Sara De Bellis

Autore: Sara

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Ispirazione creativa, accostamenti arditi, tecnica intelligente, impatto visivo, texture, sapore a tinte forti e poi la terra, tanta terra. Questo è l’approccio “dritto al piatto” di Davide Del Duca, Chef di “Osteria Fernanda”, bistrot contemporaneo in quel di Porta Portese a Roma

“Sedano rapa dimenticato nel whisky, senape fermentata e dragoncello. Risotto, estratto di erbe, conciato di San Vittore, timo e miso. Spaghetti, melanzana bruciata, gambero rosso e pistacchi. Lingua, topinambur, tarassaco e caramello d’aglio. Anguilla, riso acido, rape al bitter, spuma di aglio nero, birra e tuberi. La mia cucina è sostanzialmente terra, radici, prodotti di alta qualità, tecnica e passione”.

Faraona, salsa di fieno greco e goji servita con polvere acetosella e tartufo nero

I suoi maestri sono stati Enzo Frassanito al Convivio Troiani* (RM), Graziano Ballerano al Veste di Tivoli (RM), Cristina Bowerman al Glass Hostaria* (RM) e  Adriano Baldassarre al Tordomatto di Zagarolo (RM).

Da ognuno di loro ha appreso qualcosa: “da Enzo la tecnica e la capacità di saper gestire qualità e rapidità di servizio, da Cristina la creatività che guarda all’estero, da Ballerano, toscano e grande conoscitore della materia prima, le tecniche e le fermentazioni, da Adriano il concetto che la creatività possa legarsi alla tradizione tramite il gesto tecnico”.

Oggi è Salvatore Tassa (Colline Ciociare, Acuto – FR) ad incarnare il suo ideale di cucina, parlandone in questi termini: “Tassa riesce ad esprimere un concetto di terra, creativo e concreto allo stesso tempo. Partendo da materie prime povere riesce e creare un piatto identitario, solo suo, che non può essere riconducibile a nessun’ altro stile. L’espressione dell’essere umano e la sensibilità è talmente accentuata in lui, che si legge chiaramente in ogni suo piatto”.

Davide, come celebri “la terra” nella tua cucina?

All’estremo. Stiamo cuocendo dentro la terra, con tutte le dovute cautele, ovvio, ci cuociamo la carne, le verdure e lavoriamo molto il sottosuolo come radici, sia fermentate che fresche. Il sedano rapa è di per sé un piatto che rappresenta il nostro stile, che subisce una metamorfosi nella consistenza, nel sapore, nelle componenti aromatiche, nel colore, fino a diventare quasi carne. Quindi lo rosticciamo e poi assembliamo gli elementi fermentati, che è una nostra cifra stilistica, entrata nella nostra cucina circa 4 anni fa”.

Secondo te, in una società liquida come la nostra, cosa cerca il cliente a tavola?

“Il cliente si è stancato di fare da cavia per esperimenti impossibili pagando conti molto salati e passando delle seratacce. Se tu proponi al cliente una cucina concreta, tradizionale e creativa, che valorizza le materie prime e le rende riconoscibili, il cliente non fa questioni di prezzo ed esce appagato”.

@photocredit https://www.scattidigusto.it/notizie/roma-isola-open-kitchen-scuola-trastevere/

Quali sono le caratteristiche dello chef contemporaneo?

“La figura del cuoco si sta evolvendo, lo Chef è sempre più imprenditore rispetto al passato; l’altra faccia della medaglia è che è uno chef che sta poco in cucina e tante cucine, per questo, sono “ferme”.

Cosa pensi del sistema mediatico applicato alla ristorazione? E della parola “chef”, decisamente inflazionata?

“C’è troppa corsa al voler raccontare per primi delle realtà che invece devono avere il tempo di crescere.

Oltre la gerarchia stabilita dalla capacità di ognuno, sentirsi chiamare “chef” a 23, 25 anni significa non conoscere tutto il duro percorso, i procedimenti, tutti processi che ci sono dietro. Vedo tante realtà che non sanno utilizzare i prodotti e che li maltrattano, con accostamenti forzati e poco rispetto della materia prima”.

Tanta Terra ma anche Mare nel menu di Primavera 2019 di Davide Del Duca, come nella sua “IMPEPATA”: spuma di acqua di cozze pelose, maionese di bottarga, granita di salicornia, rosmarino e finocchietto di mare, acqua di ostriche e meringa salata di panko

Cosa pensi della “corsa alle stelle”? Quanta differenza fa la Stella rossa fuori la porta?

“La Michelin fa ancora oggi la differenza. La stella per un cuoco è molto importante, è quasi un premio alla carriera. Se indossi la giacca da chef la stella la vuoi, però ci sono troppi cuochi che lavorano per la stella e pochi che lavorano per il cliente, e se lavori per la stella il ristorante ce l’hai vuoto, se lavori per il cliente il ristorante ce l’hai pieno”.

Quanto “costa” una Stella?

Tanto, come investimento, come ore di lavoro, come risorse umane, come materie prime”.

Lo Staff di Osteria Fernanda, l’accoglienza di Manuela Mengoni (in basso a destra) e la competenza di Andrea Marini per la selezione delle etichette (in basso a sinistra)

Guardando questo mondo enogastronomico con gli “occhi di Chef” quali sono in Italia gli eventi che funzionano?

“Gli unici eventi che hanno un senso sono quelli che riescono a coinvolgere l’utente finale, ovvero il pubblico interessato. A Roma si fa poco, a Milano Identità Golose funziona, al sud LSDM; sono tutti eventi che vogliono trasmettere qualcosa, un contenuto”.

In cosa credi siano utili?

“Pluralità di contatti, confronto di cucina, crescita. Io ricordo una bella esperienza con Lele Usai durante un cooking show a 4 mani. Io avevo creato una piadina senza farina e uova, con le proteine della cozza; lui mi insegnò i bilanciamenti sottovuoto per cambiare la consistenza al tonno: in quel momento c’è stata fusione. Ecco, se vai agli eventi con quella testa, serve. Quella per me è stata crescita. Ho imparato da lui una tecnica che mi porto dietro e che è mi è servita nel tempo”.

Raviolo liquido, piatto storico di Osteria Fernanda, rivisitato nel menu 2019 e servito assieme alla tartare di carne, spuma di parmigiano e porro fermentato.

Sei geloso delle tue scoperte in cucina?

“Non serve a niente essere gelosi di scambio tecnico e di conoscenze, non serve a niente perchè qualcuno ce le ha insegnate”.

Esiste una “scuola di pensiero di cucina contemporanea” in cui uno “chef creativo” possa identificarsi o attingere?

“Non ancora. Con la tradizione importante che c’è in Italia, se i cuochi fossero meno prime donne e riuscissero a fare gruppo, non ci fermerebbe nessuno. Così come ha fatto la Spagna, che su Ferran Adrià ha creato un sistema di cucina che detta legge ancora oggi in materia di sperimentazione”.

Ristorazione si, ma anche tanti progetti paralleli che ti vedono chef associato JRE-Jeunes Restaurateurs Italia dal 2017, membro dell’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, docente, consulente e adesso socio, assieme a Bruno Settimi e Susanna Sipione, di un progetto che punta sulla sperimentazione e sulla qualità, dimmi di più.

“Si, ISOLA – OPEN KITCHEN, è il primo spazio polifunzionale all’interno di showroom di cucina a via Mameli (Trastevere) nato con lo scopo di contribuire allo sviluppo delle future tendenze del mondo Food attraverso un’interpretazione innovativa che risponda alle esigenze di un mercato in rapida evoluzione senza tuttavia rinunciare al fascino della tradizione e al desiderio di vivere la grande cucina italiana in modo autentico. ISOLA, è infatti uno spazio di design e di grande valore tecnologico, un propulsore di idee da mettere in moto tramite workshop, show-cooking, corsi di cucina amatoriali, ma è anche un luogo adatto a cene private, piccoli eventi e degustazioni. In qualità di consulente invece “Vinea” e “Voia” sono due progetti diversi e definiti che mi stanno portando tanta soddisfazione: il primo è un piccolo bistrot a vocazione gourmet a Montesacro, l’altro un polo gastronomico a 360° aperto dall’aperitivo del pranzo al dopocena, passando per il banqueting. Poi tanti altri progetti, ma tutti in fase di costruzione. “

Quale dei tuoi piatti in menu rappresenta di più questa primavera 2019?

“La Dark Citron potrebbe essere il piatto simbolo di questa primavera nera che tarda ad arrivare. E’ una rivisitazione della “Dark citron” classica, con un pò di tecnica in più: oltre al biscotto nero, il nome DARK deriva infatti dai limoni che abbiamo fatto fermentare per un mese ottenendo limoni neri con un gusto e un’acidità diversi dal solito.”

Info utili

Osteria Fernanda

Via Crescenzo del Monte 18/24, Roma

Tel: 06 5894333 // +39 347 445 9593

Mail: osteriafernanda@libero.it

Sito

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L’Istituto di Cultura Coreana, dal 22 al 25 maggio, ospiterà Jeong Kwan, cuoca e monaca buddista interprete del suggestivo legame tra cucina vegana coreana e filosofia buddista

È l’insolita protagonista della terza stagione televisiva ‘Chef’s Table’ su Netflix, è una monaca buddista di Seon, nella Corea del Sud; vive nell’eremo di Chunjinam nel Tempio Baegyangsa dove cucina per altri monaci e per i visitatori occasionali, non possiede un ristorante e non ha una formazione culinaria formale ma con il suo stile di cucina è riuscita ad influenzare chef dal calibro di René Redzepi, del Noma di Copenhagen, nonostante ciò continua a definirsi un’esecutrice e non una chef: per chi (ancora) non la conosce, il suo nome è Jeong Kwan che, ospite dell’Istituto Culturale Coreano, dal 22 al 25 maggio 2019, farà conoscere i segreti della cucina buddista attraverso una serie di appuntamenti romani rivolti al pubblico.

Cucinare – nelle parole della religiosa Jeong Kwan- è un atto di nuova creazione che si svolge secondo la propria energia e capacità, è il creare qualcosa dal nulla. Il cibo, una volta mangiato ed entrato al mio interno perde la sua forma ma ne ritrova un’altra. Durante questo momento se tutti danno il proprio meglio e cercano di svuotare la propria anima riescono a creare un collegamento fra loro e riescono a dialogare”.

https://www.eater.com/2017/2/18/14653382/jeong-kwan-buddhist-nun-chefs-table
https://www.nytimes.com/2015/10/16/t-magazine/jeong-kwan-the-philosopher-chef.html

Jeong Kwan è cresciuta in una fattoria e ha imparato a fare le tagliatelle a mano all’età di 7 anni. È scappata di casa a 17 anni e due anni dopo si è unita a un ordine di suore Zen, dove ha scoperto la sua chiamata a diffondere il Dharnma o buddhadharma (dharma del Buddha, cioè il suo insegnamento) attraverso la cucina.

Fondamentale per i buddisti, è infatti il “Baru-Gongyang”, ossia il “mangiare meditativo” tipico dei luoghi monastici il cui nome deriva dalle quattro ciotole di legno di diversa grandezza denominate baru utilizzate per accogliere il cibo.

Quando monaci e monache sentono i tre rintocchi di jukbi (uno strumento di bambù) giungono le mani e inclinano il capo. È il momento di preparare le baru per ricevere il cibo nel seguente ordine: acqua, riso, brodo e verdure e di intonare i canti che accompagnano ogni stadio del pasto, lì dove “mangiarenon è solo nutrirsi ma un modo per riflettere sull’origine del cibo, di essere grati alla natura nonché, alla terra, e alle persone che la lavorano secondo i suoi dettami.

https://www.tsingapore.com/article/life-after-netflix-buddhist-chef-table-jeong-kwan

La cucina templare di Jeong Kwan si basa in primis sul cibo rituale consumato con i monaci più anziani la prima volta che si fa ingresso al tempio, poi, sui prodotti che lei stessa reperisce con mani nel suo orto; poi ancora su quelli codificati dalla capacità di favorire riflessione e crescita spirituale.

Per le sue ricette usa melanzane, pomodori, prugne, arance, zucca, tofu, basilico, peperoncino e altre verdure seguendo i ritmi delle stagioni e portando avanti la millenaria cultura culinaria dei templi buddhisti in Corea nonché i dettami della cucina contadina tradizionale.

Oltre ad essere squisitamente vegane, tutte le preparazioni omettono aglio e cipolla, ingredienti che alcuni buddisti credono possano suscitare la libido e/o distrarre dalla meditazione, ma non solo per questa ragione. Il cibo del tempio fa infatti riferimento alla dieta che aiuta i monaci nelle loro pratiche di ascetismo, basate, secondo gli insegnamenti del Buddha, sull’astinenza da ingredienti specifici come per esempio da cinque vegetali acidi (aglio, scalogno, erba cipollina, cipolla e porri) e dalla carne, da sostituire con ingredienti naturali di stagione. È infatti noto che piatti a base di alimenti conservati e fermentati, che possono essere consumati per un lungo periodo di tempo, come il kimchi, lascino un senso di saggezza e benessere.

https://www.nytimes.com/2015/10/16/t-magazine/jeong-kwan-the-philosopher-chef.html

Promuovere la cultura coreana in Italia è il prezioso intento dell’Istituto Culturale Coreano e la Cucina rappresenta da sempre un accesso privilegiato per conoscere da vicino nuove culture, questa volta attraverso una serie di appuntamenti unici che si pongono l’obiettivo di portare alla ribalta la cucina templare di Jeong Kwan, considerata tra i migliori chef vegani e zen al mondo.

Gli appuntamenti con la monaca Jeong Kwan organizzati dall’Istituto Culturale Coreano

Per il pubblico

In occasione dell’arrivo della chef monaca Jeong Kwan, l’Istituto Culturale Coreano ha programmato il “Temple Stay”, una serie di appuntamenti rivolti al pubblico. Il primo incontro, dal nome ‘Temple Food’, è previsto per mercoledì 22 maggio dalle 18.30 alle 20.30 (prenotazione obbligatorio scrivendo a info@culturacorea.it) presso l’aula di Cucina dell’Istituto Culturale Coreano in via Nomentana 12 a Roma, sarà possibile partecipare a una lezione speciale di cucina dei templi buddisti. Prima delle lezioni di cucina, dalle 14 alle 18, si potrà prendere parte a dei piccoli laboratori artigianali (non necessita di prenotazione, fino ad esaurimento kit) per realizzare fiori di loto in carta, uno dei simboli più iconici del Buddismo, e stampe di incisioni di simboli e iscrizioni buddisti.

La Cerimonia Barugongyang è l’altro appuntamento fissato per venerdì 24 maggio dalle ore 12.00 alle ore 14.00 (prenotazione obbligatoria scrivendo a info@culturacorea.it) al Grand Hotel Palace di Roma (via Vittorio Veneto 70). Jeong Kwan guiderà i partecipanti nell’esperienza del “Barugongyang”, il rituale sacro con cui si mangia con gratitudine nei templi buddisti.

I posti per entrambe le attività sono limitati, per informazioni è possibile consultare il sito.

PS: Barugongyang è un pasto monastico formale in cui le persone mangiano da a “baru” (una ciotola di legno). Riso, zuppa, contorno e acqua sono collocati in una serie di quattro ciotole in diverse dimensioni con la giusta quantità di cibo che può essere mangiato fino alla fine. La chiave per il baru-pasto è “prendere solo ciò di cui si ha bisogno”.  Il pasto di Baru è uno dei modi di mangiare più rispettosi dell’ambiente perché lo fa senza produrre alcun residuo dannoso per l’ambiente. Anche l’acqua che tutti si lavano via le ciotole con sono pulite. Non c’è spazio per i batteri perché crescono le ciotole Le ciotole e gli altri utensili vengono lavati immediatamente dopo ogni pasto ed asciugati al sole. I pasti dei monastici buddisti sono un parte importante della pratica monastica. Il significato contenuto nel barugongyang è  ben rappresentato nei versi cantati in ogni fase del pasto.

ISTITUTO CULTURALE COREANO

Inaugurato nella Capitale nell’ottobre del 2016, sito in via Nomentana 12, l’Istituto Culturale Coreano di Roma – il più grande in Europa – si occupa di rafforzare i rapporti e la cooperazione tra la Corea e l’Italia. Tra le tante iniziative in programma dall’Istituto nel corso dell’anno, la più nota è la Korea Week realizzata in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica di Corea in Italia. Una settimana dedicata alla Corea, nel corso della quale artisti, esperti di cultura e celebri personaggi della penisola coreana arrivano in Italia per approfondire ogni giorno un tema diverso e diffondere così la conoscenza, gli usi e i costumi della Corea.

Info utili

Istituto Culturale Coreano

Via Nomentana 12, Roma

Sito internet

Email: info@culturacorea.it

Pagina Facebook

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Dodici anni di All’Oro e una nuova fiabesca residenza per Tailor Suites & Tailor Cuisine

24 aprile 2007 – 24 aprile 2019: All’Oro Restaurant ha da poco compiuto 12 anni. 12 anni vissuti intensamente tra esclusive location, intuizioni, piatti memorabili e format collaterali realizzati con passione quotidiana. Loro sono Riccardo Di Giacinto e Ramona Anello, coppia nella vita e sul lavoro, un binomio vincente che tiene ben salde le redini di Cucina, Sala e Famiglia.

Riccardo di Giacinto e Ramona Anello

Una famiglia con una visione lucida delle cose, complementare e lungimirante, con un obiettivo a cinque stelle che ha preso residenza in un signorile palazzetto a pochi minuti di Piazza del Popolo (Roma), il quale, dopo 15 mesi di minuzioso lavoro, ospita oggi al suo interno un Boutique Hotel davvero esclusivo: il The H’All Tailor Suite.

The H’All Taylor Suite – Facciata

Tailor, da sarto in inglese, sartoriale appunto, perchè immaginato nei minimi dettagli per soddisfare esigenze e capricci di ogni fortunato ospite delle quattordici spaziose suite tutte differenti l’una dall’altra ed impreziosite da artigiani ed artisti, con arredi di pregio, comfort innovativi, letti e vasche King Size, e persino una “Carta dei Cuscini”.

Ma il The H’All è anche, e soprattutto, la nuova “casa” di All’Oro, un progetto culinario performante che mette a fuoco i dettagli nel piatto con la stessa cura riposta ai dettagli dell’albergo, perchè al centro dell’immaginario c’è sempre e comunque il cliente da coccolare, al quale Chef Di Giacinto, Ramona e lo staff propongono un’ampia gamma di occasioni di gioia e gratificazione, dalla Colazione fino al contemplativo Rhum & Sigaro, chiaramente, attraverso una cucina con la “C” maiuscola, da cui lasciarsi conquistare.

La cucina di All’Oro infatti si accomoda e viene servita abilmente dallo staff di sala ai bei tavoli di due ricercate stanze: una di contemporaneo design, giocata sui toni dorati dell’ottone con le lampade sottili, le sedute di velluto blu petrolio, le pareti nude e satinate; l’altra sala volutamente più intima, con il camino e un’atmosfera di salotto english, poggiaborse a scomparsa, luce regolabile per quantità ed angolazione che definiscono un ambiente regale nella sua essenzialità.

Qui la tanta attenzione alla forma coincide, fortunatamente, con tanta sostanza, che va dai grandi classici alle derive innovative fino ai menu completamente vegani e piatti gourmet per celiaci che lasciano l’ospite libero di spaziare e decidere in autonomia il proprio percorso degustazione

Rocher di coda alla vaccinara con gelee di sedano

Piatto simbolo di questo percorso è sicuramente il Rocher di coda alla vaccinara con gelee di sedano, inossidabile e richiestissima signature dish dello Chef Di Giacinto: “Amo creare nuovi piatti, la mia testa non riposa mai, ogni mese cambio qualcosa dal menu, ma il Rocher non esce mai dalla carta, da ben 12 anni.”

Di cosa si nutre uno Chef, Patron e adesso pure Albergatore?

“Di feedback positivi, di sorrisi, complimenti, di una clientela affezionata che ti dice “grazie”: ci nutriamo di questo”.

Grande esperienze estere al fianco di celebri cuochi come Ferran Adrià e Marco Pierre White, quattro anni in Inghilterra, quattro in Spagna, uno in Cina e tanta Italia: la lezione di cucina più importante da chi l’hai ricevuta?

“Da tutte le esperienze ho imparato qualcosa. Nelle cucine di El Bulli con Ferran Adrià per esempio ho appreso le grandi tecniche, a Londra, da Marco Pierre White, ho imparato la gestione, l’organizzazione della cucina, la disciplina e il sistema di lavoro. Oppure dall’esperienza fatta con la famiglia Iaccarino ho portato via i profumi della cucina campana e la bellezza di un grande ristorante gestito da tutta la famiglia e poi, un’esperienza che tengo stretta nel cuore è quella nel Ristorante San Rocco a Monterotondo, il mio paese di origine”.

La Cantina

Passione, pazienza e tenacia; qual è l’ingrediente segreto per la costruzione di un progetto vincente?

“Tutti noi possiamo fare grandi progetti ma per ottenere grandi risultati è necessario rimanere sempre in prima linea per un rilascio continuo di stimoli, per dare l’esempio e trasmettere tutta la passione. Non so se esiste l’ingrediente segreto credo più in una combinazione vincente di ingredienti. Alla passione, alla pazienza e alla tenacia aggiungerei i sacrifici, l’umiltà e il lavoro di squadra. L’equilibrio di tutti questi “ingredienti” è il segreto per un progetto vincente”.

Qual è il perno attorno cui ruota la tua cucina?

“Rispetto del Gusto (RDG è “Rispetto Del Gusto”, oltre che Riccardo Di Giacinto) è la mia filosofia perché io non mi accontento e cerco sempre di trovare un senso dietro al piatto anche nel suo aspetto ludico. E poi concentrazione del sapore, pulizia del gusto, non cuciniamo per stupire però, se riusciamo ad emozionare con una cosa buona, la sera andiamo a letto felici”.

Come celebri la Primavera nel tuo nuovo menu?

“Celebriamo tutte le stagioni, con la primavera nella fattispecie abbiamo un trionfo della “vigna” e dell’orto e quindi cerchiamo di usare e esaltare i prodotti di questa stagione”.

Ho avuto il piacere di notare una sala protagonista, il ritorno del carrello, il piatto finito ed impiattato dal cameriere: quanto conta la Sala in un Ristorante e perché la cucina non cede alla sala quanto potrebbe?

Responsabilità e protagonismo: al centro dell’attenzione c’è il cameriere che si sostituisce allo Chef. Facciamo tanti discorsi per riportare la sala in auge, ma se noi cuochi continuiamo a fare tutto in cucina è normale che alla sala rimane il ruolo minore. Deve essere invece un lavoro complementare e parallelo, anche perché, oltre ai piatti che possono essere finiti in sala, una cucina che fa ricerca ti permette di arrivare con orgoglio dal cliente”.

La tua è una cucina protagonista, ricca di invenzioni stilistiche, in cui non si smette di sperimentare piatti nuovi ma si mantiene fede ai cavalli di battaglia come il Rocher di Coda alla Vaccinara, il Lamb’urger, il Susci, il Tiramisù di Baccalà e Patate con Lardo di Cinta Senese, quali sono i tuoi piatti 2019?

“Passione soffritto: sedano, carota, cipolla la base della cucina italiana, tutti gli ingredienti proposti in varie consistenze a cui aggiungo un tocco di freschezza, una nota esotica con l’utilizzo del passion fruit”.

“Un altro piatto è il “Bottone al Blu del Monviso, Trombette della Morte e Cioccolato Bianco” che rispecchia la mia personalità con un gioco di contrasti e gusti molto decisi”.

A novembre del 2010 “All’Oro” conquista una stella Michelin, da gennaio 2011 fai parte dei Jeunes Restaurateurs d’Europe; quale di queste due tappe ti rappresenta di più?

“Sono due obiettivi completamente differenti. La conquista della Stella Michelin è stato il primo grande riconoscimento, il primo grande successo paragonabile un po’ agli oscar nel mondo dello spettacolo. E’ un premio che porta visibilità e riconoscibilità a livello internazionale”.

“Entrare a far parte della famiglia JRE è stato un altro grande traguardo, un obiettivo che ci inorgoglisce in egual modo soprattutto perché l’ingresso nell’associazione dei giovani ristoratori d’europa è dettata dal giudizio dei colleghi cuochi e non da giornalisti o ispettori del settore. Anche esser parte di questa famiglia porta visibilità e riconoscibilità ma più a livello nazionale ed europeo”.

A distanza di nove anni dalla prima stella, cosa pensi del metodo di valutazione della Guida Michelin?

“Non ho mai lavorato per le medaglie, stelle, cappelli, forchette e guide, lavoro per il tavolo, per far star bene le persone. Lavoro per creare un ambiente in cucina e in sala armonioso. Per me è importante avere il ristorante pieno, pagare gli stipendi a fine mese e che i conti tornino, poi se la seconda stella arriva brinderemo, in cantina qualche bottiglia buona credo di averla”.

Foto di Copertina: Stefano Segati // @photocredits Andrea Di Lorenzo

Info utili

The H’all Tailor Suite

Via Giuseppe Pisanelli 23/25

Tel: +39 0632110128

Fax: +39 063235501

Sito

E-Mail: info@thehallroma.com

Ristorante All’Oro

Tel: +39 069799 6907

E-mail: info@ristorantealloro.it

Sito

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Dolcetti e dorayaki salati, ricercati tè, birre artigianali e sakè tradizionali, debuttano domani nel quartiere Ostiense in formato take away per la gioia di tutti i “Golosi di Giappone”

Sono tra i dessert Giapponesi più amati, sono preparati come due piccoli pancake uniti tra loro dall’anko, una purea di fagioli rossi azuki; in Italia sono diventati popolari tra le generazioni targate ‘80 grazie al manga Doraemon (l’azzurro gatto spaziale con un “Ciusky sempre in tasca”) che ne mangiava in quantità, ma la leggenda, quella vera, narra che siano stati inventati da un umile contadino il quale, ispirato da un gong dimenticato nella sua dimora da un Samurai, preparò un dolcetto tondo arricchendolo con ciò che aveva in casa; sono i DORAYAKY.

Dorayaki Roma
https://www.grandchef.net/magazine/dorayaki-giapponesi

Pur trattandosi di una preparazione antichissima, la forma attuale a doppio disco farcito fu definita in seguito dal pasticciere Ueno Usagiya nel 1914, così come il suo nome, “Dorayaki”, che deriva proprio dal gong, strumento musicale che in lingua giapponese è chiamato “dora” e da “yaki” significa invece “cucinare”, e che solitamente individua i cibi cucinati su piastra.

Dorayaki, la cottura su piastra

Ma è grazie a Kayoko Tokumoto (nell’immagine di copertina) imprenditrice ed appassionata di cucina che i Dorayaki beduttano domani a Roma in versione dolce originale, salata e fusion, pronti a conquistare i palati capitolini a colpi di fantasiose farciture e gusti. Kayoko infatti, che li prepara fedelmente da dieci anni nella sua pasticceria artistica Mme Kiki (nella regione di Kobe), con il sostegno ed amicizia di Akira Yoshida (di Akira Ramen Bar e Leo’s Gyoza Factory), è riuscita a ricreare un angolo di Giappone nel quartiere Ostiense, rosa come i caratteristici fiori di ciliegio, portando con sé le suggestioni della pasticceria e della gastronomica nipponica.


Domani, 11 Maggio 2019, dalle 12 alle 20, Dorayaki aprirà dunque le porte del suo piccolo laboratorio di prelibatezze giapponesi da portare con sè o da mangiare sul posto inVia del Porto Fluviale 3E. Ci sforziamo di essere migliori ogni giorno perchè ogni scelta che facciamo influisce sulla salute del pianeta, tutto è connesso”, così dice Kayoko la quale, nel rispetto della sostenibilità e per poter far conoscere ed apprezzare i suoi Dorayaki da tutti, ha deciso di prepararli con farina di riso BIO, senza glutine e senza grassi, scegliendo solo ingredienti naturali e di primissima qualità.

Ma la verà novità consiste nella Carta dei Dorayaki che, oltre alle proposte dolci con i tradizionali Azuky o gelato al Tè matcha, Ricotta e Yuzu, Tiramisù e Gocce di cioccolato, annovera il Dorayaky Sandwich: l’unico e primo DORAYAKI salato al mondo. La selezione e le ricette inventate per farcire questi due dischi di soffice pasta (simile ai più noti pancakes) è piuttosto curiosa e va dallo TSUNAMAYO, con tonno, mais, formaggio, insalata, maionese e sesamo bianco al POTESALAMI, con un’insalata giapponese di patate, carote e cipolle, salame e pomodoro; dal VEGGY ETNICO con broccolo, carote, insalata mista e salsa sweet chili all’AVOCADO MISO con Avocado, Miso, philadelphia e edamame; dal ROMANO con prosciutto cotto, scamorza, pomodoro secco ed insalata fino al più tipico KARAAGE con il tradizionale pollo marinato in salsa di soya impanato e fritto, cavolo, pomodoro, maionese, shichimi (anche noto come peperoncino dei sette sapori, ovvero una miscela di spezie tipica delle cucina giapponese).

L’offerta è ampia per questo punto vendita strategico in una delle zone più pop di Roma che, oltre ai dolcetti, tutti monoporzionati in packaging compostabili, offre birre artigianali e sakè tradizionali, cocktail di sakè e ricercati tè: “la coltivazione del nostro tè “CHAKIKI” si concentra nel territorio di Nara – continua K. – una regione in cui la storia e la cultura sono profondamente intrecciata alle foglie di tè che vengono lavorate con metodo naturale”.

Aperto dalla mattina alla sera DORAYAKY vi aspetta anche per un aperitivo con piccolo buffet di insalate, edamame, karaage. Per gli Otaku di turno (appassionati di manga e anime), sappiate che è anche l’unico punto vendita in tutta Europa abilitato ad utilizzare il disegno originale di  DORAEMON per caratterizzare i suoi / vostri Dorayaki. Non vi resta che chiamare gli amici (otaku, semi-otaku o non) e, da domani, andare a provare.

Info utili

DORAYAKI- DOLCEZZE GIAPPONESI

Via Del Porto Fluviale 3E – Roma Ostiense

Telefono: 3208403404

Mail: dorayakisrl.italy@gmail.com

Sito

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Il Raito di Vietri: un rifugio di costiera tra limonaie, azzurri panorami e cucina mediterranea haute couture

Viaggio consigliato: 2/3 Giorni

Maggio. L’aria si fa indulgente e, capace di perdonare ogni anno l’inverno, porta con sé il profumo del mare, quello del vento, la voglia di sabbia sotto le dita, di cieli tersi e di sole abbagliante. Allora si controlla il calendario, si individuano quei due-tre giorni strategici che possano fare da ponte tra noi e l’estate (ancora lontana, ma non troppo) e si impostano le coordinate per assaporare nuovi panorami.

Raito Vietri sul Mare Suite

Scorgere la Costiera (Patrimonio UNESCO dal 1997), precisamente da Vietri sul Mare, prima perla di questa lunga terrazza sull’infinito blu, è sempre un’emozione scenografica; avvistare d’improvviso il profilo della bruna terra che stipula il suo patto di bellezza con l’acqua mediterranea potrebbe provocare ai sensibili una pausa compensatoria del cuore. Per fortuna ci pensa l’Autostrada a guidarci (A3 – uscita Vietri sul Mare), a condurci per mano lungo la collina che, scendendo, guarda la Baia di Salerno degradando fino a toccare il suo mare.

Nella bella Vietri, è possibile ritrovare tutto il fascino di un borgo marinaro che, oltre alla sua piccola Marina, porta avanti un’antica tradizione di inconfondibili ceramiche.

Sovrastata dalla forza del Monte San Liberatore e dominata dalla bella cupola maiolicata della Chiesa madre di San Giovanni Battista, di impianto seicentesco, la bella Vietri annovera tra le frazioni Molina, Albori e Raito affacciate anche loro come balconi sul golfo tra limonaie, macchie di colore, inattese fonti e sentieri nel verde lussureggiante, vallate, promontori, insenature scavate nella meravigliosa cornice dei monti Lattari che accoglie ulivi e vigneti aggrappati alla vulcanica terra.

raito
raito

Proprio qui l’Hotel Raito – Wellness & SPA, del gruppo Ragosta Hotels Collection (www.ragostahotels.com), Vi attende per regalarvi una pausa fuori da tempo con il suo design ricercato e moderno, le sue camere e suite panoramiche, i suoi ristoranti per ogni porzione del giorno per abbandonarsi alle gioie del palato e della vista. E poi SPA, saloni esterni e divani, piscine all’aperto e solarium, trionfi di glicini ed agrumeti: il Raito rappresenta davvero la meta perfetta per un soggiorno all’insegna del benessere e, “a ragion veduta”, location ideale per ricevimenti, eventi privati e sottolineature a tu per tu con l’eccellenza made in Italy.

Qui la cucina completa perfettamente la gamma delle ricercatezze grazie alla creatività e precisione d’esecuzione dell’Executive Chef Francesco Russo, classe ’79, originario della provincia di Salerno e amante della sua rigogliosa terra.

Nei suoi undici anni di fedele esperienza chef Russo ha cucito un’offerta gastronomica che vuole farsi moderna interprete di tradizioni del territorio partendo dalla rilettura di ricette tipiche campane in modo energico ed emozionale tramite l’utilizzo di materie ottime prime di questo fortunato tratto di mondo e tecniche volte a portare in tavola la memorabile intensità dei sapori orientati a sud.

Da piccolo non giocavo in cucina, ho imparato a mangiare a casa e ho maturato nel tempo la passione per questa professione spinto dalla mia famiglia che scorgeva in me del potenziale. Io volevo fare l’orafo, perchè mi piacciono la preziosità delle piccole cose, i dettagli, e questa attenzione la riporto nei miei piatti”. Si racconta così chef Russo che, attingendo alle sue passioni di musica e di arte, interpreta i piatti più famosi della tradizione campana con uno sguardo sempre attento alla bellezza cromatica della portata.

Come sei approdato al Raito?

“Dopo l’Istituto Alberghiero la mia gavetta è stata lunga. Ho cominciato con le stagioni estive partendo dal basso, pelando le patate. Nel mio percorso sono state due le tappe fondamentali: lo stage al San Domenico di Imola, 2 stelle Michelin, con lo Chef Valentino Marcattilii, e quello alla Certosa di San Giacomo (Lauro, AV) che in quel periodo aveva la consulenza di Gianfranco Vissani, dal quale ho imparato a conoscere approfonditamente la materia prima, a trattarla, a fissare i parametri di una cucina fatta di tradizione, fondi e cotture lente, per poi farne bagaglio. Qui sono arrivato tramite una concatenazione di eventi, colpito da questo spettacolo ho preso le redini di un progetto performante che si è rivelato un idillio che dura da 11 anni”.

In questi 11 anni come è cambiata la tua cucina?

Lo dico sempre: io sono uno “chef delle 2 T”, ovvero Tradizione e Territorio. Nella mia “Sfogliatella”, per capirci, è racchiuso un cuore di Parmigiana di Melanzane preparata seguendo la ricetta tradizionale al forno, come a casa. La “Sfogliatella” è un viaggio a ritroso nei sapori antichi che diventano contemporanei in abbinamento al pesce, alla zuppetta di moscardini alla Luciana in questo caso, e che rappresenta l’essenza della mia visione culinaria, la quale si è fatta via via più raffinata seguendo la mission della struttura e ritagliata su una clientela italiana attenta quanto su quella curiosa ed internazionale. 

Francesco Russo nel suo menù propone piatti icona come “Sfogliatella salata farcita di parmigiana di melanzane su ragu di moscardini alla Luciana” dove sigilla in una sola portata tre diverse tradizioni e dove la generosa bontà di ciascuna delle componenti del piatto – la croccantezza della sfogliatella, la scioglievolezza del ripieno di parmigiana, la densità della zuppetta e la consistenza dei moscardini – fa rimpiangere la possibilità di non poter assaporare una realizzazione alla volta.

Il “Risotto al Pomo d‘Oro” è un vero e proprio elogio ai pomodori Corbarino e San Marzano, peculiari coltivazioni del Sud Italia. Dall’acqua, nella quale cuoce il risotto, alla polvere di pomodoro, passando per la foglia d’oro (citazione marchesiana), questa è una portata protagonista nella sua semplicità, raffinata nel suo gioco di sapori e amidi, dolcezza e acidità, sapori netti e carichi di ricordi, capaci di far tornare indietro con la memoria alla tavola di casa e di veleggiare tra le potenzialità del rosso frutto che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere e di intendere la cucina italiana.


Nella terra della pasta, come mai proponi un risotto per celebrare la tua regione?

Nonostante non ci sia una grande tradizione di risotti al sud, io spesso lo propongo nei miei menù. Il “Risotto al Pomo d’Oro” è un piatto sul quale abbiamo riflettuto tanto, perchè volevamo concentrare l’essenza del pomodoro Corbarino e del San Marzano. Il risultato? L’esclusività dei sapori antichi. Il riso, del quale sono un grande estimatore, mi affascina per le sue potenzialità tanto da inserirlo nella triade di ingredienti che caratterizzano la mia cucina assieme ai crostacei, crudi o cotti, e Sua Maestà olio EVO.

Il mio aglio olio e peperoncino”, molto ben realizzato, è infatti un altro piatto di chef Russo. Oltre alla sua semplice descrizione, annovera tarallo grattugiato e colatura di alici di Cetara che arricchiscono di molto la gamma dei sapori. Sempre sul tema EVO il “baccalà in oliocottura con scarola riccia e salsa di papaccelle” si confronta con uno dei sovrani della cucina di queste parti, il baccalà, cotto in olio a 85°C per esaltare tutta la piacevolezza delle carni bianche e guarnito con la tradizionale, qui sublimata, “insalata di rinforzo”, disponendo cromaticamente qua e là petali di patata viola, riccioli di carote, ciuffi di scarola riccia e gocce di un’intensa crema di papaccelle (la papaccella napoletana è un peperone dolce di piccole dimensioni, dai frutti schiacciati e costoluti).

Chiude la Delizia al Limone destrutturata, reinventata e chiusa in una bolla di zucchero. Buona l’offerta di vini del territorio, bollicine e champagne che annovera le migliori cantine della zona. Degni di nota anche i cocktail e aperitivi serviti sia nei saloni interni ed esterni con vista senza fiato, sia al ristorante “Il Golfo” sia all“ExLounge Bar & Grill”, dove di sovente si organizzano impeccabili matrimoni ed eventi speciali in un’ambientazione con avanzati supporti hi-tech e la preziosa supervisione e presenza del direttore Massimiliano Longhitano, siciliano, sorridente e perfetto nel suo ruolo.


Completa l’offerta di lusso e gusto il centro benessere ExPure SPA lingresso con percorso SPA ha un costo di 35€ per gli ospiti esterni – che annovera una piscina coperta riscaldata, una sauna, un bagno turco, lettini sensoriali, idromassaggio, area relax, solarium, parrucchiere e cabine massaggi per trattamenti personalizzati e programmi ad hoc realizzati da uno staff specializzato. Dal Raito è facile visitare l’intera Costiera e raggiungere luoghi d’interesse turistico, storico e archeologico come Amalfi, Positano, Pompei ed Ercolano.

Ragosta Hotels Collection, oltre al Raito Wellness&SPA, offre 4 prestigiose strutture a 5 stelle in Italia: Palazzo Montemartini Rome, A Radisson Collection Hotel a Roma, 82 camere e suite accanto alle Terme di Diocleziano, La Plage Resort a Taormina, 59 camere e suite proprio di fronte all’Isola Bella, l’Hotel Raito, 77 camere, e il Relais Paradiso, 22 camere, entrambi in Costiera Amalfitana, rappresentano realtà affermate nel settore, con uno stile unico ed un design contemporaneo.

Info utili

Hotel Raito

Via Nuova Raito 9 – 84019 Vietri sul Mare (SA)

Tel: 089.7634 111

Sito

Mail: info@hotelraito.it, reservations@hotelraito.it

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Food innovator, Zoologo sostenibile, Apicoltore urbano, Sushiman, Mastro Birraio, Guida Enogastronomica: dalla tavola nuovi stimoli e nuovi profili professionali che permettono di unire l’utile al dilettevole abbracciando nuove tendenze e nuove esigenze.

“Il cibo nutre, le bevande dissetano, ma cibo e bevande sono anche molto altro. Sono un modo per esprimere appartenenze, identità, relazioni. Sono strumento di socialità e di comunicazione. (…) I Racconti sulla sulla tavola hanno tanto da dire perchè è la tavola stessa a raccontare. Racconta la fame e i modi in cui l’uomo ha cercato di trasformarla in occasione del piacere. Racconta l’economia, la politica, i rapporti sociali. Racconta i paradigmi intellettuali, filosofici, religiosi di una società. La tavola racconta il mondo.”

Così scrive Massimo Montanari*, studioso di primo piano di storia dell’alimentazione nonché straordinario narratore, nel suo “I racconti della tavola”*, una fluida raccolta di storie, vere e inventate, che offrono chiavi di accesso su epoche diverse per conoscere la cultura di riferimento che li produsse.

E ciò mi ha fatto pensare a questo nostro grande sconvolgimento contemporaneo, alla nostra società zoppicante che muta vorticosamente, offuscando o peggio, spazzando spesso via, quei punti di riferimento necessari alla sana costruzione umana, lasciando dietro di sé poche ancore, tra le quali appunto e per fortuna, la tavola.

E siccome dietro a ogni crisi si cela anche un’opportunità e gli italiani formano un popolo, quando vuole, ancora pieno di risorse (oltre a possedere le ricette della cultura culinaria più celebre al mondo) ecco che dalla tavola nascono nuovi stimoli, nuove idee imprenditoriali e nuovi profili professionali che permettono di unire l’utile al dilettevole abbracciando nuove tendenze e nuove esigenze.

In questo panorama la scelta di formarsi verticalmente in un settore specifico non è soltanto utile per remare a favore di una ripresa economica e produttiva del nostro Paese, ma anche un modo per aggredire la disoccupazione, in primis quella giovanile e, perchè no, per reinventarsi talenti “over 50/60”, forti di saperi e tradizioni fatte per essere tramandate.

Complici le nostre origini italiche e il piacere connaturato per la buona tavola, il popolo italiano dunque intesse trame sempre più fitte con cibo, vino, birra, eccellenze del territorio, turismo enogastronomico, agricolture sostenibili, inventando nuove dinamiche, nuovi format di fruizione enogastronomica, nuove tendenze e nuovi approcci all’estetica del cibo per il settore che, da un punto di vista occupazionale, schiva la crisi offrendo sempre nuove contaminazioni tra diverse culture e filosofie dei sapori, tutto da trasformare in un fiorente business.

Se gli addetti alla ristorazione, e il personale alberghiero in genere, si posizionano sul podio della classifica delle professioni più ricercate per il 2018 in Italia – e i dati lasciano presagire che sarà così anche per il futuro – e gli Istituti Agrari hanno registravano già nel 2014 un aumento di iscrizioni del 39% rispetto al 2007, ecco fiorire una rosa di professioni degne di nota.

Oltre ai mestieri più tradizionali, ne abbiamo scovati 10 emergenti che trovano sbocco nei settori dell’agricoltura, del manifatturiero, nell’ambito della ricerca e sviluppo, dell’amministrazione e dei servizi, che contribuiscono in maniera incisiva a preservare o restaurare la qualità ambientale e che consentono di esprimere lo spirito creativo dell’attività culinaria in più e più modi. Perché parlare di Food & Beverage significa occuparsi del patrimonio agricolo, ambientale ed enogastronomico del nostro Paese, nonché di un settore (quello agroalimentare) che rappresenta una delle eccellenze globalmente riconosciute del Made in Italy.

1. FOOD BLOGGER

I blog dedicati all’enogastronomia sono una fonte di informazioni sempre fresche, consigli, suggerimenti e must do. Proprio per questo motivo i food blogger sono diventate tra le figure professionali più ricercate per spingere delle attività in fase di start-up e promuovere ristoranti e/o bar. La passione per il buon cibo, unita a competenze culinarie e di web copywriting, sono requisiti indispensabili per avere successo come Food Blogger, nonché un occhio sempre più attento alle questioni deontologiche legate al giornalismo.

2. FOOD INFLUENCER

Si chiamano influencer, sono utenti social di professione, hanno profili con milioni di follower e sono capaci di influenzare i consumi degli utenti solo con un post. Sono figli del mondo dei social network, che ha creato delle figure ibride che si trovano nel mezzo dello standard informativo. Il loro principale compito è creare contenuti sulla propria pagina che sponsorizzino i prodotti di un brand. Anche interagire con i propri follower, in modo da costruire rapporti solidi e organici, creando quello che viene chiamato in gergo tecnico l’engagement. Solo così i seguaci potranno sentirsi inclusi nella vita dell’influencer, stimarlo e quindi seguirne i consigli.

3. SOMMELIER 2.0

Il sommelier 2.0 è un sommelier classico al quale vengono aggiunte competenze in ambito digital: a lui non si richiede solo di abbinare il miglior vino a una specifica portata, ma anche la gestione della carta dei vini e, in alcuni casi, la promozione dei prodotti vinicoli. Il sommelier 2.0, dunque, è una figura completa, contemporanea e tecnica, con ottime capacità di management, marketing e comunicazione.

4. MASTRO BIRRAIO

Photcredits: Markus Spiske

Un mastro birraio deve saper apprendere l’arte di miscelare malto, lievito, luppolo all’acqua, in modo da ottenere un buon gusto oltre alla giusta effervescenza. Soltanto nella nostra Penisola nell’ultimo decennio sono nati oltre 800 microbirrifici e 6 malterie. Per tenere il passo di questa crescita e del continuo sviluppo tecnologico le aziende cercano personale altamente qualificato e costantemente aggiornato. E se al momento ancora non è richiesto un particolare titolo di studio per diventare birraio, è anche vero che fare e degustare la birra è un’arte che non lascia spazio all’improvvisazione, per questo in Italia è recentemente nato il centro di ricerca italiano sulla birra (CERB) che promuove la ricerca, la sperimentazione e le analisi nel settore della birra. Inoltre nel 2008 l’Università di Perugia, ha attivato un master universitario in “Tecnologie birraie”.

5. FOOD INNOVATOR

“Il Food innovator è un professionista che lavora con i reparti ricerca e sviluppo delle grandi aziende. Le attività riguardano in particolare: inventare nuovi prodotti gastronomici e inventare nuove forme di  consumo, ad esempio per quelli che esistono già. (…) Per poter esercitare la professione occorre avere una Laurea e aver frequentato corsi di studio ad hoc (ad esempio master in Food innovation e/o management*”.

6. PERSONAL TRAINER DELL’ORTO

Photo credits: Agence producteurs locaux Damien Kuhn

“Il Personal trainer dell’orto è un professionista del verde che offre la propria consulenza e tutoraggio a domicilio a coloro che vogliono coltivarsi l’orto. Di solito si tratta di ex imprenditori agricoli, agronomi, ortovivaisti o appassionati che si trasformano in consulenti. La attività riguardano in particolare insegnare passo dopo passo come diventare orticoltori esperti, aiutando al tempo stesso i “contadini urbani” nella preparazione, nella piantumazione, nella gestione e infine nella raccolta”.

7. ZOONOMO SOSTENIBILE

“Lo Zoonomo sostenibile è un professionista che opera in tutti i campi della zootecnia. Si occupa della pianificazione aziendale e industriale fino alla trasformazione delle carni, della formulazione delle razioni e dei mangimi, delle attività di estimo, di assistenza tecnica e fiscale all’interno dell’impresa. Fra i compiti che la norma gli assegna ci sono le attività di selezione e miglioramento genetico, la conservazione e valorizzazione della biodiversità animale.”

8. PASTRY CHEF

Tra quelle legate all’ambito della ristorazione, il pasticcere rimane una delle figure professionali più richieste in Italia e all’estero: pasticcere di laboratorio, chef pasticcere in ristorante o panificatore, questa è un’attività che consente ottimi guadagni e un’elevata specializzazione. Dal cake designer al maestro del cioccolato, dall’esperto di dolci vegani al professionista gelatiere: le skills richieste sono creatività, tecnica e precisione.

9. SUSHIMAN

Photocredits: @Epicurrence

Il sushi si è ormai ampiamente diffuso anche in Europa e questo è un dato di fatto. La presenza di un esperto di sushi, quindi, è sempre più richiesta non solo in ristoranti giapponesi e sushi bar, ma anche per attività di catering o su navi da crociera. Rapidità, estetica, cura dei dettagli e tecnica impeccabile: tantissimi i corsi di formazione a riguardo necessari a preparare, in tutta sicurezza e igiene, uno dei piatti più semplici, ma al contempo rischiosi, della cucina nipponica.

10. PERSONAL CHEF & HOME RESTAURANT

Chef a domicilio: un lavoro autonomo che sfugge alle dinamiche stressanti delle cucine dei ristoranti. Lo chef a domicilio esercita la propria professionalità in abitazioni private, location di lusso o ambasciate. Opera con la propria strumentazione da cucina e si fa supportare, in genere, da un team di collaboratori. Soddisfazione e indipendenza sono le principali note positive di questa professione per tutte le età (per approfondimenti: www.corriere.it).

11. GUIDA TURISTICA ENOGASTRONOMICA

Visitare un paese alla scoperta dei suoi prodotti tipici e delle tradizioni enogastronomiche è una cosa che fanno in molti. Lo specialista in turismo enogastronomico, non lo fa per piacere ma per professione: organizza viaggi sulla base di tappe specifiche che prevedono degustazioni di cibo e vini locali, visite in aziende agricole o vinicole, predispone corsi di cucina locale, immagina itinerari e percorsi volti a svelare le bellezze e le bontà di un territorio. Una professione stimolante, vivace, appagante per le relazioni umane, con la costante di una valigia sempre pronta alla porta.

12. APICOLTORE URBANO

L’attività dell’apicoltore è un’attività autonoma (individuale) oppure può operare all’interno di una cooperativa. il lavoro è particolarmente sensibile agli aspetti ambientali, soprattutto per quanto riguarda la dislocazione delle arnie in funzione della flora. (…) L’apicoltura urbana nasce per contrastare l’inesorabile moria delle api, favorire l’impollinazione, tenere sotto osservazione l’inquinamento, educare le giovani generazioni alla cura dell’ambiente”.

Fonti:

Massimo Montanari insegna storia medievale e storia dell’alimentazione all’Università di Bologna, dove è anche direttore del Master “Storia e cultura dell’alimentazione”.

I racconti della tavola, di Massimo Montanari, Laterza Editore, 18 euro, 232 pagine. https://www.lafeltrinelli.it/libri/massimo-montanari/i-racconti-tavola/9788858114032

I mestieri del Food&Beverage. Fra tradizione e figure professionali emergenti (Guerini Next), a cura di Gi Group Academy


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La nuova Dimora Gourmet di uno degli Chef più amati della Capitale, Francesco Apreda e le coordinate di gusto dei menu del suo nuovo “Idylio” al The Pantheon Iconic Rome Hotel

Ha aperto ufficialmente ieri, e lo ha fatto chiaramente in grande stile, in una delle porzioni più dense di fascino di Roma: il Pantheon. Lui è uno degli chef più amati della Capitale, tanta è stata l’attesa, nutrita dalla curiosità, per la sua nuova dimora gastronomica, tante sono state le ipotesi, fino a riscoprire uno Chef Apreda raggiante nel suo nuovo “Idylio”, ricercato ristorante del The Pantheon Iconic Rome Hotel, prestigioso 5 stelle tra le pareti del cuore capitolino più suggestivo.

Punta di diamante del Gruppo Tridente Collectioncorporate che vede al timone i fratelli Emidio e Fabrizio Pacini e Andrea Girolami, e per la quale chef Apreda ricoprirà il ruolo di Chef AmbassadorIdylio è un ricercato gioiello di soli esclusivi 25 coperti, aperto solo a cena, dal martedì al sabato.

Studiato nei minimi particolari, lo spazio si muove tra suggestioni orientali, stalattiti di cristallo, giochi di specchi e riflessi voluti per offrire un’esperienza enogastronomica completa, in grado di lasciare il segno. Al fianco di Apreda, in cucina, una brigata di 11 persone, tra i quali l’Head Chef Francesco Focaccia, suo storico secondo, il Sous Chef Luca Caporilli e la giovane ma già affermata Pastry Chef Edvige Simoncelli. Mentre a dirigere i lavori in sala è Alessandro D’Andrea.

idylio francesco apreda
Foto: Sara de Bellis

“L’emozione e gli stimoli per l’avvio di questo nuovo progetto – sottolinea lo chef Francesco Apredasono fortissimi. Si tratta di un momento di svolta della mia carriera e di un nuovo punto di inizio del mio percorso professionale e umano. Il feeling con la proprietà e con tutta la nuova squadra è totale e sono convinto che questo rappresenterà il plus necessario per offrire il massimo ai nostri ospiti. L’obiettivo è quello di uscire dagli schemi, di sorprendere, ma al tempo stesso di far sentire chiunque a proprio agio: una ricerca del giusto equilibrio tra comfort e fantasia.”

Tre sono i menu degustazioneInside The Pantheon; Iconic Signature at the Pantheon; Seasons at the Pantheon; – messi a punto da una delle firme campane più interessanti della cucina italiana contemporanea, per dare forma e sapore ad un percorso evolutivo estremamente personale che si sveglia a Napoli ma ha fatto tappa a Roma, Londra, Tokyo, Mumbai e New Delhi (rispettivamente le sue origini, il suo luogo d’adozione e le tante esperienze cosmopolite) che hanno fissato le inusuali coordinate gastronomiche fortemente peculiari della ricca cucina di Francesco Apreda fatta di ricerca mai doma, puntuale tecnica, creatività, bellezza, forma e contenuto.

Uno stile unico il suo, sintesi perfetta tra i sapori mediterranei ed influenze asiatiche, contraddistinto dall’uso puntuale e decontestualizzato delle spezie che fanno da filo conduttore di ogni piatto dei tre menu degustazioni: inside The Pantheon, Iconic Signature at the Pantheon e Seasons at the Pantheon.

Foto: Alberto Blasetti

Il primo menu, inside The Pantheon, è un omaggio alla Città Eterna, con portate iconiche della sua cucina come il Risotto Cacio Pepi e Sesami, il Pollo ai Peperoni e la Vignarola in Viaggio: un inno alla primavera con carciofi, piselli, fave, asparagi, taccole, cipollotto, cotte nel wok ed ingentilite dal latte di cocco e spezie che descrivono un’intrigante zuppa romana, familiare quanto esotica.

idylio francesco apreda
Foto: Alberto Blasetti

Nel secondo, Iconic Signature at the Pantheon, si trovano i grandi classici di Apreda, apprezzati e ricercati dalla gourmanderie internazionale, come il Foie Gras, Frutta Secca e Spezie, i Cappellotti di Parmigiano e Brodo di Tonno o il Piccione alla Brace con Mango e Pomodoro; un viaggio nella storia personale di Francesco, le sue radici portate nella sua nuova dimora.

Foto: Sara de Bellis

Seasons al the Pantheon non è solo, come facilmente intuibile dal nome, il percorso dove vincono stagionalità e materia prima, ma rappresenta anche il banco di prova dello chef, l’avanguardia, la voglia di sperimentare: ecco dunque piatti come il Carpaccio di Manzo, Ricciola e Asparagi (carne wagyu marinata con estratto di sake e shabu freddo servita accanto ad un carpaccio di ricciola condita con vinaigrette di ricciola); gli Ziti al Cipollotto Rosso, Sgombro e Foie Gras e il Petto di Anatra, Scarola e Scampi.

Non manca ovviamente la possibilità di cucirsi il proprio menu su misura, scegliendo da un’ampia carta dove sono presenti tutte le portate dei tre degustazione e avvalendosi dei preziosi consigli della sala. In cantina è possibile trovare le migliori referenze vinicole nazionali e internazionali: circa 600 etichette dai terroir più rappresentativi della Penisola, con le aziende che hanno fatto e continuano a fare la storia enologica del nostro Paese, ma anche con piccoli produttori e chicche meno note dall’invidiabile rapporto qualità/prezzo. Presente inoltre una cospicua sezione dedicata alla Francia, con la Borgogna a ricoprire un ruolo da protagonista, e una parte dedicata ai vini provenienti dal resto del mondo. C’è infine la possibilità di lasciarsi sorprendere dalla mixology, con cocktail studiati ad hoc e in sintonia con la cucina “speziale” firmata Apreda.

idylio
Foto: Alberto Blasetti

“Per il Gruppo Tridente Collection – spiega Emidio PaciniIdylio rappresenta il passaggio evolutivo di un percorso iniziato nel 2013. Tra i nostri obiettivi c’è quello di creare format di ristorazione che siano dei fiori all’occhiello per le nostre diverse strutture. Per questo abbiamo affidato a Francesco Apreda, con il quale si è stabilita un’immediata sintonia, non solo le chiavi di Idylio ma anche il ruolo di Chef Ambassador del gruppo. Siamo convinti che l’hotellerie debba essere il biglietto da visita di una capitale mondiale come Roma e che la proposta gastronomica sia necessariamente una parte fondamentale del tutto. Per questo, insieme a Francesco, lavoreremo per dare a ognuno dei nostri alberghi un’identità culinaria, avendo un minimo comune denominatore di altissima qualità”.

Foto: Alberto Blasetti

Info utili

“Idylio” di Francesco Apreda

The Pantheon – Iconic Rome Hotel

via di S. Chiara 4/A, Roma

Sito

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Se ancora non le avete ordinate vi rimane qualche giorno per fare bella figura sulla tavola di Pasqua 2019

Sono belle, profumate, seducenti, fragranti. Sanno di Primavera e di cose buone. Vengono preparate con farine selezionate e burri pregiati, cui si aggiunge ogni anno l’estro creativo di grandi maestri pasticceri italiani intenti a creare veri capolavori d’appagamento sensoriale.

Sono le colombe artigianali, quelle che pregusti già dalla ricercata confezione, quelle che quando le scarti ti fanno dire wow, quelle che al primo morso ti fanno già desiderare la spessa e scioglievole fetta successiva, anticipando strategicamente la mossa del commensale\familiare seduto accanto.

Per ovvi motivi credo sia impossibile riuscire a contenere in un articolo tutte le colombe meritevoli di menzione, anche perchè, vista la bravura dei nostri Pastry Chef con i panettoni, è difficile che dallo stesso laboratorio, data la vicinanza dell’impasto di base, esca fuori una “cattiva colomba”. Quindi, senza scomodare i mostri sacri della della pasticceria nazionale, come l’indiscusso Iginio Massari ed icone di produzione pasquale quali Vincenzo Tiri, Alfonso Pepe, Salvatore De Riso, Pasquale Marigliano, Andrea Tortora ed altri big della pasticceria, vi propongo una selezione da Nord a Sud di 8 colombe, tra note e meno note, da prendere “al volo” per questa Pasqua 2019.

Olivieri 1882 – Arzignano – Vicenza (Veneto)

colombe

È la colomba di Pasqua più buona d’Italia secondo “Gambero Rosso”. E’ vicentina – per la precisione made in Arzignano – è protetta da un bellissimo packaging black and white, è artigianale al 100% e la sua lavorazione dura quattro giorni. E’ la dolce e snella figlia alata della Pasticceria Olivieri 1882, attività artigianale a carattere familiare che oggi vede Nicola Olivieri, trentenne, talentuoso e lavoratore instancabile, mandare avanti ogni giorno assieme al suo numeroso staff un lavoro meticoloso distinto da una passione sempre rivolta al miglioramento, dall’attenzione per il sapore alla meticolosa ricerca delle migliori materie prime. Olivieri 1882 da più di 130 anni lavora in modo artigianale, seguendo con pazienza ogni processo.

Ogni Colomba viene lavorata singolarmente a mano, dal rinfresco del lievito madre alla pirlatura, per garantire la massima qualità. La sua creazione di Pasqua è un piccolo capolavoro di bontà, bellezza, con un profumo di burro buono, di vaniglia e note agrumate pur in assenza di canditi; un bouquet di profumi caratteristici, gentili e rassicuranti. La trama è setosa e morbida, l’impasto soffice, scioglievole. Una gusto elegante e riconoscibile, ricco ed aromatico, protetto e ricoperto da una glassa chiara e croccante, nove volte più ricca di mandorle pelate, zuccherini, nocciole e pinoli rispetto alle altre “colombe comuni”. Una colomba da ricordare e condividere, gioiosa espressione di festa ad ogni prezioso assaggio.

Olivieri 1882

Via Alberti, 13 / 36071 Arzignano (VI)

Tel: 0444 670344 / info@olivieri1882.com

Loison – Pasticceri dal 19382 – Motta – Vicenza (Veneto)

(a quattro mani con “il Conte” – Giuseppe Garozzo Zannini Quirini)

 

Se è vero che “l’abito non fa il monaco”, questo  è uno dei rari casi in cui confezioni raffinate racchiudono prodotti dolciari tradizionali buoni e belli quanto il loro  prezioso scrigno. La grande bellezza del catalogo Primavera/Pasqua 2019 è da attribuire alla creatività di Sonia Pilla, moglie di Dario Loison, la firma che contraddistingue tutte le creazioni Loison e che da sempre, con la sua particolare sensibilità, crea un sogno attorno al mondo delle Colombe Loison, quest’anno attraverso le opere che ci ha lasciato Peter Carl Fabergé. Oltre la forma anche il contenuto è nobile, preparato con uova fresche, latte, burro e panna freschissimi, fior di farina, mandorle e nocciole italiane, zucchero di prima scelta e sale marino integrale di Cervia ai quali Loison abbina solo ingredienti selezionatissimi, tra cui 3 Presidi Slow Food: Vaniglia Mananara del Madagascar, Mandarino tardivo di Ciaculli, Chinotto di Savona e le Nocciole Piemonte IGP.

Nel caso specifico (oltre alla straordinaria collezione di sapori consultabile qui) la colomba al mandarino tardivo è un’emozione sensoriale di assoluto valore capace di far inseguire tra loro piacevolezza e soddisfazione, un morso dopo l’altro. Alla vista risulta di colore omogeneo e dorato sia all’esterno che all’interno. Omogenea risulta anche l’alveolatura mentre l’impasto è ben strutturato, ricco e fresco. Al naso offre sensazione complesse. La fragranza aromatica ha molteplici aspetti; l’intensità delle note di burro, di lievito naturale, di frutta candita (mandarino) arrivano nitide conservando persistenza e profondità. Al gusto arriva la parte più gioiosa ma difficile da interpretare perché racchiude sia il piacere sia l’emozione dell’assaggio. In questa fase va analizzata la complessità della struttura e la sua dolcezza; l’intensità e la piacevolezza dell’aroma del burro, del lievito naturale, della frutta candita e della vaniglia; l’agrume dolce e delicato tipico del mandarino tardivo creano un interessantissimo equilibrio dei gusti. A stupire, persistenza e rotondità del gusto che lasciano stregati fin dal primo assaggio. La fortuna vuole inoltre che Loison abbia preso l’impegno di destagionalizzare i dolci legati alle festività, come Panettone e Colomba, mostrandone i possibili usi in ricette dolci e salate realizzate con l’aiuto di famosi chef.  Per conoscere nei dettagli l’eccellenza della produzione Loison per la Pasqua 2019, conoscere i punti vendita sul territorio e consultare il catalogo dei prodotti è possibile collegarsi al sito web dell’azienda.

Loison

Strada Statale Pasubio, 6 / Motta

Tel: 0444 557844

Pasticceria Gruè – Roma (Lazio)

Giovane espressione di pasticceria nel panorama romano, la Pasticceria Grué di Marta Boccanera e Felice Venanzi apre le porte nel 2014 a Roma, in viale Regina Margherita 95-99. Forte passione per l’arte dolciaria, grande professionalità, anni di studi e attenzione ai minimi dettagli sono i punti forza dell’insegna. Nonostante la giovane età, Gruè ha compiuto una rapida ascesa fino a diventare uno dei punti di riferimento dell’alta pasticceria Capitolina, grazie anche ai riconoscimenti ricevuti a livello nazionale come “Migliori Pasticceri Emergenti Italiani 2017” e “Miglior Pasticceria per la Stampa Estera 2019”, entrambi ricevuti dal Gambero Rosso.  A marzo di quest’anno Felice Venanzi è entrato a far parte dei membri della prestigiosa AMPI (Accademia Maestri Pasticceri Italiani) presieduta dai maestri Gino Fabbri e Iginio Massari a marzo di quest’anno. Per le loro colombe gli impasti vengono realizzati con lievito madre, farina, zucchero, tuorli, acqua, burro, vaniglia, sale, malto, miele, frutta, un mix della vaniglia Tahiti e quella Madagascar.

Tra le tipologie spiccano quella “Cioccolato al caramello e zenzero candito”, la Primavera, realizzata con mele candite e con il cioccolato di Valrhona bianco allo yuzu e al lampone, dove l’acidità e la dolcezza si sposano perfettamente in un impasto morbido, elastico e leggermente umido; e la Trilogia, La colomba più “golosa,” realizzata con 3 tipi di cioccolato Valrhona (bianco, latte e fondente), ricca e “cremosa”, perfetta per celebrare un giorno di festa.

Gruè

Viale Regina Margherita, 95/99 Roma

Tel: 06 841 2220 / info@gruepasticceria.it

Antico Forno Roscioli – Roma (Lazio)

Impossibile per Roma non citare la colomba di Roscioli, che fa scuola a sè visto che essendo di vocazione un forno, la colomba artigianale spicca il suo rituale volo da un nido di pane. L’Antico Forno Roscioli si inserisce in una tradizione lontana che è datata 1824 e che vede la famiglia Roscioli dedicarsi a questa insegna da tre generazioni con picchi di eccellenza intatta nel tempo che vanno dalla pizza bianca e rossa, bassa e scrocchiarella alla carbonara codificata alla perfezione, alla selezione di pani, passando per un maritozzo senza paragoni.

Ma torniamo alla colomba che qui viene preparata con materie prime di qualità e confezionata con cura estetica particolare. Sempre buonissima nella sua versione classica, con una pasta liscia, alveolata, umida, soffice ed una copertura spessa e golosa, Roscioli la propone anche versioni originali, come quella per golosi doc “pere e cioccolato”, quella con con le “mele rosa dei monti sibillini e crema alla cannella”, oltre a casatielli e pastiere top level.

Antico Forno Roscioli

Via dei Chiavari, 34 / Roma

Tel: 06 686 4045

Angelo di Masso – Scanno – L’Aquila (Abruzzo)

Solo lievito madre, ingredienti selezionati, burro di latteria da panna francese e piemontese, vaniglia Tahiti, miele abruzzese, farina italiana, arancia siciliana candita, uova fresche. L’obiettivo? Massima qualità, massimo gusto e massimo aroma. Angelo di Masso, Re delle Pasticceria di montagna, che porta avanti con fierezza e talento mai domo la Pasticceria Di Masso da tre generazioni, produce ogni anno per Pasqua tre colombe lievitate – Tradizionale, Frutti di bosco, Lampone e mosto cotto – ed una a “massa montata” – la stessa del celebre Pan dell’orso, fiore all’occhiello della Maison Di Masso – che annovera un impasto di nocciole piemontesi, miele abruzzese, finemente ricoperta di cioccolato fondente 70% (e che, una volta aperta, non resiste sulla tavola per più di una decina di minuti). Vengono tutte realizzate secondo l’antico procedimento, con oltre 40 ore di lievitazione.

Oltre a quella “Pan dell’Orso”, che fa gara a sé, anche la colomba al “Lampone e mosto cotto”, da ricetta originale, vola alta ed indisturbata da circa dieci anni e vanta una fragranza aromatica con un retrogusto leggermente amaro, molto particolare, che si sposa bene con l’acidità e la freschezza del lampone. Angelo di Masso, come un libro aperto, produce dolci ispirati alla tradizione più autentica lavorati esclusivamente con ingredienti naturali di prima qualità. Dentro ogni sua colomba non ci sono ingredienti artefatti, ma solo naturali, perché la qualità sia visibile nel prodotto e perché ogni assaggio rappresenti la voglia di tornare a Scanno per assaporare dal vivo l’Abruzzo più dolce, forte e gentile.

Pan dell’Orso

Viale del Lago, 20 – 67038 Scanno (AQ)

Tel: 0864 74475 / Ordini in 2-3 giorni

Francesco Guida – Vico Equense – Napoli (Campania)

Figlio d’arte, Francesco Guida, eredita dal padre Giuseppe Guida (“Peppe” per chi lo conosce, Chef e patron di Antica Osteria Nonna Rosa – 1 stella Michelin – Vico Equense) l’amore per le cose fatte “a mestiere”, per la genuinità, per la panificazione, per la maturazione degli impasti – vedasi “il casatiello”, anche nella versione Cacio e Pepe – e per i dolci della tradizione, come la pastiera ed i tortarelli.

colomba

La sua è una colomba memorabile, di apparente semplicità, alla quale sono personalmente legata, e che quest’anno, oltre alla tradizionale, generosa e scioglievole, nonchè ricoperta da una glassa golosa di mandorle piatte e zucchero, propone in versione “Amarena e Cioccolato” e “Mandarino e Pasta di Mandorle”, lì dove il mandarino diventa il candito protagonista e la pasta di mandorle è lavorata in piccoli agglomerati di energico sapore all’interno di un accogliente, elastico e soffice impasto aromatizzato agli agrumi. Una vera profumata leccornia per gli amanti dello stile campano amabilmente reintepretato da un fuoriclasse.

Antica Osteria Nonna Rosa

Via privata Bonea, 4 / Vico Equense (NA)

Tel. 081 8799055

Mamma Grazia – Nocera – Sa (Campania)

colombe

Era il lontano 1930 quando Giuseppe Bevilacqua, “Capolega dei panettieri e pasticcieri” apre a Nocera Superiore dando inizio ad una lunga discendenza di Maestri Pasticcieri. Antesignano per quei tempi nel campo della qualità, Giuseppe Bevilacqua si spingeva sino a Napoli per acquistare le migliori farine e il burro più buono da pastori locali per dare vita a dolci e torte che facevano accorrere clienti da tutta la provincia di Salerno. Oggi sono il nipote Giuseppe Bevilacqua e il figlio Pasquale a portare avanti questa tradizione fatta di ricerca di materie prime eccellenti unite alla più moderne attrezzature e ad una raffinata tecnica. Per le Colombe, per esempio, partono dal baccello di vaniglia acquistano profumi essiccato da loro stessi, per ottenere una crema che viene inserita nell’impasto per esaltare la vaniglia e creare una conseguente progressione di sapore a mano a mano che si svelano gli ingredienti.

Le uova sono di galline allevate a terra per colore e morbidezza, la selezione del sale di Trapani per un contrasto piacevole, mandorle vellutate di Bari, cubetti di arancia agrimontana e cioccolato Valrhona. Il risultato? Una colomba notevole e fuori dal coro. Provare per credere, anche nelle versioni “Albicocca e caramello”, “mediterranea”, “del Cilento” e “Grani antichi”.

Pasticceria Mamma Grazia

Via Vincenzo Russo, 136 / 84015 Nocera Superiore (SA)

Tel: 0815144037

Gourmandise L’arte della Squisitezza – Noci – Bari (Puglia)

Ancora poco conosciuto nel “girone dei buoni” nonostante dal 1993 Gourmandise sia il sicuro riferimento della provincia di Bari nell’alta pasticceria grazie alla qualità delle sue produzioni artigianali.  Nata da una dolce idea imprenditoriale della famiglia Lucarella, oggi è una realtà affermata che poggia su un team creativo, Gourmandise è una storia di successo che permette agli amanti del gusto di scoprire e vivere il mondo della pasticceria a tutto tondo. Per Pasqua, oltre alle Uova di Cioccolato (fondente, latte e ruby), dolci tradizionali e pecorelle in pasta reale ed amarene, Gourmandise propone la sua Colomba Tradizionale, preparata con tuorli, burro e lievito naturale, viene ricoperta da una pasta mandorlata con granella di zucchero che conserva tutto il calore del terreno dove fioriscono le zagare, la quale non copre il sapore dell’impasto ma contrasta piacevolmente con l’umida morbidezza interna che incontra morbidi canditi di arance siciliane che mettono “i puntini sulle i” ad un prodotto artigianale di maestria e buon gusto pugliese. Ordinabile anche nella versione “Noci e Cioccolato”.

Gourmandise

Via Benedetto Petrone, 32 / 70015 Noci BA

Tel: 080 4971224 – info@gourmandise.it

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Semplicità, raffinatezza e passione: questa la mission di Cannolicchio Osteria Di Mare, il indirizzo iodato a Via Ravenna, Roma, da annotare sul taccuino

Mangiare pesce a Roma, buon pesce, è una scelta che da una parte deve fare sempre più i conti con la percezione di qualità a fronte di un prezzo piccolo quanto ammaliatore nel mare dilagante di all you can eat (ed abbagli gusto ammoniaca), dall’altra con il saper riconoscere questa decantata “qualità iodata” e saperle dare il giusto valore (sia nutritivo sia economico) che merita.

Quindi, quando si trova un ristorante che riesce a conciliare freschezza della materia prima con preparazioni di sapore e sostanza, una misurata creatività sulle ricette tradizionali, belle presentazioni, porzioni decorose in una morbida atmosfera marinara, il dubbio è se tenersi l’indirizzo per sé o renderlo di pubblico dominio. Ma la mia aspirazione, si sa, è divulgare luoghi, nuovi e non, del buono e del bello, e Cannolicchio, dalle parti di Piazza Bologna, ad oggi rientra nella lista degli indirizzi di mare a Roma dove tornerei a mangiare.

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Lo chef si chiama Luca Baldacci; è giovane, pieno di energia e con le idee piuttosto chiare. Ha imparato l’arte della lavorazione del pesce direttamente dal bravo Alessandro Narducci (1996-2018) – ogni volta che scrivo o pronuncio questo nome ho un sussulto e per un attimo devo chiudere gli occhi – che lo chiamò a lavorare al suo fianco senza che Luca avesse nessuna formazione specifica di cucina, ma perché consapevole delle sue doti umane di perseveranza ed affidabilità: perfetta base su cui edificare il solido profilo di un futuro chef.

Ed è esattamente ciò che è avvenuto. Dopo cinque anni d’Acquolina Luca Baldacci adesso naviga da solo sul mare di Roma, le sue reti sono piene di pesce fresco, che lavora ogni giorno partendo da ricette tradizionali della cucina marinara rilette da una materia prima di grande qualità in un menù che, nella sua versione “Primavera-Estate2019”, annovera passerelle di crudi, tartare, carpacci e frutti di mare, gamberi, ostriche Bretoni, San Teodoro, Fines de Claire, Marie Morgan, Gillardeau e le irlandesi Regal che impreziosiscono Plateau Royale* e Plateau Princesse*.

Da provare:

Luca, come ogni Chef che abbia a cuore il concetto di “cucina come accoglienza”, si presenta ai suoi ospiti con una entrée rivelatrice, a mio parere, del suo modo di vedere il mare. Protagonista “la cozza”, da mangiare intera con il suo guscio ricreato di pasta all’uovo al nero di seppia ed una maionese realizzata con un’emulsione di acqua di cottura della stessa. La “finta Cozza” è il suo, buonissimo, benvenuto iodato.

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La Tartare di Tonno Rosso, Capperi, Olive taggiasche e Cipolla rossa agrodolce: intensa, calibrata, persistente nel suo giro di sapori è un tuffo in Sicilia. L’insalata di Polpo, lontana dai normali contorni immaginifici e scomposti del piatto, annovera un ordinatissimo “Polpo rosticciato con Alici, Sedano, Patate, Carote e Cipolla all’agro” (16€).

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Nei Carpacci, che io definirei “polpe”, si svela, secondo me, la vera anima di Luca e del suo rapporto con il pescato che definirei energico, lontano dalle sofisticazioni. La “Spigola in pasta, stracciatella e zucchine alla scapece” (25€) me ne ha dato conferma. Ottima materia prima cotta in una pasta salata che ne favorisce una cottura omogenea, umida, tenerissima e che prevede un contraltare di zucchine a carpaccio, stracciatella e pomodorini, così da creare movimento di temperature e consistenze.

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“Ad Ale piaceva così” è un piatto tra il ricordo e la citazione, una dichiarazione d’affetto ai tempi in cui finito il servizio con Alessandro (Narducci) si provavano piatti ed accostamenti senza regole sotto l’egida del Comfort Food. Così nasce questa Omelette ripiena di pesce San Pietro con maionese speziata, asparagi bianchi scottati e in crema “ (28€);  perfetto, a mio parere se inserito in un percorso di degustazione volto a conoscere la filosofia di Luca (4 PORTATE 50€ – 7 PORTATE  70€) ma forse, oltre la citazione, che sostengo a cuore aperto, un pò azzardato per essere un “secondo protagonista” di un menu che prevede non più di cinque opzioni per sezione.

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Ma facciamo un passo indietro. Tra i primi, oltre il suo Signature Dish “Rosso 2018, Spaghettone ai lupini di mare”, sono degni di nota la “Linguina Pesto al Finocchietto con Tonno Rosso”(16€) e l’“Agnolotto Broccolo e Arzilla” (18€). Il pane è ottimo, realizzato con farina di Grano arso, così come i dolci, realizzati dal Pastry chef con eleganza e semplicità che nel “Fungo, Mascarpone, Ginepro e Cioccolato”, ricreano un bosco da fiaba con grande precisione, gusto e cromatismo; ai quali però suggerisco di affiancare qualche opzione che tenga conto di chi preferisce finire il pasto in leggerezza lasciando da parte le gioie del latte e senza perdere il conforto del dolce, magari con agrumi o sorbetti di frutta di stagione.

cannolicchio

cannolicchio

Info utili

Cannolicchio Osteria Di Mare

Via Ravenna, 34 /a – Roma  

Tel: 0669411684

Mail per prenotazioni: info@cannolicchio.it

Sito

Orari: pranzo da martedì a domenica dalle 12:30 alle 15, cena martedì, mercoledì, giovedì e domenica dalle 19:30 alle 23:30 / venerdì e sabato dalle 19:30 alle 00:00

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Madame de Pompadour disse un giorno “a migliorare la bellezza di una Donna ci riesce solo lo Champagne”; e queste parole, appuntate distrattamente su un foglio, oggi mi fanno pensare alla radiosa Sara Blandamura, spumeggiante romana doc e sommelier appassionata, che ha realizzato il suo sogno di classe dedicato all’arte del buon bere e del buon stare, portando una ventata di primavera orientale su quella lunga strada medievale che collega Roma ai Castelli Romani.

le bollicine di sara

Conosco Sara dai tempi in cui lavoravo con Luigi Cremona e Lorenza Vitali – il mio rigoroso imprinting, la mia prima formazione sul campo (di cui ancora non decifravo la portata e il valore a lungo rilascio) – e Sara è sempre stata ai miei occhi una bellissima donna dal forte temperamento, occhi azzurri e intensi, regale e determinata con tinte di dolcezza concesse solo a chi ritiene meritevole. Oggi è madre, moglie e luminosa imprenditrice. Fiera comandante della sua nave di Bollicine e Doni gastronomici che fa porto a Roma, a Via Tuscolana 898. Avanti Tutta!

le bollicine di sara

Sara Blandamura

“Questo bistrot – racconta Sara – nasce da un’idea condivisa da tempo con mio marito Alessandro e con Luigi Cremona che, oltre ad essere uno dei critici enogastronomici più autorevoli d’Italia, è da sempre il mio mentore. E’ grazie a loro quindi che ho potuto coltivare il sogno di ricreare un bistrot dove far sentire gli ospiti come a casa, coccolati da vini di grande qualità e da una cucina golosa, divertente e stagionale. Il tutto con la voglia di regalare al cliente le esperienze che io stessa ricerco. Un luogo curato in ogni dettaglio, un’atmosfera calda e familiare, un servizio professionale e propositivo, una materia prima selezionata con cura, insomma una comfort zone per wine lover e gourmet, realizzata con la preziosa consulenza dello chef Fabio Toso, che accontenti allo stesso tempo anche i clienti della nostra enoteca, gruppi di amiche e amici, le famiglie e i più piccoli. Un luogo quindi che lasci un buon ricordo e soprattutto il desiderio di ritornare presto”. 

le bollicine di sara

E Sara ha mantenuto le promesse; Le Bollicine di Sara Bistrot è davvero un luogo dall’atmosfera intima ed accogliente, arredato con gusto e dedicato alle prelibatezze enogastronomiche, tra l’altro impreziosito dal leit motiv del Ramo di mandorlo in fiore di Van Gogh da cui dirompono – simbolo di rinnovato slancio vitale – teneri e delicati petali protesi ad un cielo non turchese come nell’originale del 1890, ma rosa antico, come lo vuole Sara – e che raccorda l’idea di un bistrot, di una sala da tè giapponese e di un winebar dallo stile contemporaneo.

Oltre l’estetica, l’idea di Sara è stata molto nitida dall’inizio, farne un luogo del cuore dove lasciarsi tentare da una carta di Bollicine sorprendente, o coccolare dalle tisane firmate Dammann Frères, o ancora da un aperitivo di gran classe scegliendo tra Franciacorta, Trento Doc e Champagne chiuse in un centinaio di referenze, tutte servite al calice; cui si aggiunge la speciale selezione di Gaja, Sassicaia, Aldo Conterno, Biondi Santi e Valentini, inclusa la possibilità di scegliere tra le quattromila bottiglie presenti nella vicina Enoteca Bomprezzi (su prenotazione e vendute al prezzo di scaffale). Presenti inoltre: diverse etichette di vini da dessert; una short list di liquori e distillati italiani ed internazionali oltre ai più importanti terroir francesi.

alessandro mirizzi le bollicine di sara

Alessandro Mirizzi

“Abbiamo messo a punto una carta dei vini tutta a mescita – racconta Alessandro Mirizzi, marito di Sara e complice di questa nuova avventura – che evidenzi le nostre passioni. Sarà quindi una wine list in continua evoluzione per permettere ai clienti di toccare con mano la grande varietà di cui disponiamo tra gli scaffali del nostro storico negozio. E per gli ospiti più esigenti prevediamo un fuori menu, con la possibilità di prenotare in anticipo l’intera bottiglia preferita che saremo felici di far degustare nel bistrot”. 

le bollicine di sara

Chef Domenico Abbrescia

Per accompagnare e valorizzare il connubio food&wine, Sara ha poi selezionato alcuni dei blasonati marchi di eccellenze gastronomiche come la ventresca di Salmone Upstream, il Caviale Clavisius, i Sottoli d’Agnoni, i Formaggi Carmasciando, Prosciutti e Culatelli del grande Spigaroli per una playlist gastronomica di grande sapore. Se dopo l’aperitivo arrivasse la voglia di cenare, i piatti gourmet ci sono i piatti preparati a vista dallo chef pugliese Domenico Abbrescia e serviti in sala da Rosella Groutas, sempre sorridente e pronta ad accogliere 28 coperti tra tavoli e bancone, e proporre un vero e proprio menu al plurale con sezioni dedicate ai carnivori (‘I piaceri della carne’), agli amanti del pesce (‘Un tuffo dove l’acqua è più blu…’), agli indecisi (‘Né carne né pesce..’) e agli esploratori (‘In viaggio con gusto…’) e perfino ai bambini (‘Per i più piccoli..’). Non mancano le incursioni in dolcezza (‘Con un poco di zucchero la pillola va giù..’).

le bollicine di sara

Cacio e Pepe Rosa

Mosaico verticale di legumi

le bollicine di sara

Sara Blandamura e Alessandro Mirizzi, compagni nella vita e nelle imprese, sono dunque gli ideatori di questa nuova insegna, nonchè titolari della storica attigua Enoteca Bomprezzi, storico negozio capitolino di vini e distillati, fondato nel 1957 e oggi punto di riferimento per la zona Tuscolana e non solo (4mila referenze in vendita). A conduzione familiare – con a capo il fratello di Alessandro, Gianluca Mirizzi (che firma da solista pure l’omonima neonata azienda) – anche la realtà vitivinicola Montecappone: una cantina che da 50 anni sulle colline e sui Castelli di Jesi produce vini che sono un’autentica espressione del territorio di appartenenza, Verdicchio in testa.

D’obbligo di chiusura una nota sulla Mise en place originale con piatti di vario tipo – da quelli in stile shabby chic a quelli in ceramica total black di ispirazione orientale – arricchiscono infine il racconto estetico del locale, la cui progettazione è stata affidata allo Studio Tiberi di Roma, mentre quello della cucina porta la firma di Antonio Angelini di Topkitchen.

Info utili

Le Bollicine di Sara bistrot
Via Tuscolana, 898 – 00173 Roma
Tel.: +39 06 5184 4727
Mail: info@lebollicinedisarabistrot.it 
Sito, pagina Facebook

 

GIORNI E ORARI DI APERTURA:
da lunedì a giovedì dalle ore 17.00 alle 23.00
venerdì e sabato dalle ore 17.00 alle 24.00
domenica chiuso

 

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