiare e noi ad accompagnare i loro momenti di gioia. Finirà presto. Da parte nostra un piccolo contributo alla risoluzione del problema: stare a casa; facciamolo e tutto, presto, ricomincerà e sarà più bello di prima.

Cristiano Iacobelli, chef – micro birrificio artigianale Atlas Coelestis, Roma

Sarebbe bello pensare che queste difficoltà ci possano donare la forza di migliorare ma non ci credo fino in fondo. Sarà un post pandemia critico per molti, si ridisegnerà il tessuto sociale e si vedrà ancor più marcatamente il divario tra chi potrà continuare a vivere con la consueta normalità e chi non lo potrà più fare. 

Comunque vada questo momento metterà a disposizione di tutti nuovi strumenti per valutare la vita a 360 gradi. Enogastronomia e turismo sono da sempre un pilastro della nostra economia, e penso che soprattutto il turismo dopo un periodo di difficoltà riprenderà la sua performance solita; la ristorazione e l’enogastronomia non legata al turismo per intenderci bisognerà adeguarsi alle nuove esigenze di un popolo colpito duramente che avrà forse nuove priorità con cui confrontarsi.

Se per gourmet si intende per mondo la ricerca da parte del consumatore del “buono pulito e giusto” questa non potrà che premiare chi in questi anni ha investito tempo risorse e cuore nel proporre già tutto questo perlomeno lo spero perché sarà per noi l’unica speranza di salvezza professionale.

Dovremo poi valutare attentamente la situazione, capire la tendenza e forse destinare qualche risorsa anche per questi canali online e delivery, ma onestamente penso che questo potrà continuare a funzionare per alcuni micro settori della ristorazione, perchè il fascino di una cena non può essere sostituito e il ristorante dovrà tornare ad essere un momento di gioia svago e perché no, di cultura.

Per noi la strada, da questo punto di vista, era già tracciata. Da tempo scrivo sui miei menù la sintesi di ciò che cerchiamo di essere “sapore, sostanza, sentimento, ricerca, pensiero, semplicità” e questo non è uno slogan pubblicitario, se abbiamo lavorato bene in passato il futuro ci verrà incontro perché per noi ieri era già domani.

Giuseppe Marchese, Direttore Generale di Ragosta Hotels Collection – Palazzo Montemartini Rome, A Radisson Collection Hotel + Hotel Raito e Relais Paradiso a Vietri sul Mare + La Plage Resort a Taormina

Il momento che stiamo attraversando dobbiamo necessariamente viverlo come un’occasione per guardare al futuro e dovremo investire tutte le nostre energie per interpretare le nuove esigenze dei nostri ospiti. 

Le nostre destinazioni rappresentano per antonomasia il nostro Paese – Roma, la Costiera Amalfitana, Taormina – e ripartiremo proprio da questo. 

Sarà la chiave che ci permetterà di far tornare in Italia quanto prima il mercato internazionale: la bellezza inconfondibile di location uniche, l’attenzione nella scelta delle materie prime e l’impegno di tutti, abbiamo già tutto quello che serve per far si che quando sarà il momento, sarà più bello di prima.

Chiara Magliocchetti, imprenditrice – Pianostrada – Pizza Amerina, Roma

Nel giro di poche ore, nel giro di pochi attimi si è passati dal rumore fragoroso delle chiacchiere dei clienti, dai profumi invadenti pieni di golosità al totale silenzio, alle luci spente. Ristorazione sospesa in attesa del rientro in gioco della “normalità”. Che nulla sarà come prima ce l’abbiamo ben stampato nella nostra mente.

Quando arriverà il momento della riapertura per i ristoranti? La strada sarà ancora lunga e piena di slalom tra minuziosi ostacoli. Dovremo esser pronti a muoverci in un nuovo scenario che ci spingerà ad un compromesso tra la realtà economica e l’importanza di mantenere la propria identità.

Gli italiani avranno belle energie da utilizzare, ma con un chiaro filtro economico e, alla nostra riapertura dovremo fare i conti con una parte mancante, l’energico turismo enogastronomico straniero, per citarne uno, che si affaccerà timidamente almeno verso il prossimo settembre.

Restare uniti. Questo è il semplice imperativo. Non perdere l’entusiasmo , che è ciò che da la carica a questo lavoro ed e’ ciò che questo lavoro ti restituisce. L’Italia tornerà a spendere e dovremo dare vitalità alle nostre materie prime, ai nostri artigiani con il valore del loro lavoro, filosofia da noi già adottata nel nostro piccolo. La spinta sarà tutta per riaccendere il motore del nostro Paese.

Per muovermi con ottimismo in uno scenario spettrale, direi che potremmo prendere questa occasione per ottimizzare le nostre possibilità, per imparare a tirar fuori il meglio di noi. Il Governo dovrà fare la sua, sostenendo le Nostre attività per non vanificare le famose energie che sostengono il famoso entusiasmo. Di tempo ne servirà, ma noi, pazientemente, ci ricostruiremo.

Luca Mastracci Pupillo, imprenditore e Pizza Chef – Pupillo Pura Pizza, Frosinone e Priverno (LT)

Io non sono made in Italy, di più, sono made in Ciociaria, made in Agropontino, e appena  saremo pronti per tornare alla normalità, si procederà su questa strada. Credo che sia proprio in momenti come questi che si evidenzia quanta forza ci sia nel nostro Paese, quanto sia importante il nostro Made in Italy e quanto valgano i nostri artigiani. 

Andare a comprare un prosciutto o un formaggio estero per me non ha mai avuto molto senso perchè abbiamo prodotti straordinari sotto il naso ma, in questo momento, ne ha ancora meno.  Quando tutto tornerà alla normalità, tutti dovremmo necessariamente tornare a lavorare con il nostro territorio, rifornirsi dagli artigiani locali che si stanno trovando in grande difficoltà  per ripartire e riattivare in modo sano l’economia italiana.

In questo periodo di “crisi” io sto riscoprendo la falia, un pane antico di Priverno, il nome deriva dal nome della signora che lo produceva e sfornava, la Signora “Lia””. La notizia della bontà del suo pane-pizza si sparse presto e, a chi chiedeva “chi lo fa questo pane”, la risposta era “lo-Fa-Lia”; da lì “FaLia”.

In questo momento ho attivato una doppia produzione, in pizzeria e per le persone che non possono permettersi molto alle quali lo distribuisco gratuitamente. Ecco, la riscoperta della tradizione e la solidarietà concreta sono le vere vocazioni di questo momento.

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Dal Revenge Spending – ovvero la “spesa della vendetta”- alle previsioni su come la Ristorazione d’Italia si rimetterà in piedi facendo leva sugli innumerevoli punti di forza di un Paese unico al mondo, ripensando la propria offerta enogastronomica in modo oculato, sano e lungimirante, ottimizzando le possibilità di una tabula rasa inattesa, sofferta e, proprio per questo, preziosa più che mai. La parola ai protagonisti del Settore. Ogni venerdì.

Lo chiamano Revenge Spending, ovvero la “spesa della vendetta” che sembra seguirà la quarantena da coronavirus e che già in piena corsa in Cina. Così come riporta l’articolo di Bloomberg News di qualche giorno fa, che include i pareri degli analisti, “gli acquirenti cinesi stanno lentamente tornando negli sfarzosi centri commerciali e boutique dove hanno guidato la crescita dell’industria del lusso globale mentre le misure di quarantena del coronavirus si rilassano”. 

Anche il quotidiano China Daily ha recentemente pubblicato un altro articolo per inquadrare quello che sarà l’umore post-quarantena dal titolo Recovery wish list being drawn up, ovvero: “Lista dei desideri post-crisi in fase di elaborazione”, sul podio proprio andare al ristorante, viaggiare, festeggiare e fare shopping.

Dopo la Cina anche in Italia, dopo una prima fase di ansietà e spaesamento, si passerà all’azione che terrà necessariamente conto di abitudini, esigenze e possibilità economiche decisamente modificate dalle circostanze attuali. E come cambieranno i consumi, la percezione del benessere, i comportamenti e le tendenze dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? Come, in sintesi, si rimetterà in piedi la nostra bella Mamma Italia della Ristorazione, e come deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali? Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono 7 Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Riccardo Di Giacinto – Chef Patron, All’Oro – Roma – 1 Stella Michelin

Questa che ci si presenta è una chance per ripartire con eccellenza e qualità, questa è l’unica chiave di lettura possibile.

Noi siamo l’Italia, abbiamo il Paese più bello del mondo, abbiamo delle frecce importantissime al nostro arco e dobbiamo ricominciare a piccoli passi, riconquistare una clientela ripartendo da Roma e dai romani, pian piano allargando il cerchio alla regione, poi all’Italia; da ottobre i primi a tornare saranno i cinesi, poi il turismo ricomincerà ad essere dinamico e mondiale.

Il problema non è oggi, né a 60 giorni, lo Stato è intervenuto in maniera rapida con ciò che poteva permettersi, ma la strada è lunga. La vera ripresa la vedo dal 2021, ma non so se potrà essere paragonata al “Boom Economico” del Dopoguerra, le persone sono diverse, la vera Guerra e la vera povertà noi non l’abbiamo vissuta come i nostri nonni; ci manca lo spirito di vero sacrificio che ha permesso, in quegli anni, la rinascita di un Paese. Ma il popolo italiano è forte e pieno di risorse. Vedremo.

Francesco Apreda –  Chef, Idylio – Roma – 1 Stella Michelin

Abbiamo fiducia e coraggio di ripartire, sappiamo che tutto cambierà e dobbiamo sicuramente ridimensionarci e riposizionarci su un’offerta diversa con nuove idee. Consapevoli di avere la forza giusta dobbiamo ripartire con la giusta energia ma ottimizzarla lentamente per capire come reagirà il mercato. 

Sicuramente siamo consapevoli di essere un motore giusto per la ripartenza, la ristorazione sarà il punto di unione per unirci intorno ad un tavola, quindi sicuramente ripartire con prezzi più accessibili, tante materie italiane per aiutare il Paese e avere un processo di marketing ad hoc per parlare della nostra bellezza, della storia di un Paese che ha pochi rivali ed è pronto a farsi nuovamente conoscere al mondo per quello che vale: è ancora tantissimo quello che possiamo fare. 

Questo periodo di lunga riflessione ci aiuterà ad avere il giusto slancio per ripartire più uniti di prima, consapevoli di avere al nostro fianco l’appoggio del nostro team che ci aiuterà con stimoli ancora più incisivi. Forza Ragazzi non vedo l’ora di rivedervi in cucina!

Francesco Martucci, Pizza Chef e Patron – I Masanielli, Caserta 

Per ripartire tutti, le prime azioni riguardano le decisioni dello Stato, che dovrà permettere alla gente di avere tempo e modo di rialzarsi (visto che il decreto cura Italia è inutile) ed abolire tutte le tasse almeno per i primi tre mesi.

Il Paese uscirà a pezzi da questa situazione, non riusciremo a contare le aziende che avranno dovuto chiudere, purtroppo. Rimarrà solo chi ha spalle larghe abbastanza (e ce ne sono pochissimi nella ristorazione). Rimarrà chi è stato virtuoso sacrificando per il lavoro i risparmi di una vita (se mai basteranno). Io la sto vivendo come una sorta di selezione naturale, cinica e spietata.

Valerio Salvi, Ristoratore e Sommelier – Taverna Cestia, Roma

La Taverna Cestia è aperta dal 1967. Io sono la terza generazione al timone ma nessuna delle precedenti ha dovuto fare i conti con una situazione così. 

Parlo da ristoratore, da commerciante: quando torneremo al lavoro, dovremo confrontarci con una clientela nuova, diversa e sostenere una domanda che non avrà più la capacità economica di spendere come prima. 

Noi dovremo saper offrire lo stesso un’offerta enogastronomica valida e di contenuto, con intelligenza, attenzione al food cost, sostenendo le spese e facendo quadrare i conti.  Il mio auspicio, il mio desiderio, la mia promessa sarà quella, Stato permettendo, di dare il massimo facendo spendere il minimo; fare insomma la mia parte perchè si riattivi l’ingranaggio ristorativo e sociale.

Antonio Gentile, Chef – 47 Circus Roof Garden, Roma

La ripresa sarà dura e lenta per tutti i settori. Noi, che lavoriamo con il soprattutto con il turismo, avremo maggiori difficoltà. Credo che il centro di Roma soffrirà di più rispetto alla periferia, gireranno pochissimi stranieri e sarà complicato tenere in vita tante piccole realtà del centro storico.

Dovremo essere bravi adesso a ricordare agli italiani quanto sia bella l’Italia! È vero la tabula rasa può non essere negativa, ma nel ripartire poi bisogna essere forti e decisi, ci sarà poco spazio per i preziosismi e si punterà tutto sulla sostanza.

Proprio per questo, credo che bisognerà puntare a tutti i costi sul made in Italy, soprattutto in cucina. Dare spazio ai piccoli produttori, allevatori e soprattutto noi Chef dobbiamo cercare di creare piatti con un food cost più bassi, dando così la possibilità a tutti di muoversi con maggiore tranquillità. 

Perché, sicuramente, usciti da questa crisi sanitaria dovremo affrontare quella economica ma, nonostante tutto, penso che le persone avranno voglia di concedersi qualche piccolo sfizio e, una volta usciti dal periodo di reclusione, magari perché no, venire a cenare su una delle terrazze più belle di Roma.

Caterina De Angelis, Albergatrice – Hotel Diana Roof Garden, Roma

Per ripartire punteremo principalmente sui nostri pilastri:

1 – location: terrazza/giardino pensile con piante e fiori, che sono curati anche in questo periodo di quarantena, che sono per noi la giusta cornice per una location di effetto, calda ed accogliente in particolare all’aperto;

2 – accoglienza e servizio al cliente, insistendo in particolare sul giusto equilibrio tra professionalità e cordialità; 

3 – ricerca della qualità dei cibi. Selezione ed esplorazione di prodotti anche di nicchia. Con la ripartenza è nostra intenzione procedere selezionando prodotti locali di qualità per valorizzare particolari aziende del territorio della nostra regione nella condivisione e nel sostegno reciproco;

4 – scelta di vini in  abbinamento ai piatti proposti  selezionati sul tutto il territorio nazionale, anche qui con particolare attenzione verso le piccole aziende di valore e da valorizzare.

Angelo Troiani, Chef Patron – Il Convivio Troiani, Roma, 1 Stella Michelin

Qui è il mondo che si deve curare, che deve guarire. Credo che la questione sarà lunga, soprattutto per il nostro settore che vive di turismo e clientela internazionale. Tutto questo avrà un costo molto alto in termini aziendali, molti non riapriranno, molti dovranno inventarsi nuove formule. 

Noi rimaniamo positivi e stiamo continuando a lavorare con un servizio di “delivery non esclusivo”: la qualità del Convivio e un’offerta di ricette tradizionali più semplice, a prezzi medi che potranno apprezzare tutti. Alcuni di questi piatti credo inoltre che rimarranno nella futura proposta de “Il Convivio” così come il Delivery, che adesso è un’esigenza, ma nelle grandi città affianca di norma l’offerta ristorativa. E la clientela, romana dapprima, poi sempre più ampia, appena potrà tornare, ci troverà pronti ad accoglierli. 

Questo momento di fermo per molti è anche un momento di riflessione. Il mondo vive di equilibri. Nessuna cosa è casuale e molto dipende da noi. E mangiare bene fa bene a noi e fa bene al mondo, potenzia le difese immunitarie, salvaguarda la natura, protegge l’ecosistema. Credo che il futuro sarà fatto di una cucina più vera, di una cucina di prodotto e cucinata bene.

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Come sta reagendo l’Italia della ristorazione? Quali sono le riflessioni, le polemiche, le speranze, le paure degli imprenditori del settore? Cosa cambierà, cosa lascerà dietro sé questa profonda crisi e come ripartiremo?

Abbiamo raccolto le opinioni di giornalisti del settore, ristoratori, chef e patron, abbracciando le preoccupazioni, gli sfoghi, gli avvilimenti, gli stati d’animo noir; rispettando la posizione di chi ha preferito non sbilanciarsi in un momento così delicato, ma comunque cercando di definire un quadro incredibile quanto reale che delinea i contorni di una crisi che coinvolge l’Italia intera e che, forti di una ritrovata identità nazionale, l’Italia intera dovrà affrontare per guardare nuovamente con fiducia il domani. Questa volta insieme.

Tanti punti di vista, ci chi la ristorazione la vive, la ama, la costruisce; tante le considerazioni sociali, economiche, umane. Come e da cosa ripartiremo? E quali sono i concetti che dovremmo tenere a mente perché i sacrifici di questo lungo tempo non siano stati vani?

Licia Granello, Giornalista e Scrittrice – La Repubblica, Vanity Fair

“Niente sarà più come prima”, dicono. Ristorazione compresa. Come una iattura. Facciamo che niente sarà più come prima, ma in meglio? Più attenzione a come coltiviamo e alleviamo, più rispetto nei rapporti (quanto si detestano sala e cucina?), più sensatezza nel pensare e praticare il cibo, non come un giocattolino – Dio stramaledica il foodporn – ma come parte essenziale e sacra delle nostre vite.”

Peppe Guida, Chef Patron – Osteria Nonna Rosa, Vico Equense (NA) – 1 Stella Michelin

“Aldilà di ciò che si dice che il virus potrebbe essere stato prodotto in laboratorio – e tutto può essere vista l’idiozia dell’uomo –  questo è un piccolissimo assaggio che la natura ci sta dando per farci capire che siamo al punto di non ritorno o quasi.

Si fa una corsa spasmodica ad armamenti e varie, e non si pensa seriamente alla ricerca scientifica, si investe sul “calcio”, per esempio, e non alla salvaguardia del pianeta e dei suoi abitanti umani e animali.

Si dovrebbero creare dei movimenti in continuazione, il mondo dovrebbe essere la nostra Missione prioritaria. Detto questo la crisi secondo me avrà effetti devastanti sul mondo del food nulla sarà come prima. Ci vorrà tempo molto tempo prima che si metta in assetto tutto e questo spero che lo capiscano gli italiani di spendere e rimanere in Italia insomma lasciare i soldi qua. Tanto abbiamo visto dall’Europa e dagli Stati Uniti che considerazione hanno di noi. Io da oggi farò di tutto anche per non usare termini di altre lingue, tipo  “Crumble” sarà “Croccante”, e basta.

Siamo italiani orgogliosi e fieri  di esserlo, tutto il mondo ci invidia, per questo dobbiamo “pretendere” di aver il nostro “Made in Italia”.”

Marco D’Amore, Ristoratore – Ristorante D’Amore, Capri (NA)

“La situazione è complessa sia a Capri che in tutta Italia, fino in Europa e nel resto del mondo. In questi giorni stiamo imparando come il tempo diventi sempre più veloce: quello che pensavamo il 23 febbraio 2020 è, ormai, preistoria. L’ottimismo dell’epoca, infatti, nonostante fosse supportato dall’analisi matematica (bassi tassi di cancellazione degli hotel nel medio-lungo periodo) ci faceva supporre che ci sarebbe stato un solo “momento difficile”; ma oggi sappiamo che non è così: siamo di fronte ad una situazione unica, eccezionale, mai affrontata prima, soprattutto nel nostro settore, quello del turismo e della ristorazione moderna.

Tutti, me compreso, siamo sempre alla ricerca di una “comfort zone” nella quale collocarci e fare delle previsioni, ma ora, purtroppo, con uno shock economico e sociale così importante, e prolungato, non sarà più così: bisogna cambiare il modo di pensare. Nessuna ricetta, infatti, vecchia o prefabbricata, può essere applicabile. Non abbiamo paragoni con il passato e la storia,  in questo caso, non ci può aiutare.

Si sente, quindi, parlare di: Piani Marshall;  sarà meglio la FIS (Fondo Integrazione Salariale) o la CIGD (Cassa Integrazione Guadagni in deroga)? Diamo 500 o 600 euro ai disoccupati del turismo? (ma poi a quali lavoratori? Solo turismo o anche pubblichi esercizi e commercio?); e così via. Sicuramente servono azioni a breve termine per mettere in sicurezza il reddito delle fasce più deboli, non affievolire la liquidità delle aziende e stimolare la domanda, ma ci sarà bisogno di un nuovo modo di pensare, non convenzionale, circa gli interventi strategici da attuare. Bisognerà ripartire tutti insieme per capire come reperire al meglio le giuste (ribadisco giuste e non infinite) risorse finanziarie necessarie: Governi locali, Stato, Europa, Banche, investitori ma soprattutto i cittadini privati che siano imprenditori, lavoratori, consumatori, tutti dovranno lavorare per creare questo “contro shock economico”. Ripeto, noi cittadini per primi.

Per favore, niente finanziamenti a pioggia stile IRI; niente MES, niente Piani Marshall  “aglio e olio” o peggio “aumm aumm”, (tanto per restare in ambito gastronomico). Piuttosto ragionare in modo post Covid 19: la competenza deve tornare centrale, la passione, la dedizione, l’innovazione devono essere messe in risalto perchè questi saranno gli ingredienti alla base di una rinascita, insieme ad interventi economici “shock” da attuare per il prossimo futuro per rilanciare la domanda in quanto è sarà l’obiettivo principale che dovremo proporci. Ultima cosa: competenza, passione, dedizione ed innovazione sono veri e propri pilastri che a noi Italiani non mancano di sicuro! Ci riprenderemo.”

Mauro Mattucci, imprenditore – Ape 50- Tivoli (RM)

“La situazione del nostro ristorante è nel bel mezzo di una grande evoluzione con l’ ampliamento significativo della cucina, il completo stravolgimento del grande bancone, cuore pulsante del locale e pronto ad essere trasformato in parte zona show cooking e panini a vista e in parte cocktail bar di tendenza.

Abbiamo uno staff di 10 persone e dobbiamo necessariamente pensare positivo. D’altra parte siamo abituati al cambiamento; lo abbiamo fatto subito con la nostra apertura 8 anni fa puntando alla qualità estrema e ai fatti veri più che pubblicitari.

Ricordo con orgoglio il commento, dopo alcuni anni della nostra apertura, di un concittadino importante e dai bianchi capelli; lui che aveva avuto per tanti anni a Tivoli una importante concessionaria Alfa Romeo di quando il marchio incuteva rispetto e ammirazione pura mi disse “ voi non avete cambiato una via ma, avete cambiato un paese” . Intendeva dire che con il nostro approccio ad una ristorazione diversa avevamo radicalmente cambiato le regole.

Ecco noi di Ape 50 saremo pronti, se servirà, a ricambiare le regole. In Cina in questo momento , come cita un articolo del “ Il Sole 24 Ore” è già l ora del “revenge spending”,  letteralmente, spendere per vendicarsi. Negozi, ristoranti, catene riaprono, con le giuste precauzioni, e fuori si formano già le prime code.

Qualche giorno fa un articolo del quotidiano “China Daily” si descriveva il senso dell’ umore post-quarantena: si (ri)cominciano a scrivere le liste delle cose da fare per riprendersi. Ai primi posti ci sono: andare al ristorante, viaggiare , festeggiare e fare shopping. Ape 50 è positiva: forza e coraggio.”

Angelo di Masso, Pastry Chef – Patron – Pan dell’Orso, Scanno (AQ)

“In questi giorni di chiusura forzata per una giusta causa comune, ho rispolverato le mie passioni che passano da un disegno ad un pentagramma, sempre in bianco e nero. Così com’è la vita. Bianca e candida come il suono di un nuovo giorno. Nera come uno sguardo cupo che non conosce la luce. Ma, per affrontare qualunque ostacolo dobbiamo avere questi due colori. Perché essi sono la lancetta del metronomo che scandisce il tempo, il suono e ci fanno percepire quanto sia importante il contatto umano.

Ecco, questo è quello che mi manca. Ho sempre amato stringere la mano ad ogni nuova o vecchia conoscenza, perché attraverso un gesto noi doniamo noi stessi ed allo stesso tempo arricchiamo l’animo dell’altro. Penso sempre a chi è meno fortunato, a chi vive questa quarantena come una prigionia. Certo che ce la faremo, e torneremo più forti di prima. Ma solo se tutto ciò che sta accadendo ci avrà insegnato che l’umanità è un dono che dobbiamo preservarlo con cura e amore.

Sul fronte imprenditoriale credo ci sarà un grande entusiasmo, una rinascita, una grande voglia di Italia, di grade unione, di grande forza e coinvolgerà tutto, la ristorazione, la pasticceria, il turismo italiano, tutto.”

Nausica Ronca, Chef Patron – Osteria Nonna Nannina, Cava dè Tirreni  (SA)

“La ristorazione è stata colpita duramente, come il resto dell’Italia. Noi soffriamo di più perchè patiamo una nazione mal amministrata.

E’ vero, il nostro settore è totalmente fermo, ma credo che questa imprevedibile situazione non abbia solo generato difficoltà, credo anzi, a volerne dare una lettura più ampia, che abbia fatto del bene a chi già non navigava acque facili, perchè agli stipendi ci penserà la cassa integrazione e/o potrà usufruire di qualche agevolazione, anche bancaria, che sarà messa in atto per favorire la ripresa.

Chi invece cavalcava l’onda e andava bene, si è riposato un pò, perchè non penso che un mese di fermo possa inficiare una buona gestione economica, organizzata con lungimiranza per poter far fronte agli imprevisti.

In ogni caso si può ripartire e si può ripartire in modo intelligente, cercando di far fronte a quelle che sono le esigenze di una popolazione provata, senza aumentare i prezzi. Anche perchè questo periodo ha fatto riscoprire alle persone i valori, lo stare in famiglia e desidera cose semplici come una pizza marinara, una margherita, un fritto di paranza che fanno bene anche al food cost.

Credo inoltre che bisogna ripartire da zero ma in modo oculato, cercando di fare chiarezza e fare delle riflessioni su ciò che andava o non andava bene nei nostri locali. Adesso che stiamo a casa, abbiamo tutto il tempo per trovare delle soluzioni migliorative. Quindi se tutti facessero questa riflessione potremmo avere una ristorazione innovativa e sana. “

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E’ a cura di SmartFood il programma di ricerca e divulgazione scientifica dedicato per un nuovo approccio nutrizionale alla prevenzione.

La vitamina C, o acido ascorbico, appartiene al gruppo delle vitamine cosiddette idrosolubili, quelle cioè che non possono essere accumulate nell’organismo, ma devono essere regolarmente assunte attraverso l’alimentazione. Oltre a sciogliersi nell’acqua, la vitamina C e sensibile alle alte temperature, per cui si perde del tutto in caso di cottura in acqua.

A che cosa serve la vitamina C?

La vitamina C, o acido ascorbico, partecipa a molte reazioni metaboliche e alla biosintesi di aminoacidi, ormoni e collagene.

Grazie ai suoi forti poteri antiossidanti, la vitamina C innalza le barriere del sistema immunitario e aiuta l’organismo a prevenire il rischio di tumori, soprattutto allo stomaco, inibendo la sintesi di sostanze cancerogene. Il suo apporto, inoltre, è fondamentale per la neutralizzazione dei radicali liberi.

SmartFood, il programma di comunicazione in scienze della nutrizione dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia di Milano) sostenuto dalla Fondazione IEO-CCM, tiene alta l’attenzione sulla sana alimentazione e risponde a una delle tante domande che circolano in questo periodo di emergenza sanitaria: è possibile raggiungere il fabbisogno di vitamina C solamente attraverso gli alimenti?

Secondo la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) il fabbisogno giornaliero di vitamina C corrisponde a 105 mg per gli uomini e 85 mg per le donne. Queste quantità sono facilmente raggiungibili seguendo un’alimentazione sana che prevede, tra le altre cose, la regolare assunzione di verdura e frutta fresche. Come indicato da SmartFood non è quindi assolutamente necessario ricorrere all’utilizzo di integratori di vitamina C che, al contrario, a eccessivi dosaggi, possono generare fastidiosi effetti collaterali.

Alimenti ricchi di Vitamina C

Tra gli alimenti più ricchi di vitamina C troviamo i peperoni crudi, 100 grammi di questi vegetali, infatti, coprono più del 100% del fabbisogno giornaliero. Anche due kiwi di dimensioni medie, pari a una porzione di frutta, consentono di superare ampiamente il fabbisogno giornaliero di questa vitamina; mentre un’arancia ne copre il 70% per l’uomo e il 90% per la donna. Va tenuto presente, inoltre, che la scorza degli agrumi è molto più ricca di vitamina C di quanto lo sia la polpa. Sebbene non si consumino abitualmente e in grandi quantità, l’impiego in cucina delle scorze di agrumi rappresenta un’ottima strategia per insaporire i nostri piatti, diminuendo, in questo modo, l’impiego del sale. Altre fonti interessanti, e poco note, di vitamina C sono rappresentate dalle verdure a foglia verde e dai broccoli crudi, una ciotola di lattuga e mezzo piatto di broccoli, coprono circa il 50% del fabbisogno giornaliero. Sebbene le quantità normalmente utilizzate in cucina non siano tali da permettere la copertura di una grande percentuale del fabbisogno, tra gli alimenti più ricchi di vitamina C troviamo anche il peperoncino fresco.


Vitamina C a tavola: consigli pratici

Nella pratica, accompagnare un piatto unico di lenticchie e riso integrale, aromatizzato a crudo con fettine sottili di peperoncino fresco e scorza di limone, con un’insalata mista di lattuga, rucola e peperoni crudi e terminare il pasto con due kiwi, ci permette di superare abbondantemente le necessità giornaliere di vitamina C. Questa associazione alimentare aiuta, inoltre, a rendere più facilmente biodisponibile il ferro contenuto nelle lenticchie. La vitamina C, infatti, è in grado di aumentare l’assorbimento intestinale di questo minerale. È bene precisare che non tutti gli alimenti ricchi di vitamina C devono far parte di un unico pasto. Ottimo, quindi, anche iniziare la giornata con una spremuta di arance e coprire la seconda porzione di frutta della giornata con due kiwi, o una coppetta di fragole quando di stagione, come spuntino. Non va dimenticato che l’eccessivo calore e la cottura prolungata determinano una perdita parziale o totale di vitamina C, quindi: aggiungiamo condimenti ricchi di vitamina C come peperoncino fresco, succo e scorza di agrumi, sempre a crudo. Alcune verdure ricche di vitamina C, come broccoli e cavolo cappuccio, se consumate crude, sono una buona fonte. Se decidiamo di cuocerli è preferibile la cottura a vapore per pochissimi minuti (meno di 10). Non conserviamo troppo a lungo frutta e verdura ricche di vitamina C, il suo contenuto diminuisce progressivamente con il passare del tempo.
 
Vitamina C e salute

Sicuramente, l’assunzione di vitamina C attraverso l’alimentazione è importante per la salute generale e per la corretta funzionalità del sistema immunitario. Tuttavia, né una semplice spremuta d’arancia né, tantomeno, gli integratori di vitamina C, possono consentire all’organismo di affrontare le infezioni con minori rischi, se, oltre ad una corretta alimentazione, non si conduce uno stile di vita sano che prevede una regolare attività fisica, l’astensione dal fumo e da un eccessivo consumo di bevande alcoliche.

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I Castelli Romani Food & Wine si stringono in una rete solidale gastronomica dal nome #nonsietesoli attivata dal desiderio di portare pasti pronti negli ospedali, sostenere il personale medico e ricordare a tutti che “Cucinare è un atto d’amore”.

Stiamo vivendo giorni di forte preoccupazione e crescente inquietudine, giorni in cui la fragilità umana e la presa di coscienza della vulnerabilità della presunta “sicurezza dei tempi moderni” si sono insidiate a livello mondiale. Di fronte ad un nemico invisibile, tutte le attività più significative si stanno piegando . Il mondo è fermo. I confini sono chiusi. E le domande sul futuro rimbombano come echi chiusi in stanze vuote. Ma l’essere umano è resiliente, pieno di inventiva, capace di grandi gesti e sa ripartire da se stesso, magari riscoprendo la bellezza di sentirsi membro di una comunità.

Sono infatti tante e buone le iniziative di solidarietà e beneficienza, di tutte le tipologie, dalla moda ai centri di sostegno telefonico per donne e anziani passando per la ristorazione e le iniziative degli chef (ne parliamo qui), che stanno nascendo giorno dopo giorno per sostenere gli italiani, ognuno a proprio modo, in lotta contro il Covid-19. In prima linea, sicuramente, il comparto medico è quello che sta facendo più sacrifici, affrontando giornate infinite, ritmi e turni intensissimi;

Per dare un sostegno concreto ai reparti di terapia intensiva delle strutture sanitarie locali, in modo che possano assistere e curare la popolazione colpita, ristorati dal piacere di un buon piatto caldo, nonchè alle Comunità, come quella di Sant’Egidio, che ogni giorno assiste anziani e senza tetto, la bella iniziativa di Dario Rossi, suo promotore, mastro gelatiere e proprietario di Greed, Avidi di Gelato a Frascati (RM), sta stringendo attorno a sé chi ha deciso di fare della solidarietà un atto concreto puntando sul potere del cibo. Gli abbiamo chiesto com’è nata e come si fa ad aderire.

L’iniziativa è partita quando ho deciso di chiudere la gelateria. Avendo del gelato ho pensato quale fosse il modo migliore di utilizzarlo ed ho voluto portarlo al reparto pronto soccorso del Policlinico Di Torvergata. Da un semplice gesto è nata questa bellissima iniziativa che ha coinvolto tutta l’associazione dei Castelli Romani Food and Wine ed ha preso il nome di “non siete soli” (#nonsietesoli).

La prima azienda ad aderire è stata Tenuta Santi Apostoli, agriturismo di Frascati. Simona Blasi, una dei due titolari, ha preparato delle lasagne e dei biscotti fatti da lei. Io ho portato tanto altro gelato.

Poi l’iniziativa si è allargata dal Policlinico di Tor Vergata al Policlinico Casilino. Qualche giorno fa abbiamo consegnato l’Arista de Il Norcino di Bernabei Vitaliano cucinata da Alain Rosica, chef patron del Ristorante Belvedere dal 1933, insieme alle patate al forno, oltre ai Ravioli ripieni di ramoracce, caciocavallo e salsiccia al pomodoro, e agli Gnocchi al pomodoro e Polpette di carne di Pastart Frascati. Io, ho portato dei dolci fatti da me.

Ogni giorno, sulla nostra pagina facebook (Castelli Romani Food&Wine), potrete trovare molti e nomi di chi sta collaborando. Prossimamente porteremo altre eccellenze del nostro territorio dei Castelli Romani a chi sta combattendo questo nemico invisibile in prima linea mettendo a rischio la propria vita per tutelare la nostra salute e la nostra vita. Vedere i loro occhi lucidi, colmi di gratitudine, è stata la più grande delle soddisfazioni

Abbiamo poi chiesto ad Alain Rosica quale sia stata la reazione da parte del personale medico.

“Si sono emozionati, sono stati felici e molto riconoscenti. Sono stanchi ma non agitati o nervosi, anzi, gentilissimi. Abbiamo respirato un’aria di tranquillità, nonostante tutto.

Non sappiamo ancora quando finirà tutto ma dobbiamo essere vicini ed operativi, i ristoratori hanno la possibilità di fornire ed organizzare iniziative come questa, coinvolgendo la comunità e rinforzando i rapporti locali, necessario per una buona ripartenza.”

Com’è possibile partecipare e dare attivamente il proprio contributo?

E’ possibile aderire con una comunicazione alla protezione civile in cui si indica cosa si porta e il percorso con partenza e destinazione. I Pasti devono essere etichettati e naturalmente prodotti da ristoranti, laboratori e attività autorizzate. Tutto deve essere concordato prima con il personale addetto al pronto soccorso.

Se quindi volete dare il vostro contributo o ricevere maggiori informazioni scrivete in privato a DARIO ROSSI (su facebook) o un’email a Castelli Romana Food & Wine // castelliromanifoodandwine@gmail.com 

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Un luogo del cibo nato nel cuore di una realtà vitivinicola. Una barricaia di grande pregio per custodire il vino valorizzata dalla proposta di alta cucina di Oliver Glowig dove confluiscono ingredienti del territorio, signature dishes, suggestive tradizioni e moderne tecnologie. Un progetto ambizioso e reale che sfugge all’ordinarietà e ci immerge in un’esperienza non convenzionale quanto emozionale.

Varcare la soglia di Barrique, la nuova maison gastronomica dello Chef Oliver Glowig, induce a credere che il mondo possa essere ancora pensato, inventato, progettato. Da qui, da questa galleria di legno e terra, oro e pietra, vocata alla custodia del vino, lo sguardo si poggia sui lunghi, ordinati filari e abbraccia i tesori di una terra devota alla vite.

Siamo a Monte Porzio Catone, piccolo borgo sopra la più nota Frascati, che si erge su una collina al centro di un territorio ricco di storia. Le sue vestigia costituiscono elementi caratterizzanti del bellissimo paesaggio dei Castelli Romani che si fonde con la montagna e i boschi di castagni. Qui la Cantina vitivinicola Poggio Le Volpi, guidata dal patron Felice Mergè, dal 1996 vinifica su trentacinque ettari di terreno vulcanico cercando di esprimere sempre al meglio il concetto di terroir.

“Se puoi sognarlo puoi farlo” (If you can dream it, you can do it). Questa è la frase di Walt Disney che accoglie fin dall’ingresso gli ospiti di Barrique e che descrive la filosofia di questo luogo e la suggestione di questa favola. 

“In questa favola ci sono due principi azzurri: uno è Felice Mergè, vignaiolo alla terza generazione, imprenditore con una smisurata passione per il buon vino e per il buon cibo, che ha reso tutto questo possibile; l’altro è Oliver Glowig, che da subito ha fatto suo il progetto e, giorno dopo giorno, ha costruito con noi l’idea di un luogo unico al mondo. Oggi questa è la sua casa”, racconta raggiante Rossella Macchia, direttore generale di Poggio Le Volpi.

E come nelle favole, facciamo un passo indietro. Oliver Glowig nasce in Germania. Mi piace pensare a lui come un Riesling, vitigno tedesco più antico, nella regione della Mosella-Saar-Ruwer, introdotto proprio dai romani e che, idealmente parlando, si è innestato qui, tra il Trebbiano e la Malvasia del Lazio.

Vino dal corpo leggero, con una spiccata acidità bilanciata da una media dolcezza e intensi sentori floreali e di frutta verde, il Riesling possiede quelle caratteristiche che ritrovo anche in chef Glowig, che se da un lato si porta dietro l’austerità di una lingua dai toni duri, dall’altra mitiga l’impatto con una gentilezza nei modi che delineano i contorni di un uomo dalla grande umiltà e dal raro spessore umano.

Oliver, come è nata questa favola?

Oliver si innamora dell’Italia 20 anni fa, e lo fa totalmente sposando una donna, i prodotti e i profumi di questa terra, ingredienti di vita che ha fatto suoi e che porta con sé ogni giorno. Il primo arrivo in Italia è al Grand Hotel Quisisana di Capri, con Gualtiero Marchesi. Dopo aver conquistato la sua prima stella Michelin al Ristorante Acquarello di Monaco di Baviera ritorna sull’isola campana al Capri Palace Hotel & Spa, dove in pochi anni ottiene la prima e poi la seconda stella Michelin. Nel 2011 approda a Roma, all’Hotel Aldrovandi di Villa Borghese. Anche lì il successo è immediato, fino alla conquista delle 2 stelle Michelin. Dal 2017, dopo l’avventura all’interno del Mercato Centrale di Roma, cui seguono importanti consulenze, decide di tornare al fascino della cucina d’autore e farsi di nuovo ambasciatore della grande varietà della cultura gastronomica italiana e del territorio castellano proponendo da Barrique una cucina creativa, dagli ingredienti multipli e di grande pregio.

Ho accolto con entusiasmo la proposta di Felice Mergè e Rossella Macchia. Loro cercavano uno chef per condividere un progetto ambizioso, io ero alla ricerca di un qualcosa di stimolante, in cui credere. La prima cosa che Felice mi ha chiesto è stata: “Dove vedi un ristorante gourmet?” Io mi sono subito innamorato di questo luogo, di questa vista sulle vigne, perché qui si è veramente parte del territorio. Poi sono stati coinvolti gli architetti e ognuno ha portato le sue idee: questo posto è cresciuto intorno a noi.

Il ristorante si trova all’interno di una vera barricaia con vista sul vigneto.

Com’è possibile poter mangiare tra le barrique visto che il vino deve riposare in un ambiente a umidità controllata per garantirne le qualità organolettiche? 

È possibile grazie alla tecnologia e a un impianto di temperatura e umidità controllata. Durante il servizio la temperatura è confortevole, mentre a fine servizio si abbassa notevolmente. Questa alternanza fa in modo che il vino all’interno non si alteri e che vengano ugualmente garantite la composizione organolettica e chimica. Ovviamente tutto questo è frutto di molti test e prove.

Una costruzione corale, tra uomini e territorio. Una collina che guarda verso oriente, uno spazio dove interno ed esterno si compenetrano, prendono forma attraverso una fusione di elementi naturali e materiali reinterpretati artisticamente per raccontare una storia, quella del rapporto tra terra e vite, alta cucina e design, saperi antichi e moderne tecnologie. Un luogo che si fa largo tra la vigna, una lunga galleria con tre nicchie dedicate alle etichette più importanti del panorama internazionale tra bollicine, vini fermi bianchi e rossi, e le etichette storiche di Poggio le Volpi; mentre nelle Barrique riposa l’edizione limitata Roma DOC 2017.

La tradizione di questi luoghi vuole inoltre che le mamme e le nonne regalino alle figlie femmine il cosiddetto corredo o dote, composto da asciugamani e lenzuola di valore, stoffe e tovaglie ricamati a mano. Un’accurata selezione di pizzi e merletti è stata utilizzata come base per opere ornamentali dorate. I tessuti sono stati così messi in bagno di colla e poi informati, passati nell’oro e una volta rigidi applicati sulle pareti come elemento decorativo e di celebrazione della storia di un territorio, che dona ricchezza. Anche i tavoli con la terra dentro ne sono riprova.

La filosofia di Poggio Le Volpi è quella di valorizzare la ricchezza del territorio, i cui elementi territoriali sono stati riportati all’interno di Barrique. Qui infatti le pareti sono state lavorate con la terra del vigneto a calce e con degli stencil realizzati con le foglie della vite.

“L’idea è quella di scendere in vigna, scalzare il terreno e trovare un tesoro. Abbiamo voluto inglobare e raccontare un territorio. E la Cucina di Oliver è stata la scelta perfetta per chiudere questo progetto di recupero e valorizzazione”, spiega Rossella Macchia.

Dal canto suo la sofisticata cucina di Oliver Glowig, colorata, essenziale, moderna, giocata sulle consistenze e sulla determinazione del sapore, può fare affidamento su selezioni di carni, salumi e formaggi ricercati, freschissimo pescato di mare, così come la frutta e la verdura. Mentre un grande pane fatto in casa con farine di qualità inaugura la tavola e viene servito caldo con un bottone di burro di Normandia timbrato Barrique e un ottimo Olio EVO.

Chef, come iniziano le tue giornate qui a Poggio Le Volpi?

Le mie giornate iniziano con una passeggiata in vigna, un luogo perfetto per pensare ai miei piatti e ispirarmi.

Quali sono gli elementi territoriali sui quali stai lavorando? Raccontami un piatto nato qui.

Spaghetti con le erbe di campo con anguilla affumicata e costine di aglio” è un piatto pensato per questo luogo, che ho immaginato una mattina camminando tra i filari. Ho cominciato a lavorare sull’idea della campagna romana, mi sono ispirato alle erbe spontanee, poi ho aggiunto l’anguilla per dare sostanza, grassezza e dolcezza, oltre alla piacevolezza della nota affumicata. Qualcuno dice questo piatto sia addirittura superiore alle mie “Eliche Cacio e pepe con ricci di mare”.

Un piatto ben rappresentativo di questa nuova fase espressiva affinata in Barrique. In quale fase espressiva ti senti oggi?

È molto importante per un cuoco non fermarsi mai. Non c’è una fase specifica, sono all’interno di un percorso creativo e speculativo che tiene conto di tutto il mio passato e degli stimoli di questo territorio.

Come reagisce la clientela a una proposta così sofisticata?

I riscontri sono molto positivi. Barrique piace a tanti. Certo, è un concetto di cucina diverso, offerto a chi voglia vivere un’esperienza unica e regalarsi un momento speciale, lontano dall’ordinario. Qui propongo un viaggio che è, da una parte, un colpo d’occhio sulla mia vita e sul mio passato, sugli ingredienti mediterranei che hanno conquistato il mio cuore e la mia cucina da oltre 20 anni. Dall’altra voglio mostrare la mia riflessione sulle prospettive future della cucina.

E non è finita, perché ai piani superiori si trova EPOS, bistrot con un’offerta molto più tradizionale, una grande brace e un’ottima selezione di carne. Piatti preparati con la stessa cura ma in un ambiente molto diverso e disteso. Qui posso essere più creativo, sperimentare e lavorare materie prime di eccellente qualità.

Tornando a Barrique cosa propone il percorso degustazione da te ideato?

In questo menu c’è il territorio dove mi trovo, ma anche alcuni dei miei piatti classici come lo “Scampo crudo con burrata e cuore di carciofo”, un piatto nato a Capri e che rinsalda il mio legame con pesce e crostacei. Immancabili le “Eliche cacio e pepe con ricci di mare”, un piatto che è sulla mia tavola da vent’anni e rappresentano un successo senza tempo, un vero signature dish.

Il mare non è distante, a volte ne arriva la brezza fin qui. Mi piace utilizzare il pescato nelle ricette, soprattutto crudo, anche per sottolineare le differenze con l’offerta di EPOS.

Il vino è presente solo come abbinamento o lo utilizzi anche come ingrediente in qualche tuo piatto?

Sì, lo utilizzo in particolare in un piatto, la “Terrina di pollo ruspante al “Baccarossa” con capesante crude e misticanza di erbe”: il pollo, le sue cosce, vengono appunto marinate nel Baccarossa Lazio Igp, il rosso di punta di Poggio Le Volpi, per poi essere pressate e chiuse come un culatello. Ne deriva un sapore molto interessante. Lo servo con le capesante per dare una chiusura rotonda al piatto.

Chef, a Poggio Le Volpi ti senti davvero come a casa tua?

Bella domanda, la risposta è sì, qui mi sento a casa e spesso, quando sono lontano, non vedo l’ora di tornare. Perché è bello viaggiare, ma avere un posto dove fare ritorno è ancora meglio.


PHOTO: Alberto Blasetti / www.albertoblasetti.com


POGGIO LE VOLPI – EPOS – BARRIQUE / Via Fontana Candida, 3/c
00078 Monte Porzio Catone (Roma) Italia
www.poggiolevolpi.com
info@poggiolevolpi.com
Tel: +39(06)94.26.980
Fax: +39(06)94.26.988

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Alla luce di un nuovo decreto dalle maglie ancora più strette, come sta reagendo l’Italia della ristorazione? Quali sono le riflessioni, le polemiche, le paure degli imprenditori del settore? Cosa cambierà e cosa lascerà dietro sé questa mietitrebbia economica fuori stagione?

Abbiamo raccolto le opinioni di giornalisti del settore, ristoratori, chef e patron, abbracciando le preoccupazioni, gli sfoghi, gli avvilimenti, gli stati d’animo noir; rispettando la posizione di chi ha preferito non sbilanciarsi in un momento così delicato, ma comunque cercando di definire un quadro incredibile quanto reale che delinea i contorni di una crisi che coinvolge l’Italia intera e che, forti di una ritrovata identità nazionale, l’Italia intera dovrà affrontare per guardare nuovamente con fiducia il domani.

Luigi Cremona, Giornalista – Touring Club / Porzioni Cremona

“Il settore della ristorazione è il vero settore trainante dell’Italia, quello che più ci distingue nel mondo. Mettendolo in crisi va in crisi parte dell’Identità nazionale stessa. Io non sono un tecnico, c’è una preoccupazione immensa, ma credo che la strada sia quella giusta. E il sacrificio è di tutti. Sono passati giorni dalla chiusura delle prime attività, e più si allarga la forbice tra il “bastone e la carota”, più la paura aumenta. Per adesso “Nessuno perderà il lavoro” è una rassicurazione che aspettiamo tutti possa diventare realtà, sempre tenendo presente che in Italia non c’è un Potere forte e che dalla guerra non c’è più stata una crisi così profonda, così dura, oltre ai terremoti, chiaramente. Siamo stati una generazione fortunata e il Governo si sta movendo anche bene, ma abbiamo bisogno di segnali chiari.

E vorrei aggiungere due riflessioni: una di ordine umano, su come cambia la vita da un momento all’improvviso, e sul fatto che il cambio può anche essere salutare, perchè si stanno riscoprendo nuovi valori, apprezzando le piccole cose; stiamo perfino imparando a fare la fila.

L’altra sulla ristorazione, perchè avremo due conseguenze: l’avanzata del Delivery, che andrà sempre più avanti a discapito della ristorazione classica; e il recupero dei valori tradizionali che questa psicosi sta facendo riscoprire, incluse le tendenze verso una cucina familiare e la preparazione dei piatti di casa.”

Walter Regolanti, Chef Patron – Romolo al Porto, Anzio (RM)

“Qui ad Anzio siamo stati i primi a chiudere. Ci siamo resi subito conto della situazione e ci siamo subito uniti. L’unione fa la forza. Ed è per questo che noi ristoratori laziali, insieme a quelli lombardi, già firmatari di una lettera aperta, a quelli toscani, ci siamo uniti in un gruppo coeso per chiedere a chi ci governa delle risposte. Esorto tutti i ristoratori a seguirci, anche via social, per alzare una voce e farci sentire. Non abbiamo bandiere politiche ma un obiettivo comune: chiedere al Governo delle risposte. È il comandante che guida la nave, è lui che deve prendere decisioni e trovare soluzioni. Noi chiediamo sgravi fiscali, incentivi alle aziende. Vogliamo una risposta contributiva e salariale e la vogliamo subito. Soluzioni per evitare di licenziare i nostri dipendenti. Non è facile per un imprenditore dover lasciare a casa chi negli ultimi anni ha lavorato con noi ma non possiamo permetterci di fallire. Abbiamo dei fornitori da pagare, delle attrezzature, abbiamo gli affitti, i mutui…
Vi assicuro, non è stato facile all’inizio mettere d’accordo tutti i ristoratori di Anzio. Fortunatamente, fin dalle prime ore mi hanno dato ascolto perché sono anche il Presidente dell’Associazione Commercianti locali.
Sono mesi che ripeto che il governo avrebbe dovuto chiudere immediatamente l’Italia. E invece hanno fatto entrare tutti. Poi hanno fatto i tamponi e ora siamo il secondo paese al mondo col virus. Gli altri ci guardano come degli appestati. Sono stati fatti gravissimi errori, che pagheremo tutti ma ora devono darci delle risposte e prendere misure per il futuro. Noi ristoratori ora ci stiamo organizzando con una campagna di crowdfunding e se la chiusura dovesse proseguire, cercheremo di attrezzarci con il servizio delivery che comunque ha molte problematiche igienico sanitarie”.

Arcangelo Dandini, Chef Patron – L’Arcangelo, Roma

“E’ il momento che tutti capiscano che se non facciamo rete, che se non c’è complicità tra di noi non se ne uscirà. Dobbiamo essere collaborativi. Per la prima volta il momento storico ci impone di fare sistema, cosa che in questo Paese non è mai stata fatto. E il sistema è quello di proteggerci l’uno con l’altro. Ci vuole un Governo che dica “ok, ricominciamo da zero, tutti quanti, nessuno escluso. Perchè nessuno può pretendere di vivere come se non fosse successo nulla. Nessuno di noi ha più nulla. La maggior parte di questo Paese è fallito.

E’ inutile che ci giriamo intorno, è inulte che ci promettono cifre astronomiche di cui vedremo si e no il 30%. Come fa chi paga un affitto? Per I proprietari delle mura non posso pretendere lo stesso canone. Qui ci dovrebbe esser un Governo, qualcuno che prenda in mano il Paese e metta in atto soluzioni concreta, e forse quei due risparmi in banca basterebbero per pagare tutto.

Noi siamo, esclusi noi titolari, siamo 1 milione e mezzo di addetti ai lavori e muoviamo più di 83 miliardi di Euro l’anno. Bisogna tutelare tutti. Perché siamo tutti nella stessa barca. Se non cominciamo a sentirci tutti nella medesima situazione e a pretendere risposte concrete, andremo a picco tutti insieme. Io invece voglio vivere e voglio poter lavorare.”

Alain Rosica, Chef Patron – Il Belvedere 1933 – Frascati (RM)

“Il quadro della situazione non era molto chiaro sin dai primi giorni, qui ai castelli abbiamo avuto direttive sommarie ed eravamo un pò confusi, dopo pochi giorni però tutti i ristoratori hanno deciso di chiudere la propria attività e di restare a casa, per evitare i contagi, incorrere in sanzioni e limitare i danni economici. Tanti di noi già affrontavano una situazione difficile, per il momento alcuni dei nostri hanno pensato di fornire aiuto al personale degli ospedali vicini, portandovi del cibo, Dario Rossi ieri ha fatto partire questa idea che ci ha coinvolto tutti. Il problema ora è creare una rete di raccolta, produzione e distribuzione che sia autorizzata sia sanitariamente che legalmente per poter arrivare almeno agli ospedali più vicini. Detto questo, non credo ne usciremo né facilmente né rapidamente, considerando gli altri paesi che verranno inesorabilmente investiti dopo di Noi. Potrebbero essere scenari di ripresa nel caso gli italiani decidano di non viaggiare all’estero quest’anno e di tornare ai mercati locali e al made in Italy”

Giovanni Milana, Chef Patron – Sora Maria e Arcangelo, Olevano Romano (RM)

“Da ristoratore mi trovo in un momento di grande spaesamento. Sto a casa, cerco di spezzare il tempo leggendo qualche libro e passo più tempo con i miei due bambini, ma è molto dura convivere con tutto ciò perché le preoccupazioni legate all’economia del mio locale la fanno da padrone.

Ho 6 dipendenti che comunque dovrò aiutare  in qualche modo, gli affitti del locale, gli investimenti che avevo appena fatto in cucina e che dovrò comunque pagare, per non parlare della migliaia di € di investimento che avevo fatto su i vini della mia cantina, ad ogni modo la mia speranza è che tutto passi al più presto ma la vedo dura. Il mio pensiero va a tutti i mie colleghi che in questo momento stanno vivendo questo dramma e gli dico coraggio e forza che tutto andrà bene!”

Eleonora Spagnoli e Renzo Valeriani, Imprenditori – Madre/Verve, Roma

“È l’incertezza quello che ci preoccupa di più in questa situazione. Incertezza del futuro e di quello che accadrà dopo il 3 aprile. Sinceramente, dubito che potremo riaprire così presto. Sarebbe bello ma temo che la cosa si protrarrà ancora a lungo. Siamo molto preoccupati. Stiamo aspettando notizie e risposte dalla classe dirigente. Potremmo esser costretti a licenziare, a mettere in cassa integrazione i nostri dipendenti ma non sappiamo cosa fare. Veniamo da un periodo di bassa stagione che si è fatto sentire più del solito e non sappiamo se, o quando, potremo riaprire”.

Emilia Branciani, Ristoratrice – Livello 1, Roma

“La chiamiamo desolazione. Io sono un imprenditore giovane, non sono passati nemmeno 4 anni dalla nostra apertura che ci ha coinvolto con un investimento notevole: i primi anni si impara, si aggiusta il tiro. Questo sarebbe dovuto essere l’anno dei risultati, ma ahimè e’ arrivato il coronavirus.

Già da gennaio tirava un’aria poco felice, la gente non usciva di casa, si lavorava solo il fine settimana; poi il colpo finale, dopo San Valentino, i primi di Marzo, ancor prima dell’uscita del decreto, io già avevo abbassato le serrande. Non ho pagato i fornitori, li ho avvisati, sono riuscita a malapena a pagare gli stipendi e tutti a casa, in ferie, che sono sempre pagate da noi.

Adesso speriamo negli aiuti del governo: la mia è disperazione, ho 2 mutui  affitto abbastanza importante (8.000€/mese) e 15 dipendenti, senza contare me e Claudio. La vedo dura per tutti: mettiamo il caso che ci diano sostegno per 2 mesi , secondo loro , in un batter d’occhio ci rialziamo? Secondo m dovrebbero abbattere i mutui almeno per un anno, finanziamenti, affitti, personale in cassa integrazione in deroga per almeno 6 mesi. Per un anno niente tasse, iva, pagamenti vari ed accesso ad un credito agevolato con le banche. Ora l’importante e’ sconfiggere il virus e stare a casa. Io avrei chiuso completamente tutti i negozi per 15 giorni.

Come vedo il futuro ? Che faranno come con i terremoti e ci lasceranno per terra. Se non ci daranno un aiuto concreto, parecchi ristoratori non rialzeranno le serrande. Volendo essere positiva, ora sconfiggiamo il virus e poi ci rimboccheremo le maniche, sarà dura ma ce la faremo; sarebbe meglio con un governo più presente più vicino all’esigenze dei commercianti già ammazzati precedentemente da tasse troppo alte.

Rossella Macchia, Imprenditrice – Poggio le Volpi / Epos / Barrique, Monte Porzio Catone (RM)

“Noi abbiamo chiuso da prima del decreto, anche se avevamo già messo in atto le misure di sicurezza sia per quanto riguarda la disposizione dei tavoli e il rispetto del metro di distanza tra i commensali sia per quanto riguarda il personale e la pulizia di superfici e tessuti. Il nostro è stato semplicemente senso civico, finalizzato a proteggere i nostri dipendenti, i clienti e tutta l’umanità. Perché la diffusione di questo virus non è un problema dei singoli, ma di tutto il mondo. Come ristoratrice, mi auguro di ricevere presto delle risposte ferme e decise alle richieste che, insieme ai tutti i ristoratori di Lazio, Lombardia e Toscana, abbiamo mosso a chi ci governa. Il problema, infatti, non è lasciar a casa i dipendenti ora ma si presenterà tra qualche settimana o mese quando, con gli incassi ridotti praticamente a zero, dovremo pagare gli stipendi”.

Giancarlo Casa, Patron – La Gatta Mangiona, Roma

“La situazione non è ancora stabilizzata. Ritengo sia presto per affrontarla. Prima c’è l’emergenza sanitaria e dei senza reddito. Poi si vedrà”.

Benny Gili, Chef Patron – Benny alla Baia, Fregene (RM)

“Secondo me è ancora presto per avere un quadro futuro. Non sappiamo ancora cosa succederà fino al 3 aprile, e se basterà come scadenza. Io provo una sensazione di abbandono, non ho nemmeno la voglia di fare programmi. La salute collettiva in questo momento mi preoccupa di più, anche perché se non ci lasciamo indietro questo virus sarà un problema ripartire.”

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