Sara De Bellis

Categoria: MY STORY BOX

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Torna la Fiera dei Sapori a Frascati dal 24 al 26 settembre 2021. La manifestazione più panoramica dei Castelli Romani giunge alla sua quinta edizione e sceglie come tema “il gusto si mette in mostra” proponendo una selezione di interessanti Laboratori tematici sull’Olio Evo e sul Gelato, Storie di Vigne, Uomini e Cantine, Stand enogastronomici e Degustazioni en plein air.

Dal 24 al 26 settembre 2021, l’appuntamento è con la Fiera dei Sapori, un weekend di gusto e prelibatezze a Frascati, panoramica cittadina dei Castelli Romani a pochi chilometri della Capitale.

Sulla passeggiata panoramica, saranno tre giorni i giorni dedicati alla selezione dei migliori prodotti enogastronomici del territorio ed oltre, interpretati in chiave tradizionale e innovativa da Chef e Artisti di Cucina.

La Fiera, con oltre quaranta stand posizionati lungo l’elegante cornice della Passeggiata di Frascati in Viale Vittorio Veneto, è espressione di un territorio in equilibrio tra le sue tradizioni, grande voglia di crescita e valorizzazione dei grandi prodotti dei Castelli Romani.

A rappresentare i Castelli Romani e la loro voglia di ben mangiare grandi realtà del territorio e nuovi protagonisti di una cucina in profondo rinnovamento.

Le aree di degustazione – Un gusto per ogni… gusto!

Sei aree di degustazione, ognuna dedicata a una categoria di prodotti che sarà presente a Fiera dei Sapori: primi piattisecondi piattisfizidolcivini birra. Ad attendere i visitatori una ricca offerta di ricette, specialità, calici e boccali, tra i quali l’immancabile cacio e pepe o l’originale panino al baccalà con misticanza e cipolla caramellata. Che sia un assaggio di sushi o la più tradizionale porchetta, sarà possibile accompagnare ogni specialità con vini e birre artigianali dei Castelli Romani.

I laboratori tematici

Passeggiate con gusto, sapori della tradizione, prodotti tipici. Ma non solo. Il lungo weekend di “Fiera dei Sapori” diventa il luogo ideale per imparare, grazie a quattro laboratori tematici ad accesso gratuito. Per accedere è necessario inviare una mail di prenotazione a info@fieradeisapori.it.

• Masterclass sui vini castellani (sabato 25 settembre, dalle 18 alle 19). L’Associazione CastelliRomani Food & Wine vi condurrà alla scoperta delle aziende vitivinicole del territorio nellaloro produzione d’eccellenza. Una degustazione guidata organizzata da esperti del settore per promuovere e far degustare le eccellenze vitivinicole del territorio.

  • Slow olive, dalla guida extravergini al Presidio (venerdì 24 settembre, dalle 19 alle 20)La Condotta Slow Food di Frascati e Terre Tuscolane organizza un laboratorio di degustazione guidata dedicato agli olii extravergini castellani, selezionati dagli esperti di Slow Food.

  • La fisica del freddo e l’applicazione del…gelato (domenica 26 settembre, dalle 17 alle 18). Organizzato da “Frascati Scienza”, è un divertente spettacolo scientifico per conoscere le basi scientifiche di un prodotto amatissimo da ogni età. Al termine della dimostrazione sarà possibile assaggiare del buonissimo gelato preparato con azoto liquido a – 200°!

  • Slow Wine, storie di vita, vigne e vini (domenica 26 Settembre, dalle 18 alle 19). La Condotta Slow Food di Frascati e Terre Tuscolane organizza un laboratorio di degustazione del vino per conoscere le produzioni di una selezione delle cantine dei Castelli Romani.

Come funziona la Fiera dei Sapori

Come ogni anno, Fiera dei Sapori permette al pubblico di acquistare dei voucher, che possono essere utilizzati per accedere alle varie degustazioni. L’edizione 2021 ha però una novità: per favorire l’accesso in sicurezza, si dovrà acquistare un voucher online (www.fieradeisapori.it) del valore di 10 euro che darà diritto a 10 gettoni con i quali si possono gustare i piatti e i calici di vinoNell’area dell’evento – al quale si potrà accedere solo con Green Pass e voucher già acquistato online – si potranno acquistare altri gettoni a seconda delle proprie esigenze.

Nelle giornate del 24, 25 e 26 settembre gli orari di accesso sono differenziati: venerdì 24 settembre dalle 18 alle 23; sabato 25 settembre e domeni

L’evento, in collaborazione con Magnolia Eventi e il patrocinio del Comune di Frascati, è organizzato da Valica – prima tourism marketing company in Italia con all’attivo numerose manifestazioni su tutto il territorio nazionale, tra cui Borgo di Vino in Tour.

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Irresistibile tagliato a mano, seducente tra due strati di pizza bianca ben unta, semplice e lussuoso con il pane casereccio, virtuoso con i fichi, allettante con la mozzarella, sfizioso attorno ai grissini, popolare con il melone, inatteso con l’uva nera: parliamo del Prosciutto Crudo o meglio, in questo frangente, del Prosciutto Crudo San Daniele D.O.P., uno dei Re dei Prosciutti d’Italia.

Caratterizzato dall’incontro tra i venti freddi delle Alpi Carniche e la brezza tiepida e salmastra dal mar Adriatico, mentre il corso del fiume Tagliamento agisce da termoregolatore naturale, la paria del “San Daniele” è il Friuli Venezia Giulia, la sua terra è quella di Udine e la sua storia ha antichissime radici da raccontare.

Solo tre ingredienti, anzi quattro: cosce di suino italiano selezionate, sale marino, il particolare microclima di San Daniele e il “Sacro Tempo“, che passa lento, impreziosisce ciò che è nato per durare e concentra il sapore.

Ogni Prosciutto di San Daniele, per potersi chiamare tale, richiede un meticoloso e paziente procedimento che garantisca il raggiungimento della sua peculiare forma, del suo profumo, del suo colore rosso-rosato, del bianco candido del suo grasso, delle sue calibrate sapidità: una tradizione secolare a forma di chitarra che ha reso “il San Daniele” un’eccellenza italiana apprezzata in tutto il mondo.

Nato da gesti antichi e mani esperte di Mastri prosciuttai, attraverso un sistema codificato di rigorose regole che trasformano carne di maiale e sale in un capolavoro di gusto, questo Prosciutto friulano si ottiene dalla lavorazione delle cosce fresche di suini pesanti italiani – ogni coscia è ottenuta da capi scelti di razza pesante Large White, Landrace e Duroc – nati, allevati e macellati in 10 regioni dell’Italia centro-settentrionale.

Infatti, la materia prima per il Prosciutto San Daniele a marchio DOP proviene esclusivamente da Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria.

La filiera produttiva conta oggi 3.799 allevamenti116 macelli550 addetti e 31 stabilimenti produttivi: con circa 3 milioni di prosciutti prodotti l’anno, San Daniele rappresenta una consistente fetta delle esportazioni del made in Italy del settore agroalimentare.

CENNI STORICI e il IL MERCATO DI SAN DANIELE

San Daniele del Friuli è un comune della provincia di Udine, in Friuli-Venezia Giulia, conta circa 8.000 abitanti e si trova all’interno dell’area dell’Anfiteatro Morenico. La principale attività economica del territorio si basa sulla filiera produttiva del Prosciutto di San Daniele DOP.

La posizione geografica e la composizione peculiare del suo microclima rendono San Daniele un luogo unico ed irripetibile per la stagionatura delle cosce di maiale, grazie alla concomitanza dei venti delle Alpi da nord e della brezza del Mar Adriatico che qui si incontrano.

Le prime testimonianze legate alla produzione e al suo consumo di prosciutto risalgono agli insediamenti di epoca preromana nell’area friulana compresa tra le Alpi Carniche e le Alpi Giulie, che include anche il paese di San Daniele, ma furono i Celti a fissare i principi della sua lavorazione.

Ogni prosciutto è il risultato di una lavorazione artigianale che avviene nel rispetto di una tradizione che viene ancora oggi tramandata da intere generazioni di famiglie del popolo friulano.

Le indagini archeologiche condotte nella Chiesa di San Daniele in Castello ci informano sull’utilizzo dei maiali per l’alimentazione umana già in epoca protostorica, ovvero tra fra l’XI e l’VIII secolo a.C.. Nel Medioevo si svilupperanno le pratiche dell’allevamento e della norcineria.

Gran parte della fortuna e prosperità di San Daniele deriva dall’essere stata per oltre sette secoli di feudo patriarcale; ed è il Patriarca che assegna a San Daniele il privilegio di attivare un mercato. L’attestazione più antica di mercato franco risale al 1063. Il privilegio viene confermato da Federico II nel 1232.

Successivamente, durante il Concilio di Trento, le cronache dell’epoca narrano che il Patriarca di Aquileia inviò ai prelati 12 prosciutti di San Daniele. Alcuni documenti testimoniano la presenza di questo salume anche nelle corti di Francia e Austria e sulle mense dei Dogi. Verso la fine dell’Ottocento a San Daniele c’erano già alcune ditte che potevano fregiarsi delle credenziali di “fornitore della Real Casa e dei Sacri Palazzi Apostolici”.

PROSCIUTTIFICI & CONSORZIO

Bisognerà aspettare gli anni ‘20 per far si che la produzione del prosciutto nel borgo friulano da artigianale divenga via via più strutturata. Nascono così i primi prosciuttifici che trasformano gli spazi domestici in veri e propri stabili industriali, fino a quando, l’intensificarsi della produzione porta alla determinazione di un Consorzio privato.

Fin da subito, questo gruppo eterogeneo, composto da produttori di prosciutto, cittadini della comunità di San Daniele e industriali di settori differenti, ha assunto il compito di preservare e diffondere il nome ed il marchio del prosciutto di San Daniele e di stabilirne le regole canoniche della lavorazione.

Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele costituito nel 1961 ai sensi dell’articolo 2602 e ss. del codice civile, oggi conta 31 soci produttori, i quali osservano regole stabilite e condivise dal testo del Disciplinare per la produzione di un prodotto riconoscibile e sempre uguale a se stesso.

Inoltre, vigila sulla sua corretta applicazione; tutela il marchio affinché non vi siano abusi o usi illegittimi del nome, del marchio Prosciutto di San Daniele e dei segni distintivi della Denominazione di Origine Protetta.

ARIA DI FESTA

Ogni anno, a fine agosto, nella cittadina di San Daniele del Friuli, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele presenta un appuntamento per celebrare il Prosciutto di San Daniele DOP con un evento ad hoc con visite guidate negli stabilimenti di produzione, corsi e laboratori di degustazione, showcooking e Prosciuttifici aperti al pubblico e svelare i segreti della sua produzione.

METODO DI PRODUZIONE

La lavorazione inizia con la pesatura delle cosce che devono essere almeno di 12 kg. Si procede quindi alla rifilatura, per eliminare le eventuali imperfezioni dovute alla macellazione. Segue la salagione per un tempo variabile in rapporto al peso delle cosce; la tradizione vuole infatti che la coscia resti sotto sale un giorno per ogni chilogrammo di peso. La coscia ormai ripulita dal sale viene sottoposta a una pressione uniforme per 24-48 ore, che le conferisce la tipica forma “a chitarra”. Si procede con il ciclo di riposo, lavaggio, asciugatura e “sugnatura”, per arrivare infine a una delle fasi più importanti che è quella della stagionatura. È in quest’ultima fase che il microclima di San Daniele diviene protagonista indiscusso. La stagionatura si protrae per un periodo minimo di 13 mesi dalla data di introduzione nel prosciuttificio.

Selezione

Il San Daniele è fatto solo con maiali nati, allevati e macellati esclusivamente in Italia. I suini sono alimentati seguendo una dieta controllata, prevista dal Disciplinare di Produzione, a base di siero di latte e cereali nobili. Solo per le cosce che superano il controllo preliminare di conformità inizia il processo di lavorazione. Le carni scelte vengono conservate per 24 ore a una temperatura compresa tra -1°c a + 3°c così da farle “tonificare”. Infine, vengono rifilate con appositi tagli per favorire la perdita di umidità.

Salatura

Dopo ulteriori 24 ore le cosce vengono ricoperte di sale marino e stese ad una temperatura tra gli 0° e i 4°C. Da tradizione ogni prosciutto riposa in questa condizione per un numero di giorni corrispondente al numero di chilogrammi del suo peso. Questo processo consente la conservazione naturale, in mantenimento dell’integrità della carne e ne migliora il gusto.

Pressatura

Dopo la salatura, i prosciutti vengono pressati lungo la massa muscolare allo scopo di far penetrare in profondità il sale, drenare i liquidi in eccesso delle cosce e dare alla carne una consistenza ottimale per la successiva stagionatura. Questa fase, esclusiva del San Daniele, gli conferisce la caratteristica forma a chitarra.

Riposo

Le cosce salate vengono messe a riposare in saloni dedicati, dove viene mantenuta un’umidità variabile tra il 70 e l’80% e una temperatura compresa tra i 4° e i 6°C . Questa fase dura fino al quarto mese dall’inizio della lavorazione e permette al sale di penetrare in maniera omogenea nel prosciutto.

Lavaggio

Dopo il riposo le cosce vengono lavate con acqua tiepida. Questa fase è molto importante perché favorisce la tonificazione della carne e, con il cambio di temperatura, ha inizio il processo di maturazione.

Stagionatura

Il Disciplinare di Produzione prevede che la stagionatura duri 13 mesi dall'inizio della lavorazione e che avvenga rigorosamente all’interno del territorio comunale di San Daniele del Friuli. Durante tutto questo periodo è fondamentale mantenere una condizione ottimale di temperatura, umidità e ventilazione.

Proprio durante la stagionatura il prodotto acquisisce le caratteristiche organolettiche peculiari che lo distinguono e che dipendono direttamente dal clima del territorio, il colle di San Daniele: aria fredda da nord e aria calda dall’Adriatico, combinate dal corso del fiume Tagliamento che fa da “climatizzatore” naturale.

Il processo produttivo è rimasto inalterato nei secoli; l’introduzione della tecnologia si è limitata soltanto al miglioramento nell’organizzazione e nella movimentazione del prodotto all’interno dei prosciuttifici.

Sugnatura

PUNTATURA

Sulla parte non coperta dalla cotenna è applicata la sugna, una pasta costituita da grasso suino e farina di riso o di frumento, al fine di proteggere e al tempo stesso ammorbidire quella porzione di carne evitando così che asciughi.

Puntatura

Durante la stagionatura è necessario controllare periodicamente tutto il processo, e questo avviene attraverso una serie di controlli regolari su ogni singola coscia. Vengono effettuati due tipi di controlli: la battitura per controllare la consistenza del prosciutto e la puntatura che consiste nell’infilare un osso di cavallo in determinati punti della carne per valutarne lo stato di stagionatura e la bontà attraverso l’olfatto.

Marchiatura

Solo al compimento del tredicesimo mese avvengono gli ultimi accertamenti sul prodotto da parte dell’IFCQ, l’istituto di controllo. Solo i prosciutti che superano questi test vengono certificati e marchiati a fuoco con il marchio San Daniele, che comprende il codice identificativo del produttore e garantisce la qualità del prodotto.

ASPETTO E SAPORE

MARCHIATURA

Il Prosciutto di San Daniele DOP ha una tipica forma “a chitarra” ed è provvisto di piedino. Al taglio, la fetta si presenta di colore uniforme rosso-rosato, con striature di grasso di colore bianco. Il profumo è intenso, il gusto dolce e delicato. L’aroma è delicato e diventa più persistente con il protrarsi della stagionatura, si possono riconoscere sfumature tostate (crosta di pane), note di frutta secca e malto d’orzo. Il sapore è delicato, la sapidità e gli aromi tipici della carne stagionata si fondono insieme producendo una piacevole ed appagante sensazione in bocca.

NOTA DISTINTIVA

Il segno distintivo per eccellenza del Prosciutto di San Daniele è il marchio a fuoco del Consorzio che è impresso sulla cotenna. Il marchio è costituito dalla denominazione in forma circolare, dalla stilizzazione del prosciutto con le lettere SD al centro, ed è accompagnato dal codice numerico di identificazione del produttore. Alla vista il San Daniele si riconosce dalla presenza dello zampino e dalla sua forma, che ricorda quella di una chitarra. Per la perfetta tracciabilità di ogni coscia sulla cotenna, oltre al marchio, sono visibili anche il tatuaggio d’identificazione dell’allevamento, il timbro a fuoco del macello e la sigla DOT che riporta il giorno, mese e anno d’inizio lavorazione da cui si può ricavare il tempo di stagionatura.

Consorzio del Prosciutto di San Daniele

Via Ippolito Nievo 19
33038 San Daniele del Friuli
Udine – Italy
+39 0432 957515

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Appassionato e sensibile, quando parla dell’Umbria e delle tipicità di questa piccola quanto ricca regione, il suo sguardo si illumina. 

Paolo Trippini, e il ristorante che porta la firma di famiglia a Civitella del Lago, si conferma essere una meta di grande gusto, piacevolezza e charme del centro Italia. 

Da qui, oltre le grandi vetrate, mescolate in un unico quadro dinamico di bellezza paesaggistica dominato al centro dallo “specchio di Corbara”, lo sguardo domina 3 regioni: il Lazio, l’Umbria, la Toscana. 

Siamo a Civitella del Lago, raccolto borgo di collina in provincia di Terni al confine con il Lazio, in posizione panoramica. Pochi passi dalla piazza per arrivare in Via Italia, 14, dai fratelli Trippini, dove Paolo in cucina e il fratello Luca in sala, hanno messo a punto una regia di bella accoglienza di Famiglia che nulla tralascia al caso.

Una lunga storia la loro. Fu infatti il nonno ad aprire, nel 1964, una trattoria divenuta in breve tempo tappa obbligatoria della zona e che, successivamente, il padre Adolfo trasformò in un locale più moderno e ambizioso.

Cifre stilistiche, approcci e orientamenti ben diverse che si sono sommate trovando, con Paolo e Luca, una nuova e solida equazione tra le pareti senza confini di ciò che rappresenta oggi il Ristorante Trippini: da un lato la voglia di trattenere un alto il livello qualitativo senza flessioni, dall’altro quella di raccontare e lavorare materie prime che ben esprimano la ricchezza di questo generoso territorio. 


“La verde Umbria e le sue colline sono il cuore dell’Italia, da qui parte la mia cucina. I piatti che realizzo sono espressione del mio legame con il territorio, con le sue tradizioni e le materie prime che lo caratterizzano, come il tartufo e i prodotti del bosco” dichiara lo chef Trippini, che dal 2015 è membro dei Jeunes Restaurateurs d’Europe.

Tartufo, olio extravergine di oliva, ortaggi, asparagi selvatici, frutti rossi, erbe aromatiche, carni da cortile, pesce di lago e nozioni della grande tradizione norcina si uniscono in un ideale paniere ricco di meraviglie in una personale idea di cucina.

Liberate la fantasia, scegliete le portate, create il vostro percorso” così recita la Degustazione a scelta tra 4, 5, 6 e 9 portate: Animelle di vitello carote al vermut, bieta; Quaglia imbottita, ricotta “montecristo” e asparagi; Baccalà, pera e peperone; Corona di maiale brado, cicoria, limone e nocciole “casa parrina”; Risotto finocchietto, tinca e yogurt di capra; Tortelli di grana con crema di piselli, ciliegie e caffè;  Tagliolini di segale con gamberi di fiume e fagiolo del piano di Orvieto; Maiale brado, cetriolo e orzo tostato; Petto di anatra, piselli e composta di pomodori; Dolce a scelta dalla carta.

La mano di Paolo Trippini è sempre attenta, forte e delicata, di impatto cromatico e sostanza gustativa. Ne sono un grande esempio tra gli Amouse Bouche i Macaron con patè di fegatini di pollo alla umbra, deliziosa esplosione di dolcezze, cremosità e croccantezza con piccole punte di sapidità; il Risotto finocchietto, tinca e yogurt di capra che trova un nuovo modo di raccontare lago e campagna: nicchie espressive amalgamate dalla piacevolezza in chicchi di un risotto che non teme stagioni; poi le Carni, Maiale, Anatra, Coniglio, di cui Paolo si conferma essere un sapiente interprete.

Una cucina di materia prima e respiro culinario, che non smette di guardarsi attorno, di scoprire, attingere e valorizzare i prodotti questa piccola quanto ricca regione e che conferma il Ristorante Trippini un’immancabile meta gourmet per conoscere l’Umbria e le sue due anime in accordo tra la creativa valorizzazione delle vecchie e nuove radici, e le espressioni di contemporaneità ben applicate.

Ad orchestrare questo concerto ben riuscito oltre a Paolo in cucina, ci sono Conny Cicilano, compagna di lavoro e di vita, e Francesca Matassa; mentre in sala, assieme a Luca, c’è Angela Gentili che assieme garantiscono proposte di una cantina di valide etichette tra blasonate, locali e opzioni brassicole, in un’accoglienza di grande classe e genuinità.

Facciamo un lavoro bellissimo – dichiara Paolo – in cui la passione,
il gusto, il rispetto delle tradizioni e delle materie prime ci rendono artefici della valorizzazione di un patrimonio storico e culturale i cui riconoscimenti ci ripagano di tutte le fatiche.


Per Paolo Trippini, oltre al Ristorante Gourmet di Civitella del Lago, la cucina è un sistema di sfide e nuovi piani professionali che, oltre a vederlo impegnato nei servizi di banqueting nelle storiche location umbre, si arricchisce di formule gastronomiche più scanzonate, attività e laboratori di formazione, oltre al temporary restaurant “Il Bosco Umbro” che ha portato al terzo piano di Eataly Roma una rappresentanza delle bontà di regione in chiave creativa, e nuovi progetti nel cassetto. Ma questa è un’altra storia.

 

Paolo Trippini – Civitella del Lago
via Italia, 14
Civitella del Lago – Baschi (TR)
tel 0744 950316
info@ristorantetrippini.com
Giorno di Chiusura: Lunedì

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Un’oasi urbana all’ultimo piano dell’Hotel Sofitel Rome Villa Borghese, Panoramico Hotel a 5 stelle che offre ai suoi ospiti una cucina ricercata ma autentica, attenta al benessere e al gusto eseguita con cura ed esperienza dell’Executive chef Giuseppe D’Alessio.

Dalla prima colazione al brunch, dall’aperitivo con il tramonto su Roma alle incantevoli cene sotto le stelle, Settimo Roman Cuisine & Terrace vi attende per regalarvi lunghi momenti di piacere e bellezza.

Design contemporaneo, temi floreali, tavoli smaltati, lampade di ottone, stoffe preziose e poltroncine di stile, accolgono in un abbraccio di grande comfort gli ospiti di Settimo Roman Cuisine & Terrace.

In questa atmosfera trasognata e sospesa, a metà strada tra la “La Dolce Vita” romana e il modernismo dell’ “Art De Vivre” francese, dal Settimo piano dell’hotel Sofitel Rome Villa Borghese, lo sguardo è libero di vagare tra cupole maestose e palazzi storici, anche attraverso le ampie vetrate che incorniciano la sala in dialogo aperto con l’esterno, mentre la cucina di Giuseppe D’Alessio si accomoda a tavola.

Le sue radici campane, l’esperienze maturate all’estero, le filosofie stagionali, rendono il menu di D’Alessio ogni volta pensato e improntato sulla tradizione gastronomica del territorio laziale, realizzata con accattivanti, quanto funzionali al gusto, tecniche contemporanee presentati tra l’esuberanza estetica dei motivi tropicali e la concreta voglia di sapore italiano.

L’obiettivo dello chef Giuseppe D’Alessio, e della sua brigata, è infatti quello di lasciare un ricordo importante nella memoria dei suoi ospiti raccontando Roma e il Lazio attraverso il cibo e le materie prime, che vengono scelte con cura per rispondere agli alti livelli di piacevolezza e di aspettative.

Piatti iconici, che raccontano Roma e L’Italia, riconoscibili nel sapore, creativi negli accostamenti, ricercati ma senza eccessi, sia nella presentazione sia nella comprensione. Sapori schietti, uniti per esaltare le caratteristiche di ciascun ingrediente nella ricerca di una cucina che vuole raccontare “la buona cucina dello stivale”.

Il fornitore fa parte della brigata. Lo considero parte del team di cucina, per questo mi affido solamente a produttori selezionati. Con lui deve esserci soprattutto fiducia, come con tutti i miei collaboratori”, racconta lo chef Giuseppe D’Alessio.

Il nuovo menu estivo è colorato, all’insegna del benessere, piatti bilanciati e leggeri, con ricette di stagione in cui si prediligono verdure e pesce fresco tra inni alla cucina Mediterranea, come il Polpo arrostito pomodoro, capperi e origano, la Millefoglie di mozzarella di bufala, melanzane, basilico e pomodori essiccati e il Carciofo alla romana con alici di Cetara e crostini di pane fritti e il Risotto con crema di zucchine romanesche e i suoi fiori con tartare di spigola marinata e aceto di visciole.

Così come le Fettuccine all’uovo “Cav. Cocco” alle vongole con briciole di pane e peperone Crusco, il Carrè di agnello al forno e il Filetto di vitella a mo’ di saltimbocca, cicorietta di campo saltata e stracotto di cipolla, rivisitato nella forma, sapientemente centrato nel sapore.

Aperti a pranzo dal lunedì al venerdì, Settimo, propone una doppia proposta di business lunch, ciascuna di 2 portate: la prima a 29 euro mentre la seconda a 41 euro ( caffè e acqua inclusi) tra classici romani e piatti del giorno che ogni volta racconteranno una regione italianadiversa.

Il sabato, invece, si pranza solo alla carta con l’aggiunta di un piatto speciale pensato dallo chef per l’occasione, mentre solo per la domenica è prevista la formula brunch.

Dopo le ore 16:00 è possibile salire in terrazza anche per un aperitivo glamour (pasteggiando a cocktail con in abbinamento con piccole tapas dalla cucina) oppure per una semplice merenda con tè, tisane, succhi bio e centrifughe espresse, sospesi tra le bellezze della città eterna.

LA COLAZIONE

Tutti i giorni, dalle ore 6:30 alle ore 10:30, l’appuntamento per la colazione da Settimo è diventato un rito immancabile.

Aperto sia agli ospiti dell’hotel sia al pubblico esterno che desidera salire sul rooftop per il pasto più importante della giornata, il servizio della colazione è à la carte con una classica e variegata proposta di lievitati e dolci artigianali tra cui cornetti francesi, pasticceria italiana, crostata di marmellata, torta caprese e ciambellone, arricchita anche da una parte salata con mini baguette, pane casareccio e pizza romana.

E ancora, golose crêpe, french toast o pancake, con topping di sciroppo d’acero o conserve di frutta, oltre a una selezione di yogurt da abbinare a cereali come corn-flakes, muesli, riso soffiato e fiochi d’avena. Immancabile la sezione dedicata alle uova, che arrivano sempre di giornata, e sono disponibili strapazzate, fritte, alla coque, al piatto come omelette con prosciutto, formaggio, funghi e cipolle, solo su richiesta con salsicce di pollo o bacon. Inoltre, il menu è ampliato da contorni di stagione, formaggi italiani e francesi, salumi nostrani e salmone. A completare la ricca offerta, non mancano mai frutta e colorate macedonie, spremute espresse e centrifughe, tutta la caffetteria con espresso, caffè americano, cappuccino, tè e tisane. Su richiesta anche proposte per celiaci come pane e dolci monoporzione.

IL BRUNCH

Ogni domenica l’appuntamento sul panoramico e lussureggiante salotto “en plein air” di Settimo è con il ricco brunch dalle 12:00 alle 15:30: cestino del pane con marmellate e burro, la selezione di salumi e formaggi del territorio, prosciutto crudo di Parma 24 mesi oltre al salmone affumicato con pane integrale tostato. Poi, ancora uova strapazzate, omelette, uova benedettine, contorni di stagione, insalate. Poi la pasta a scelta tra Amatriciana, Carbonara o Pomodoro e basilico, o il roastbeef con patate al forno, verdure ripassate. I dolci sono golosi e invitanti: waffle, pancake o crêpe al cioccolato, french toast oltre alla pasticceria mignon, torte, muffin dolci, sfogliatelle napoletane e frutta fresca.

IL DESIGN

L’architetto parigino Jean-Philippe Nuel ha dato vita a un progetto che racconta la fusione tra cultura francese e italiana. L’ispirazione arriva dalla posizione del ristorante stesso, posto al settimo piano dell’hotel, con lo sguardo che è libero di vagare da San Pietro ai pini di Villa Borghese e di Villa Medici. La natura entra in maniera preponderante nel locale e i temi del progetto sono il dialogo tra l’interno e l’esterno, la natura, la contemporaneità dello stile d’accoglienza e l’esaltazione della convivialità.

BIOGRAFIA | GIUSEPPE D’ALESSIO – CHEF

Salernitano di origine, Giuseppe D’Alessio ha frequentato la scuola alberghiera iniziando da subito a lavorare all’interno di hotel, compagnie e ristoranti internazionali del gruppo Meridien, collezionando numerose esperienze. Prima in Italia e poi in Europa, si è perfezionato nelle cucine di alberghi di lusso in Inghilterra, Francia e Germania, tra i quali due ristoranti stellati Michelin: l’Orrery di Londra e il Jacques Maximin di Vence in Francia. Rientrato a Roma nel 2004 per affiancare l’executive chef alla Terrazza dell’Eden, dal 2011 è lo chef di Settimo, il ristorante panoramico situato al 7° piano del Sofitel Rome Villa Borghese. La cucina di Giuseppe D’Alessio è ispirata alla grande tradizione gastronomica italiana. Le origini campane emergono con forza in ogni proposta, dando ampio risalto alla scelta di ingredienti genuini, selezionati presso produttori di fiducia e a km zero, e alla loro preparazione che coniuga perfettamente la creatività con il rispetto della memoria culinaria nostrana. Perché, sostiene Giuseppe, una volta assaporato, la clientela internazionale deve saper riconoscere il vero carattere della nostra cucina. Sapori essenziali quindi, ricercati con grande competenza per “viziare” il palato dei commensali.“Sono sempre stato incuriosito dalle culture di altri paesi rimanendo comunque legatissimo alla mia: la cucina è il biglietto da visita di un popolo. Dietro all’alimentazione di ogni Paese c’è una storia antichissima e a me piace scoprirla. – racconta lo chef – Lavorare in team così importanti, al fianco dei grandi maestri della cucina come Turner e i fratelli Galvin, è stato un grande stimolo per me”.

PHOTO – All Rights Reserved www.albertoblasetti.com

Settimo Roman Cuisine & Terrace

Sofitel Roma Villa Borghese

Via Lombardia 47 – 00187 Roma

Tel. 06.478.022.944

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Sentirsi a bordo di un elegante yacht, pronto a salpare per luoghi esotici e misteriosi. Gustare una cucina di armonia e qualità. Osservare il mare di punto di vista d’eccezione: il Vistamare rappresenta l’occasione per il litorale laziale di un rinnovamento gastronomico, culturale e ambientale.

Nato dall’occasione colta al volo da Gianluca e Roberta Boldreghini, il Fogliano Hotel New Life trova nuove coordinate di bellezza in un grande progetto di restyling e riorganizzazione di spazi e panorami.

“Questo hotel ha da sempre esercitato un irresistibile fascino su di me, un posto incantevole ubicato all’interno del Parco Nazionale Del Circeo tra il mare azzurro ‘Bandiera Blu 2021’ e il lago di Fogliano. – racconta entusiasta Gianluca Boldreghini.

Per me e mia moglie Roberta, compagna di ogni avventura di vita e di lavoro, è stato amore a prima vista e appena siamo entrati nell’hotel, abbiamo capito che era un luogo unico e in cui avremmo potuto dare vita al nostro sogno di accoglienza e ristorazione. Così da un anno, abbiamo cominciato un lungo cammino, che ha come obiettivo l’eccellenza”.

La vita concede occasione, la grande abilità risiede nel saperle riconoscere e cogliere al volo. Così è stato per Gianluca e Roberta Boldreghini (già proprietari di Grancaffè Egidio a Latina) quando, durante una passeggiata in bicicletta, tra il lago di Fogliano e il mare, ritrovano sulla propria strada Il Fogliano, ne percepiscono le potenzialità e decidono di dargli “nuova vita”.

Nasce così il grande progetto di restyling dell’ “Hotel Fogliano New Life” tra la terra ferma e un orizzonte blu: all’interno “il Vistamare”, il ristorante gourmet della riviera laziale che, inaugurando un nuovo corso, vuole fare la differenza.

Da soli non si fa nulla, così, a coordinare e supervisionare il lavoro e l’organizzazione della struttura F&B Manager Giammarco Laghi – che vanta un’esperienza maturata all’estero e un curriculum di rispetto – approda al Fogliano.

La struttura ricettiva si definisce nel suo insieme come un boutique hotel a quattro stelle: 19 camere, di cui due Suite con Jacuzzi in terrazza e vista mare; uno stabilimento balneare con 252 ombrelloni e 119 cabine; due rooftop con lounge bar, Halto Roof e Halto Pool (dotato di due Jacuzzi), due ristoranti legati all’albergo: il Bistrò, aperto dalle 7.00 alle 24.00 – con annessi bar e caffetteria – e il Jungle, ristorante sulla spiaggia aperto a pranzo e a cena, in grado di offrire un servizio calibrato, elegante e veloce guidato dello chef Filippo Cassano.

Ma la punta di diamante del Fogliano, è il ristorante gourmet “Il Vistamare” guidato dall’estro mediterraneo, dalla meticolosità, dalla tecnica e dalla grande armonia di brigata capitanata dallo chef Giovanni D’Ecclesiis.

Il Ristorante – La Location

L’impatto è notevole; la vista si perde davanti a un orizzonte che è solo mare. Poi pareti in cristallo, poltroncine color acqua marina, tavoli in legno laccato alternati a quelli di resina grigia, lisci come le rocce delle Seychelles, a quelli in marmo vetrato che, come uno specchio d’acqua, riflettono l’ambiente circostante; mentre decorazioni di corallo, giochi di luce e motivi floreali accolgono l’ospite in un’atmosfera fresca, carica di comfort ed eleganza.

Sotto la regia dell’F&B manager Giammarco Laghi, ci sono la maître Sommelier Samantha Ceraldi Lando e il maître Angelo Petrongelli, entrambi con un ricco background lavorativo sia nazionale che internazionale, mettono in scena un’accoglienza vera e sapiente, mettendo a proprio agio gli ospiti di una grande sala in grado di ospitare sino a cinquanta coperti.

Dallo scorso aprile, lo chef Giovanni D’Ecclesiis, ha abbracciato con passione il progetto, cucendo punto per punto una cucina di equilibrio e grandi piacevolezze mediterranee.

Porta dentro di sé le sua Puglia, una matrice forte arricchita nel tempo da nuove nozioni ed esperienze professionali, contaminazioni e tecniche fatte proprie per esprimere una cucina equilibrata, energica, felice.

Lo Chef e la Cucina

Le idee sono chiarissime, così come gli ambiziosi obiettivi che D’Ecclesiis si è posto. Prima di tutto formare una brigata che abbia un forte senso di appartenenza e di squadra. 

“Ogni giorno sono con i miei ragazzi per costruire una squadra che duri nel tempo. – spiega lo chef – Ogni elemento è essenziale e si deve muovere all’unisono con gli altri. Ognuno è elemento di un’orchestra. Lavoro per farli crescere stimolandoli, superando i loro limiti dettati dalle paure.

Quando mi portano un problema devono anche sottopormi una personale soluzione e, se non funziona, ne cercheremo una insieme. Non devono dimenticare mai che ognuno di noi ha un talento. Questo lavoro richiede tempo e fatica e se uno sceglie di farlo deve tirare fuori il proprio”.  

Una cucina non prepotente che mira a essere personale ma comprensibile, innovativa ma senza dimenticare la tradizione che parte dalla grande attenzione per la materia prima, selezionata nel rispetto della stagionalità interpretata in menu che cambiano bimestralmente.

Dall’orto voluto da Gianluca e Roberta Boldreghini, provengono infatti alcune verdure e le erbe aromatiche, mentre solo fornitori locali per frutta, verdura e pesce, che assicurano una filiera di prossimità.

Mentre spezie e aromaticità orientali esprimono la breve ma intensa eredità orientale; aziende d’eccellenza quali Longino & Cardenal e Selecta garantiscono le materie prime che permettono all’estro di D’Ecclesiis di giocare con contaminazioni e aromaticità esotiche.

Il ristorante propone un menu alla carta e due percorsi di degustazione: Blu da quattro portate e Oltremare da sette portate; accompagnano il viaggio gustosi grissini al sesamo e panini artigianali al Nero d’Avola, noci o mais, serviti con buon burro.

Si inizia con tre amuse-bouche: Seppia Oro Nero, Come una parmigiana e Culurgiones come un gyoza, in cui il gambero lavorato con salsa teryaki è avvolto da un culurgiones che rivendica la mediterraneità di forma e contenuto.

BLU: “Cannolo di spigola, sedano e melone”, un piatto che rievoca il suo passato di crescita alla corte dello chef Beck, un’esperienza rielaborata che gioca con la dolcezza del branzino e le note non aggressive del pimento di Espellette, riduzione di Porto e un gel al limone; inizio morbido che cresce con gli “Spaghetti AOP, cozze, lime e pecorino croccante” e trova ulteriore conferma nel piatto seguente “Polpo arrosto, BBQ e melanzane alla scapece”. Chiude il percorso il “Fondente al caffè, mascarpone, sorbetto al lampone”.

Ogni tanto mi capita di uscire in sala e guardare il mare. Quando mi sento nostalgico e guardo l’orizzonte immagino qualcosa oltre quella linea, qualcosa che va Oltremare”.

OLTREMARE: Sette portate di sapori dinamici all’insegna della scoperta e del mare. Si inizia con il “Crudo Vistamare”, con il pescato del mare di Ponza e del Circeo, valorizzato da taglio, tecnica e cromatismi: tra tutti la “coppa Martini” in cui viene servita un’ostrica con granita di agrumi e spuma di Margarita.

Dal mare alla terra con i profumi della “Panzanella, carpaccio di ricciola e sorbetto di cetriolo” e l’“Uovo croccante, spuma di pecorino toscano Dop, funghi Shiitake, cacao e tartufo”, che trova nella spuma di pecorino il suo diretto richiamo alla terra con un cuore di uovo fondente, unita alla dolcezza dei funghi Shiitake tra la finissima “sabbia” al cacao.

L’interpretazione della mediterraneità e la tradizione esplodono negli “Gnocchetti di patate in guazzetto di frutti di mare al lemongrass” e nel “Risotto cacio e pepe, fave e capasanta”, lì dove il pepe viene tostato assieme a cardamomo e ginepro tostati. Il “Rombo, pomodoro secco, olive e peperoni arrosto” è una dedica alle origini partenopee della moglie, così come il “Babà al rum con crema inglese alla vaniglia e gelato di pinoli e sale di Cervia”.

La cucina del Vistamare è una cucina di identità, meticolosa, precisa e passionale che esprime la personalità dello chef D’Ecclesiis. Poi l’atmosfera, la cura dei dettagli, la ricerca di un criterio estetico fatto di sostanza ed eleganza. Se l’obiettivo era quello di porsi come un unicum, sia per location sia per offerta enogastronomica, credo sia pienamente centrato.

LO CHEF

Giovanni D’Ecclesiis nasce a Gravina di Puglia e frequenta l’alberghiero di Matera. Sin dal primo anno di scuola, anziché andare a giocare dopo la scuola, preferiva fare piccoli lavori nelle cucine o nei laboratori di pasticceria vicini a casa. Percorre tutta la classica gavetta a partire dalle stagioni estive in Riviera Romagnola, dove conosce diversi chef. Ascoltando i loro consigli si trasferisce in Toscana dove lavora per due anni al Villa San Paolo a San Gimignano, poi presso I Salotti a Chiusi con Salvatore Quarto che lo porta al Relais & Chateaux Banfi a Montalcino, dove conosce Massimiliano Blasone. Una conoscenza preziosissima. Blasone lo prende nel suo ristorante e, dopo aver ripreso la Stella Michelin, lo porta a Londra per l’apertura del locale di Heinz Beck, dove ricopre il ruolo di senior chef di partita. Tornato in Toscana ricopre per cinque anni il ruolo di sous chef al Rosewood Castiglion del Bosco. Qui matura un’esperienza a 360° su tutto il mondo dell’hotellerie di lusso e finalmente, dopo il ruolo di executive chef ricoperto al Relais La Suvera a Casole d’Elsa, il suo viaggio fa sosta nel litorale pontino a Il Vistamare, dove una proprietà fortemente convinta delle sue capacità, della tenacità e della sua costante voglia di evolvere lo mette a capo di un progetto ambizioso che mira a rendere il ristorante Il Vistamare una tappa immancabile per tutti gli appassionati di una cucina gourmet che sappia esprimere la mediterraneità con gioia, tecnica ed eleganza in una location unica.

Foto: Stefano Mileto

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Ad affascinare gli ospiti dell’Imàgo, Ristorante panoramico 1 Stella Michelin dell’Hotel Hassler che troneggia su Trinità dei Monti – iconico Hotel di Roberto Wirth, che ne è proprietario e Direttore Generale – oltre all’ineguagliabile bellezza di Roma Città Eterna che fa da abbagliante scenografia, c’è la grande cucina di Andrea Antonini, Executive Chef.

Chef sulla rotta dell’affermazione del sé, Antonini è un concentrato di carattere, energia, determinazione, studio continuo, riflessioni e creatività, citazioni e nuove idee applicate al cibo.

Cotture, non cotture, prodotti di nicchia e purezza dei sapori, giochi sulla tradizione e continui rimandi alla vera protagonista della tavola che è “l’italianità” di sapiente interpretazione espressa in un crescendo di armonie di stagione.

Cos’è uno chef? Cosa ci si dovrebbe aspettare quando ci si siede ad una tavola stellata? Qual è il giusto approccio? Cosa dovremmo tenere a mente? Qual è lo scopo della cucina d’autore?

Se sia il nutrimento più virtuoso o l’urgenza di esprimersi o esprimere concetti attraverso il cibo, sperimentare tecniche innovative o dissonanze di sapore, è sempre interessante capire in quale contesto si inserisca il pensiero di uno Chef celato dietro ai suoi piatti e quali valori voglia proporre o salvaguardare.

Sedersi alla tavola di Antonini, assaporare la sua nuova fase espressiva è, da questo punto di vista, un’esperienza più simile ad un happening artistico, un nutrimento di idee intelligenti, di necessità che diventano virtù e di nuove energie condensate da tecniche in forme e colori mai prive di contenuto. 

La sua cucina di oggi ha il potere di indurre delle riflessioni, di spingersi in avanti nell’analisi del significato della parola “chef” e su quale sia, più in generale oltre al nutrimento del corpo, lo scopo della della cucina d’autore. 

Riflettendo su quali aspettative sia giusto portare a tavola con sé quando ci si siede ad una tavola insignita della Stella Michelin, sappiamo che per emergere e attirare corpi celesti che brillino di luce propria, non esiste una formula precisa, non ci sono criteri precisi, e che, quando varchiamo la soglia di luoghi straordinari di grande cucina e grande accoglienza, non si parla solo di piatti, di prodotti e di percorsi di affermazione professionale, ma che la differenza la fa l’esperienza, nella sua interezza.

Seduta nella sala dell’Imago ho provato la cucina di Antonini per la seconda volta, nel mezzo, c’è stata la Pandemia. Ho trovato un menu diverso, uno chef diverso. Se il primo approccio al suo desco è stato abbagliante e netto, con un menu che rivelava tutta la sua voglia di affermarsi, mostrare e dimostrare le sue capacità; questa volta ho trovato uno chef di carattere, che ha creato un percorso carico di espressività, grinta, capacità. Un menu che è ponte tra natura e cultura, colore, consistenze e modernità.

Un’orchestrazione ben riuscita, che abbraccia la sala intera, guidata con sicurezza e destrezza da Marco Amato assieme al sommelier Alessio Bricoli, e la cucina, governata da Antonini con il puntuale contributo di Riccardo Romoli, sous Chef, ​​Luigi Senese, Andrea Carbonaro, Mariasole Martella e Adriano Gentiluomo.

Il menu è ampio e parla italiano. Il percorso degustazione articolato, caleidoscopio; bisogna arrivare alla fine per comprenderlo nella sua completezza.

Si presenta come uno di quei disegni dove è necessario unire i punti per avere la risultate dell’immagine, e suggerisce gli spunti per un parallelismo gastronomico – musicale in un percorso personale da scomporre e ricomporre come ne “Le quattro stagioni” di Vivaldi.

Queste le prime note di Entrata: Riccio di mare, la Carbonara, la Lattuga, la Kombucha, Crocchetta di baccalà, Bouquet di erbe. Una ouverture di assoluto effetto che assicura un’esperienza multisensoriale di spessore.

Abbiamo deciso di cuocere il pane all’arrivo del cliente, mostrandolo ancora crudo al suo arrivo e che, dopo esattamente 35 minuti, arriva al tavolo ancora “scricchiolando”. Poi grissini, “Pizza, mortadella e maritozzo” come omaggio a Roma.

L'estate. Crudo Misto all’Italiana: Ostrica e champagne; Pralina di Bloody Mary; Gambero rosso in caprese; Cetriolo di mare alla mediterranea; Calamaro, fiore di zucca e arachidi; Tracina, pesca e fegatini di pollo. Per i suoi toni accesi e decisi, questo primo “concerto visivo e sensoriale”, riflette con maggiore efficacia rispetto agli altri la carica esplosiva della stagione, regno di mare e freschezza.

L’Autunno, con i suoi i ritmi scanditi della caccia, dal bosco e la sua “Carne cruda alla pizzaiola, latte fermentato, nocciole e salsa bernese alle erbe”; Poi, “Ravioli scampi e porcini”, trasognati bottoni ripieni che anticipano la stagione che verrà tenendola legata all’estate attraverso alle dolcezza dei crostacei.

L'inverno, in questo percorso viene ben rappresentato dalConiglio alla cacciatora”, valorizzazione inedita di una carne da cortile, lavorato magistralmente tanto da assumere consistenze addirittura simili a quelle delle carni marine.

Poi il dessert: “Pera, ricotta e cioccolato” e la piccola pasticceria che, dopo una pioggia di “pop corn”, arriva e accompagna la serena accettazione del rigido clima invernale. 

La primavera, rappresentata dagli “Spaghetti ai ricci di mare affumicati e pecorino”, quando le gonadi sono maggiormente sviluppate e il periodo di raccolta dei ricci di Mare è migliore nei mesi invernali e primaverili, Poi, “Riso rosa, gamberi gobbetti, stracchino e barbabietola”, che portano con in sé gli elementi cromatici accesi, i prodotti della terra che rinasce, quelli della tradizione agropastorale e le note miti del mare che verrà.

Che rapporto hai con la cucina?

Passionale. Ogni menu è un amore a sé, un lavoro chiuso su se stesso. Ha una sua propria storia, una sua genesi e, una volta messo a punto lo vivo fino in fondo, poi lo metto da parte, e già vorrei iniziarne un altro. 

Cosa hai maturato in questo anno e in quale direzione stai andando?

In questo difficile anno appena trascorso, sicuramente ho maturato tanta consapevolezza. Tutti noi, a questi livelli, eravamo abituati ad avere molti comfort in cucina che si sono rivelati non essere strettamente necessari per ottenere risultati convincenti. Si può lavorare bene anche senza essere 12 in cucina e, per assurdo, coordinandosi alla perfezione, forse anche meglio.

Raccontami l’idea della “lattuga in sala”.

Ho trovato questo fornitore che mi manda dei germogli che io faccio crescere fino ad essere una piccola lattuga. La guardavo, non sapevo come valorizzarla. Da lì l’idea di servirla a tavola ancora viva. Il concetto è di servire al cliente un prodotto il più fresco possibile connesso all’idea di estate, di stagione, che terminiamo con maionese ai capperi, limone, “polvere di cacciatora” con olive, capperi e rosmarino; sopra dei fiori e erbe  acide come acetosella e fresca come la menta.

Oltre l’interpretazione che ognuno può dare, e le armoniche assonanze di sapore, qual é il messaggio che hai messo nel tuo menu?

E’ un menu scritto e ideato in pochissimo tempo. Abbiamo avuto tanto tempo per pensare e poco per fare. Appena ho potuto avere il contatto vero con la cucina, toccare ingredienti e materie prime, è arrivata l’ispirazione. Il concetto che lega tutti i piatti è quello, nonostante le difficoltà affrontate, è stato quello di aver costruito un menu solido, che funziona, di grande qualità e grande creatività.

Qual è la differenza con il tuo primo menu?

Il primo menu era un menu fortemente influenzato dalla paura di sbagliare. Adesso c’è più serenità, più estro, più libertà. Le capacità sono le stesse.

Dove sta andando la cucina italiana?

C’è una grandissima evoluzione, il livello della “nuova guardia” è alto, sono tutti incredibilmente preparati a livello tecnico, con la possibilità che hanno di costruire la propria preparazione nelle cucine più diverse e tornare con grandi bagagli. Ma non amo le tendenze, le mode forzate, tecniche utilizzate solo per stupire. Ho un grande amore e rispetto per la cucina italiana classica, che mi piacerebbe non perdesse mai la sua grande identità.

Su quali principi ti sei basato per costruire oggi la tua personale visione di cucina?

I principi sono sempre i miei, quelli legati alla grande cucina italiana. Creare un menu dove non siano inseriti e lavorati ingredienti esteri, blasonati, di facile richiamo, non è semplice. Le tecniche che ho appreso nel mio percorso, il bagaglio che custodisco, mi serve per mia cultura personale, è un bacino al quale attingo per dare forma alle mie idee: il mio intento è quello di appagare i nostri ospiti con qualcosa di complessa costruzione che però in appaia il più semplice possibile.

Tra poco è San Lorenzo. Pensi possano raggiungerti nuove stelle?

Per il lavoro intenso che abbiamo fatto fino ad oggi, per il concetto che stiamo portando avanti tutti insieme, saremmo più che felici di ricevere un nuovo riconoscimento. Ma non voglio fare previsioni; logiche e criteri di attribuzione non sono di mia pertinenza. Posso solo dire che l’Imago viaggia ad un livello altissimo, che il menu piace, e che tutto è in equilibrio di scambio e condivisione tra sala e cucina: tutti noi speriamo solo che questo arrivi ai nostri ospiti e a chi dovrà giudicarci. Nell’attesa continuiamo ogni giorno a proporre il nostro meglio.

Photocredits – Alberto Blasetti – www.albertoblasetti.com

Imàgo

Piazza Trinità dei Monti, 6 – 00187, Italy |Dal Martedì al Sabato: 19:00 – 22:30. Chiuso la Domenica ed il Lunedì. Contatti:imago@hotelhassler.it
Tel. +39 06 699 34726
| Sito

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I migliori indirizzi per soste golose a margine di percorsi naturalistici, dai Parchi Nazionali ai Siti Unesco: “Italia all’Aria Aperta” è la la nuova guida di Gambero Rosso realizzata in partnership con Enel Green Power.

Una guida all’insegna non solo di luoghi e paesaggi straordinari, ma anche di prodotti, mestieri e tradizioni alla scoperta di un’Italia poco nota, ma che ha tutte le caratteristiche per essere protagonista del turismo nazionale e internazionale.

La conferenza di presentazione si è svolta presso la Sala Cavour del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali alla presenza del Ministro Stefano Patuanelli, del Direttore Enel Italia Carlo Tamburi e del Presidente di Gambero Rosso Paolo Cuccia.

“Il nostro Paese ha un patrimonio immenso da valorizzare, fatto di natura, cultura ed enogastronomia. Far conoscere luoghi, paesaggi, cibi del nostro territorio significa contribuire in maniera decisiva al rilancio sostenibile del Paese”, dichiara Stefano Patuanelli, Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali.

“La Guida “Italia all’aria aperta” di Gambero Rosso evidenzia come la transizione ecologica rappresenti un’opportunità imperdibile di sviluppo per il nostro Paese. Una Guida che ci invita, con rafforzata convinzione, a percorrere la strada intrapresa per un rilancio basato sulla sostenibilità economica, ambientale e sociale. Tre dimensioni interconnesse tra loro, che non devono mai essere scisse l’una dall’altra. L’impegno del Mipaaf prosegue lungo questa direzione attraverso la nuova Politica Agricola Comunitaria e con il PNRR, strumento che utilizzeremo come leva per la svolta green”.

La Guida illustra le eccellenze agroalimentari prodotte in contesti unici al mondo. Luoghi ricchi di storia, di tradizioni, di mestieri legati alla terra, di cibo e di vino. Paesaggi incontaminati dove imprese e ospitalità sono indissolubilmente legate ai territori che li accolgono e che sono capaci di generare un’offerta ineguagliabile.

Venticinque parchi nazionali e due grandi parchi regionali friulani, oltre 1.000 indirizzi dove mangiare, degustare e fare la spesa all’interno e nei pressi delle aree verdi italiane in circa 400 comuni: la nuova guida del Gambero Rosso è frutto di una certosina ricerca di insegne di valore in zone spesso poco conosciute e non battute dal turismo di massa. 

Italia all’Aria Aperta è il prodotto editoriale, pensato e realizzato durante il lungo periodo di pandemia e di chiusure, risponde al desiderio di tornare a scoprire spazi verdi, ambienti e sane realtà, dove la natura sia protagonista.

La guida, in edicola e in libreria in questi giorni, è stata realizzata in partnership con Enel Green Power, che all’interno del Gruppo Enel si occupa di energie rinnovabili ed è impegnata a valorizzare i propri impianti e i territori che li ospitano anche attraverso il coinvolgimento di cittadini e turisti in percorsi interattivi ed esperienziali in ambienti naturali suggestivi.

La realizzazione della guida è stata possibile grazie anche al contributo dei direttori delle diverse aree verdi che raccontano i loro parchi e ne evidenziano le caratteristiche particolari a livello di biodiversità e di interesse floro-faunistico e ambientale.

Ghiacciai, vette, boschi, acque incontaminate: i parchi nazionali italiani regalano paesaggi unici al mondo. Ma non solo. I percorsi naturali sono legati a doppio filo alle storie degli artigiani del gusto, custodi di un incredibile patrimonio enogastronomico tutto da scoprire.

La guida “Italia all’aria aperta” mette in luce vere e proprie ricchezze italiane che possono essere un motore per il rilancio dell’Italia in perfetta armonia con il percorso di transizione energetica che Enel sta guidando con il coinvolgimento delle comunità locali” 

La sostenibilità è il filo che lega da sempre gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili diffusi nel nostro Paese e lo straordinario patrimonio di paesaggi, luoghi ed eccellenze dei territori” dichiara Carlo Tamburi, Direttore Enel Italia.

Il Turismo sostenibile è appunto una forma necessaria di turismo, capace di soddisfare le esigenze dei viaggiatori di oggi e delle regioni ospitanti prevedendo e accrescendo le opportunità per il futuro, mantenendo l’integrità culturale, i processi ecologici essenziali, la diversità biologica, i sistemi di vita dell’area in questione.

Il turismo ecosostenibile, qui arricchito da soste enogastronomiche, guarda al futuro: si tratta di un insieme di pratiche e scelte che non danneggiano l’ambiente e favoriscono uno sviluppo economico durevole, non danneggiando i processi sociali locali, ma contribuendo al miglioramento della qualità della vita dei residenti.

Economia, Etica e Ambiente sono i principi fondamentali su cui si basa il turismo sostenibile.

Siamo orgogliosi di aver presentato questo nuovo prodotto editoriale, in cui abbiamo creduto fortemente, presso il Mipaaf alla presenza del Ministro Stefano Patuanelli e di Carlo Tamburi Direttore di Enel Italia” dichiara Paolo Cuccia, Presidente di Gambero Rosso 

Con questa guida Gambero Rosso vuole valorizzare i percorsi turistici all’interno del grande patrimonio di biodiversità che il nostro Paese possiede ma anche indurre alla riscoperta di strutture produttive di energie rinnovabili ben inserite nel paesaggio.”

 photocredits Carlo Maria Viola – www.imaginificio.it
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Treedom è l’unica piattaforma web al mondo che promuove progetti di sostenibilità ambientale etica, che permette di piantare alberi a distanza, e di seguirne la crescita online.

Valerio Esposito, patron di Tonka – il cuore del gelato ad Aprilia, rappresenta oggi la nuova generazione di gelatieri che perseguono con costanza la ricerca del gusto assoluto attraverso l’elevata qualità delle materie prime e il rispetto per l’ambiente.

Iniziative Nate entrambe nel 2010, Valerio ha sposato il Treedom per potenziare una filosofia di produzione più sostenibile e rigorosamente less plastic che contribuisce a rendere più verde il pianeta proteggere il suolo e la biodiversità.

Tonka, gelateria artigianale di Aprilia apre le porte alla sostenibilità a 360° proponendo un gelato non solo buono, ma etico e “green”, riducendo il consumo di plastica monouso e limitando così il proprio impatto ambientale.

Dai coloranti artificiali ai semilavorati, dai grassi vegetali agli idrogenati passando per emulsionanti, pregelatinizzati e aromi di sintesi che imperavano fino a qualche tempo fa, il passo in avanti è davvero notevole.

Da Tonka nessun compromesso con la qualità, solo la voglia di appagare o stupire il palato con nuove combinazioni di ingredienti che siano però frutto ricerca e sviluppo. Un orientamento generato della passione di una famiglia affiatata e dall’attenzione per le materie prime che passa per la tutela dell’ambiente e della salute.

A guidarla, Valerio Esposito, cresciuto nel laboratorio di pasticceria, grande comunicatore, giovanissimo campione regionale del Gelato World Tour nel 2016, vincitore del Festival del Gelato Artigianale nel 2018, e promotore, insieme alla compagna di vita e professione Jennifer Boero, di un progetto di green marketing che punta dritto al cuore del gelato.

Quest’anno – racconta Valerio – abbiamo deciso che era venuto il momento di dare importanza non solo al prodotto, continuando a investire in ingredienti di altissima qualità e in macchinari all’avanguardia, ma a fare in modo di indirizzare la produzione verso la sostenibilità e la riduzione drastica della plastica, sia nella produzione che nel consumo, puntando, in un prossimo futuro, al plastic free.

Tonka ha infatti posto in primo piano l’importanza di produrre gelato secondo i dettami di un codice etico, promuovendo la tutela ambientale. Da qui l’idea di aderire a Treedom.

Piattaforma digitale con sede a Firenze che, dalla sua fondazione, ha permesso di piantare più di 1,3 milioni di alberi in Africa, America Latina, Asia e Italia ad opera diretta degli agricoltori locali, contribuendo a produrre benefici ambientali, sociali ed economici. Ogni albero di Treedom ha una pagina online, viene geolocalizzato e fotografato, può essere custodito o regalato virtualmente a terzi.

Questi gli ingredienti base di Treedom: grafiche moderne, un’esperienza utente che deve molto al mondo del gaming ispirata a Farmville – gioco che simula la vita di un agricoltore e permette ai giocatori di piantare, far crescere e raccogliere piante e alberi virtuali – , un sistema di geolocalizzazione per garantire la massima trasparenza e la possibilità, aperta a tutti e a portata di tutte le tasche, di piantare alberi con un solo click.

A piantare e prendersi cura degli alberi sono comunità di contadini locali che li pianteranno insieme alle proprie colture annuali, come mais o fagioli. Grazie agli alberi da frutto, le popolazioni di queste terre hanno l’occasione di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento alimentare e di potenziare il loro reddito.

Come hai conosciuto la piattaforma Treedom?

Avevamo deciso di intraprendere una politica di “less plastic”, ma da sola non bastava, quindi abbiamo deciso di potenziarla con un progetto Green e di piantare degli alberi. Abbiamo trovato tante piattaforme “adottare” alberi, ma quello che noi volevamo fare era apportare un beneficio in più alla Terra. Così abbiamo deciso per Treedom, l’unica piattaforma affidabile che ci dava questa possibilità.

Come funziona?

Chiunque può andare sul sito e comprare un albero che verrà poi piantato. Ad esempio un albero di Cacao in Camerun, Papaya in Tanzania o Mango in Madagascar, tramite transazione. L’albero viene poi piantato dall’agricoltore locale, si riceve una carta di identità con geolocalizzazione e documentazione fotografica della sua crescita.

Perchè l’impegno ambientale è così importante per Tonka?

L’impegno ambientale per noi è importante perchè sono anni che portiamo avanti una politica di qualità, ma volevamo aggiungere l’ingrediente etico al nostro gelato, quindi abbiamo deciso di iniziare questo progetto facendo in modo che il messaggio arrivi al cliente.

In ogni fase di lavorazione ci deve essere benessere per tutta la filiera in modo che il momento del consumo del gelato fosse un momento di spensieratezza totale.

Quali sono i valori aggiunti al vostro gelato?

Qualità assoluta degli ingredienti utilizzati, lavorare con piccole aziende agricole e non, come ad esempio torrefazioni a carattere familiare; e km zero quando serve, quando lo riteniamo sano e opportuno.

Il nostro codice etico abbraccia tutta la filiera produttiva, il lavoro e la persona. Laddove, infatti, la materia prima proviene da piantagioni estere, preferiamo quelle aziende che diano il giusto compenso agli agricoltori e che siano attente alle condizioni di vita dei lavoratori. 

Quali e Quanti alberi avete piantato?

Abbiamo piantato circa 15 alberi, ma abbiamo già progetti per la prossima stagione che ci permetteranno di portare avanti l’idea di un’etica che non tralascia nessun dettaglio.

Quali sono i gusti che hai creato per valorizzare i frutti degli “alberi di Tonka”?

Il Caffè, arricchito da un’infusione di anice stellato e variegato con una stracciatella di crema e il Caffè lavorato con olio essenziale di arancia e datteri; il Passion Fruit in veste di gelée a variegare un’aromatica crema di vaniglia del Madagascar e in veste di sorbetto (gelato a base acqua), vivacizzato dalla noce moscata; la Papaya, sempre lavorata a base acqua, che mixa la sua dolcezza con la freschezza del pompelmo e la piccantezza del pepe nero, e ancora la Papaya, sempre in sorbetto  vivacizzata da un’estrazione di zenzero e da semi di sesamo caramellati.

Il Mango, con una fresca nota di basilico e stracciatella di carote e poi, nella seconda versione, aromatizzato da un’infusione di salvia e un variegato di frutti di bosco. Il quinto gusto dedicato agli alberi non poteva che essere il Cacao in una veste davvero nuova e insolita: estratto di polpa di cabossa (frutto del cacao) monorigine Equador, lavorato con succo di limone e vestito con una stracciatella di cioccolato trattato con metodo Modica e gelato al burro di cacao naturale, monorigine Perù, spolverato con polvere della stessa monorigine.

IL PROGETTO TREEDOM

Divenire soggetto proattivo in un presente orientato al buon futuro è il seme che ha dato vita ai progetti realizzando attraverso la piattaforma Treedom.

Collaborando con Treedom si può fare tutto questo e molto altro, perché ognuna delle collaborazioni viene creata su misura a partire dagli obiettivi delle aziende. Oggi sono più di 3000 le aziende che hanno scelto Treedom per mostrare il proprio impegno ambientale. Fra queste, ci sono tanti brand internazionali e iconici, ma anche tantissime piccole e medie imprese, che vengono seguite dai nostri consulenti specializzati per trovare una soluzione su misura; per il momento la nostra preferita è TONKA!

Tonka • Il cuore del gelato

Via Ugo Foscolo, 15 – 04011 Aprilia LT

Tel. 348.6960986

Photo – All Rights Reserved – www.albertoblasetti.com

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Ricerca e semplicità. Stagione e Territorio. Piccoli produttori, grandi materie prime e sensibilità estetica nel piatto. La cucina di Andrea Pasqualucci, chef trentenne del ristorante Moma di Roma, una stella Michelin, è un “gourmet semplice”, immediato, diretto, affilato, comprensibile, netto.

I fratelli Gastone e Franco Pierini, imprenditori nella ristorazione da oltre 40 anni e consapevoli del valore delle nuove leve, hanno messo al centro del progetto una giovane squadra under 35 anni.

Guidati dallo chef Andrea Pasqualucci, il Maitre di sala e Sommelier Federico Silvi e da Federico Cucchiarelli, hanno ricevuto nel 2018 la prima Stella Michelin puntando su una filosofia tanto semplice quanto rivoluzionaria: un rapporto costante e diretto con i piccoli produttori per portare nel piatto le risultanti di una filiera sostenibile, etica e di valore in tutte le sue componenti.

Ambiente moderno, arredamento essenziale, toni del grigio. Sala al primo piano, articolata, dinamica con le tovaglie di cotone tese come lame e la bella mise en place.

Aperto nel 2002, prima stella Michelin nel 2018, il nome del locale è stato ispirato dal Museum of Modern Art di New York, con l’aspirazione di riprodurre proprio il concetto di “contenitore di opere d’arte”.

«Nella mia testa avevo in mente uno spazio semplice, lineare, luminoso – commenta Gastone Pierini – ispirato ai grandi architetti del secolo scorso, su tutti Oscar Niemeyer, il creatore di Brasilia che perseguiva lo spettacolo dell’architettura. E pensando che anche il cibo dovesse essere uno spettacolo abbiamo realizzato una scenografia che gli fosse congeniale: materiali di grande pregio, come il travertino e il legno naturale,  avrebbero dato la giusta importanza ad opere di “arte gastronomica”. La parola d’ordine di Moma è “contemporaneità”, che doveva essere ben visibile nelle sculture, nei quadri, nelle fotografie e nel piatto».

Tra piazza Barberini e piazza della Repubblica, il Moma – bistrot a pranzo e ristorante stellato a cena – oggi divide la sua accoglienza in due atmosfere distinte unite dalla stessa filosofia, dove ogni piatto diventa inno alla stagionalità e freschezza delle migliori materie prime provenienti solo da piccoli produttori. La grande distribuzione non è ben gradita ed è la questa filosofia che incontra ogni pietanza.

Pescato croccante, salsa al burro acido, finocchio e peperoncino
Sgombro marinato, pomodoro alla brace e prezzemolo.

«Aver incontrato Gastone – racconta Andrea– ha cambiato la mia vita. Ero un giovane cuoco deciso a mettermi in gioco in cucine importanti, come quella di Oliver Glowig e Moreno Cedroni, e trovare un imprenditore che avesse così chiara la visione della ristorazione futura è stata per me una folgorazione».

Tutte le sue preparazioni codificano sapori contadini della memoria, valorizzando spesso tagli poveri, come il quinto quarto e il pesce azzurro. Pochi ingredienti di base, sempre riconoscibili, uniti a profumi, spezie o erbe che ne esaltano i profumi. Amante delle note acide, i suoi piatti si contraddistinguono per picchi di sapore nell’alternarsi di dolce, amaro, acido, sapido, tenue, aspro e pungente. Quasi maniacale nell’attenzione e nella cura della scelta della materia prima, ha selezionato i suoi fornitori garantendosi eccellenze che rispettino i principi di prossimità, filiera corta e racconto del territorio.

Alta cucina caratterizzata dalla leggerezza della semplicità e dalle citazioni alla tradizione, l’inizio del percorso degustazione (“Cambiamenti” – 5 portate – 90€) la sfilata delle Amouse bouche rappresenta il bell’incontro tra alta cucina salata e alta pasticceria. Precisione millimetrica, equilibrio tra gli ingredienti, proporzioni perfette, un’alchimia fatta di formule di tradizione e di nuovi esperimenti così aggraziati da giocare disinvolti con i sapori dell’aia tra fegatini di pollo e formaggi, bon bon di deliziose tartare e cialde croccantissime.

Ecco la “croccantezza”, cifra stilistica e dettaglio costante nei piatti di Pasqualucci, di cui, ottimo interprete, sembra detenere il segreto.

A svelare questa su abilità, prima tra tutte le “sfoglia croccante” che arriva a tavola assieme al pane. Un sapore così centrato e intenso da riportarti immediatamente tra le mura dei forni di un tempo, quelli intrisi del profumo inebriante del pane e della pizza bianca, quella romana, con l’olio goloso negli incavi della fragrante trapunta traslucida qui sintetizzata in una semplice sfoglia. Ecco un bell’esempio di storie antiche e idee di futuro.

Anche lo Spaghettino tiepido all’olio di Coratina, melassa di cipolle e caprino “Anarchico”, affilato nella sua semplicità, è un accordo di sapori forti e ingredienti di carattere, che assieme si ammorbidiscono ed esprimono la loro armonia. Viene servito tiepido, cotto in acqua di pomodoro, emulsionato a freddo con olio di Coratina, cultivar pugliese dalle spiccate note pungenti e amare a ricordare una bruschetta, arricchito poi da caprino a dare la nota acida smussata dalla cipolla, resa quasi una melassa.

Il nostro orto di stagione in giardiniera”, manifesto gastronomico del Moma risultato di una certosina selezione della materia prima in continuo rapporto con la stagione, e che si rincorrono in un sapiente alternarsi di agro e dolce.

Le “Animelle di vitello al fieno, agretti, bagna cauda e salsa cacciatora”, cotte a bassa temperatura, panate e fritte in burro chiarificato e lavanda, vanno bene per tutte le stagioni, anche in presenza della bagna cauda e della salsa alla cacciatora che le irrora.

Le “Tagliatelle di seppia alla puttanesca”, rappresentano il vivo contrasto, il postmoderno incontro tra la graffiante salsa alla puttanesca – tirata, intensa, sapiente – e la leggerezza eterea della tagliatella di seppia: un perfetto esempio di recupero di stile di cucina del passato in una struttura gastronomica contemporanea, mediterranea. Davvero incisive nella loro netta dicotomia.

Chef, come si fa a rimanere sempre attuali?

Il modo migliore per rimanere attuali è avere sempre un libro sottomano. Studiare. Aggiornarsi continuamente. Informarsi, confrontarsi tra colleghi, sperimentare ogni giorno per rimanere al passo con i tempi, con i prodotti, con cotture, tecniche e sistemi di conservazione.

Qual è il futuro della cucina?

Il futuro della cucina sta tornando indietro, verso una cucina classica nel pensiero ma innovativa nell’interpretazione personale di ogni chef. Dopo la moda delle contaminazioni estere, si sta tornando ai sapori più decisi, concreti. Da un certo punto di vista, il futuro è riscoprire il passato.

Quali sono i piatti che ben rappresentano la filosofia di Moma?

I piatti che ben rappresentano la nostra filosofia di materia prima, prodotto territorio stagionalità: “Il nostro orto di stagione in giardiniera” è un piatto che cambia di continuo, anche settimanalmente e che è per sua natura in continua evoluzione. Il “Polpo verace alla piastra con radici e dragoncello messicano”, un piatto che cambia in base alle stagioni perché con esse mutano le radici: dalle rapette invernali ai ramoracci e  alla scorzonera fritta. Il polpo quello non cambia, un polpo verace che proviene dalla Puglia. Cotto a bassa temperatura in modo da renderlo volutamente morbido all’interno e poi scottato sulla piastra per farlo risultare croccante fuori, è accompagnato da una maionese ottenuta dalla sua acqua con aggiunta di lime, aromatizzato da una nota di dragoncello, poi finito con una vinaigrette ottenuta con i pomodori gratinati sulla brace e conditi con aceto balsamico e Xeres.

Nel “Pescato croccante, salsa al burro acido, finocchio e peperoncino”, che e che aderisce alla stessa filosofia di costa e asta, i contrasti e le acidità vengono apportati dalla piccantezza del peperoncino e freschezza della salsa burro, lime, scalogno e Pernod; il “Risotto anguilla, camomilla, origano e miele” (ricetta QUI) non ha invece stagionalità, e viene condito con la salsa Shoyu, che è una salsa di soia fermentata viterbese di ceci e farro.

Risotto anguilla, camomilla, origano e miele
Il nostro orto di stagione in giardiniera
Franco e Gastone Pierini, Federico Cucchiarelli e Andrea Pasqualucci

Qual è, o quale dovrebbe essere, l’obiettivo di uno chef e qual è il tuo?

Ogni chef ha il suo obiettivo, ma credo che ciò che ci accumuna sia l’apprezzamento del nostro lavoro, raggiungere il riscontro più positivo possibile da parte del cliente, che è sempre al primo posto.

Più di tutto, per me riuscire a mettere la propria personalità, il proprio carattere nel piatto, rendere riconoscibile la propria cucina. Ognuno ha la sua impronta, ognuno ha la sua storia. Fare in modo che tutto questo al cliente, è il massimo.

Qual è la partita che ti diverte di più?

Mi trovo a mio agio in tutte, mi diverte molta la Pasticceria, ma la partita in generale che preferisco è quella della domenica a calcetto con gli amici – ridiamo.

LA CANTINA

La carta rappresenta le migliori zone vinicole italiane e, certamente, si concentra sui grandi classici,come i “Super Tuscan”, i rossi Piemontesi, i bianchi Friulani e i vini delle Isole, con una accurata selezione delle annate più importanti. Presenti anche alcune delle migliori bollicine italiane, Franciacorta in testa. Immancabile un giusto tributo ai rossi di Francia, con una selezione delle aree di eccellenza, come Borgogna, Bordeaux, Loira e Champagne. Uno spazio a parte è dedicato alle piccole produzioni artigianali, vini unici che raccontano i territori e il lavoro attento e meticoloso dei vignaioli, con alcune chicche del territorio laziale.

BIOGRAFIA DELLO CHEF

Chef del Moma è Andrea Pasqualucci, romano, classe 1989. Convinto fin da ragazzino che la cucina fosse la sua vera missione si iscrive all’IPSSAR di Tor Carbone. La sua prima esperienza è con lo chef Armando De Giorgi, suo mentore, che gli trasferisce le sue competenze e la passione per la cucina. Da Aroma, con lo chef Giuseppe Di Iorio, impara le basi della cucina francese e come si viva in brigata, facendo lavoro di squadra. Approda poi all’Hotel Aldrovandi, dove lavora con lo chef Oliver Glowig: qui, comprende la centralità dei prodotti italiani e l’importanza della cura per gli ingredienti. L’amore per il mare lo conduce fino a Senigallia da Moreno Cedroni alla Madonnina del Pescatore, dove affina le sue conoscenze sulle lavorazioni del pescato. Nel 2017 i fratelli Pierini affidano ad Andrea la cucina del Moma.

RISTORANTE MOMA

Via di San Basilio, 42 – 00187 Roma

Telefono06 4201 1798 / www.ristorantemoma.it

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Tra l’Aventino e la Piramide Cestia, c’è un nuovo indirizzo dedicato alla spesa d’eccellenza. Al Banco, il meglio delle carni italiane e straniere, selezioni di salumi, formaggi, pane, gastronomia e prodotti del territorio di altissima qualità; ai tavoli la cucina dello Chef Matteo Militello realizzata con passione partendo dall’elaborazione creativa dei tantissimi prodotti ricercati in vendita.

Cresce la spesa alimentare e le botteghe mettono la quinta gareggiando con i supermercati. Una proliferazione interessante, determinata da vari fattori che vanno dalla recente forzata impossibilità a mangiare fuori casa, al bisogno di gratificazioni a tavola, passando per la ritrovata voglia di cucinare, gratificarsi e tornare a condividere esperienze enogastronomiche.

Per questa via “i buoni esercizi di prossimità” stanno registrando i migliori risultati sul piano imprenditoriale, complice la ricerca, al momento degli acquisti, di un rapporto diretto, e quello di intessere o ritrovare quel sistema di piccole fiducie quotidiane, più frequente nelle realtà a misura d’uomo. Un’altra vecchia-nuova tendenza figlia della “grande incertezza” e del bisogno di ritrovare rapporti umani diretti, sguardi d’intesa, piccole grandi sicurezze e consigli ad personam.

Così apre Aventina, format inclusivo che riunisce sotto un’ unica insegna tante bontà della tavola con l’idea di offrire specialità sia per l’acquisto al dettaglio sia per il consumo in loco.

Da una parte vera e propria bottega – il cui fine è ricercare il meglio delle produzioni italiane del settore alimentare e mostrarle su un lungo bancone in cui trovano posto carni scelte accuratamente, formaggi, salumi di presìdi Slow Food, selezioni di pane, eccellenti qualità di pasta, riso, conserve, marmellate, vino e tanto altro – dall’altra cucina elaborata a partire dall’ampia offerta gastronomica a scaffale e sul banco del fresco.

Un luogo dove riscoprire il valore dell’artigianalità insieme a quello delle relazioni umane, un rapporto diretto con il gastronomo, macellaio e fornaio, che diventano depositari di saperi e dispensatori di suggerimenti per gli acquisti da tavola.

In cucina c’è lo chef Matteo Militello che si è subito riconosciuto nel “manifesto carnivoro” di Aventina, ha qui l’opportunità di trattare esclusivi tagli di carne che gli saranno indicati direttamente dal commensale, dando vita a una originale esperienza per gourmand fatta di sapori immediati lavorati da mano esperta.

La sua cucina è una summa di piccoli piaceri quotidiani e cibi ricercati, che punta alla gratificazione quotidiana così come a quella extra-ordinaria, in ogni caso basata su piatti semplici, costruita con materie prime genuine, nel rispetto della nostra terra.

In passato sono andato a caccia – commenta Matteo Militello – e ho capito cosa significasse rispettare l’animale e l’ambiente. Questa pratica è fondamentale e, insieme all’etica, costituisce un unico filone che migliora la vita dell’animale, ha un minore impatto sulla natura e perfeziona notevolmente le produzioni”.

Nella fase di pre-opening Matteo ha rintracciato allevamenti senza impiego di OGM o antibiotici, piccole fattorie che valorizzano il rapporto uomo-animale dove non esiste lo stress favorendo così la resa di carni e latte.

A Banco troverete la Fassona piemontese di Oberto, una razza allevata tra le province di Cuneo e Torino – esclusivamente capi femmina che vantano una naturale distribuzione del grasso per una carne più tenera e saporita – il Coniglio grigio di Carmagnola, assieme alla Sashi di origine finlandese e alla Rubia Gallega, massima espressione della carne spagnola.

Negli anni si è persa la piacevolezza della masticazione della carne –spiega Matteo – per colpa dell’allevamento intensivo: le bestie non camminano più e non stando all’aria aperta non sviluppano muscolo. La scioglievolezza, fatta esclusione per le grandi tecniche di frollatura, non è un pregio, anzi. L’animale deve invece avere una vita dignitosa, muoversi senza restrizioni in uno spazio giusto, dove la terra e la natura circostante possano assorbire tutta la parte inquinante che esso stesso genera. Basti pensare che gli allevamenti di bovini producono più gas serra dei trasporti!”. 

Il concept di Aventina ruota intorno alla macelleria e vuole essere il nuovo indirizzo romano di riferimento per trovare la carne più pregiata, frutto di un minuzioso lavoro di ricerca in cui sono state individuate le migliori razze allevate nei pascoli del nostro territorio, con uno sguardo anche al panorama estero. 

LA BOTTEGA DELLE SPECIALITA’: GASTRONOMIA, SALUMERIA & PANETTERIA

Per il banco di salumeria una selezione di cinque prosciutti tagliati a mano, quattro italiani e uno spagnolo: il celebre Jamòn Joselito, considerato il miglior prosciutto al mondo. La Toscana è ben rappresentata con i suini di Cinta senese di Casamonti, piccola realtà sperduta sulle colline dove i maiali vivono allo stato semibrado, mentre dall’Antica Norcineria proviene il Prosciutto Bazzone, uno dei presìdi Slow Food della regione. Nella zona della Tuscia è stato rintracciato Fabrizio Nocci, maestro del prosciutto di Mangaliza di Villa Caviciana. Siciliani sono i maiali del Parco Naturale dei Nebrodi che scorrazzano liberi sul punto più alto delle montagne da cui si scorge persino il mare. Tra gli altri pregiati insaccati artigianali dalla Puglia proviene il Capocollo Santoro di Martina Franca, il crudo di San Daniele del prosciuttificio Camarin, una delle migliori Dop nella località friulana. Dalle Alpi si passa poi alle “piramidi”, con i formaggi siciliani de La Paisanella, azienda all’interno del Parco dei Nebrodi, che fornisce il canestrato, la ricotta salata e quella infornata.

Al banco del fresco e a scaffale la selezione ricade sui prodotti lavorati “come una volta” che fidelizzano il cliente in un viaggio per l’Italia alla scoperta dei migliori produttori, amplificando così il concetto di artigianale e valorizzando territori dimenticati o lontane campagne.

Ogni giorno in negozio si trovano diverse tipologie di pasta fresca del pastificio Mauro Secondi, mentre per quella secca i formati sono dell’abruzzese Zaccagni o delle campane Gemme del Vesuvio e Vicidomini; sul riso è stato riscoperto il grano antico Carnaroli puro, grazie all’azienda Meracinque, o alle risaie di Cascina Oschiena con i loro portentosi chicchi differenziati in base alle diverse preparazioni e cotture. Dall’azienda Galline Felici, alle porte di Roma, provengono le uova fresche covate da galline che razzolano tranquille e depongono con i loro ritmi, mentre per quelle non più produttive scatta il tempo del buen retiro nella pensione dell’aia; sui ripiani dedicati ai lievitati si trova il pane del premiatissimo Forno Roscioli, realizzato con farine grezze ricche di gusto e sali minerali, impasti leggeri e digeribili, uso di sale esclusivamente biologico, oltre alla loro fragrante biscotteria secca.

In Sicilia altra virtuosa collaborazione è con Testa, famiglia di pescatori locali dal 1800, per le pregiate conserve di tonno e alici, emblema del concetto di microproduzione. Fiore all’occhiello lucano è MAB (Masseria Agricola Buongiorno) che si occupa della produzione e trasformazione del Peperone di Senise IGP,realizzando persino il ketchup di peperone crusco! Dell’azienda agricola pugliese Paglione sono i pelati raccolti a mano, inscatolati in purezza oppure lavorati come passata tra cui la Prunill, dal dialetto prun ovvero protuberanza, una varietà autoctona dalla texture setosa e dal sapore intenso che sarà impiegata anche dietro al bancone del cocktail bar per lo special Bloody Mary di Aventina.

Dalle Marche arrivano i mieli di Giorgio Poeta con qualità Acacia e Millefiori ma anche stella alpina e quello invecchiato. Tra le eccellenze del mondo vegetale non potevano mancare Morgan e Agnoni, che ha dedicato una esclusiva linea firmata Aventina venduta naturalmente in bottega e utilizzata anche nei piatti del ristorante.

Passeggiando sulla strada si intravede, invece, la luminosa e ampia vetrina dell’enoteca che accoglie una cantina di circa 250 etichette curata dal sommelier Gabriele Giannattasio. Referenze rappresentative di quasi tutto lo Stivale, con particolare attenzione ai rossi che ben si sposano con la ricchezza delle carni e dei salumi, senza tralasciare anche Francia, Slovenia e Germania. Tra le più blasonate cantine del territorio e qualche altra chicca in carta, una ricca selezione di bollicine italiane con gli immancabili Franciacorta di Ricci Curbastro e di Ca’ dei Pazzi, e Trento Doc, su tutti Ferrari. Sul versante francese, Dom Pérignon, Krug, Ruinart e Perrier-Jouet.

Tutte le bottiglie sono acquistabili singolarmente e, al contempo, vengono in mescita per pasteggiare o per accompagnare un aperitivo di ricercata sostanza dove non mancano taglieri di salumi e formaggi, come le selezioni Slow Food e cinque prosciutti tagliati a mano accompagnati da una focaccia home made. A questa proposta si aggiungono i migliori insaccati di mare come la bresaola di tonno, il pescespada affumicato, il salmone e il carpaccio di cuore di baccalà.

IL RISTORANTE E LA BRACERIA CON COTTURA AL BROILER

Il viaggio nel gusto passa anche per i tavoli del ristorante. Da Aventina si assapora fino in fondo il concetto “dal banco al piatto” perché tutto quello che è esposto nel reparto macelleria può essere gustato comodamente seduti in sala. Chianina, Fassona, Marchigiana, ma non solo: questo tour non si esaurisce nel nostro territorio ma ne valica i confini per scovare le migliori proposte internazionali, come l’appetitoso Black Angus e il ricercato manzo di Wagyu-Kobe.

Gli appassionati della carne si ritroveranno nell’eden della brace grazie all’uso del broiler, una griglia professionale su tre pietre ollari incandescenti che garantisce una cottura salutare, un gusto inconfondibile e una reazione di Maillard omogenea.

Oltre a rispettare pienamente la filosofia del “grigliare”, Militello ha riscoperto il filone delle carni da cortile, tenere e delicate, dal sapore pieno e dal retrogusto deciso, che armonizza in menu con alcune ricette, come nei Pici al ragù di cortile, dove pollo, coniglio, anatra, faraona e tacchino si amalgamano in un saporito sugo di carni bianche che condisce una generosa porzione di pasta fresca fatta in casa, fino al Riso croccante, quaglia e salvia, signature dish dello chef da provare per la particolarità della consistenza del riso, una mattonella croccante che riporta dritta alle gioie della cucina di casa, nappato da una salsa di quaglia e la sua carne, godibilissima.

Per chi non dovesse preferire la carne, per ogni voce del menu, sarà presente sempre un piatto di pesce con referenze da dispensa integrate con gli arrivi giornalieri del miglior pescato, tra i quali i Tagliolini, mandorle e colatura di alici, il Baccalà Roma-Livorno e il Baccalà, acqua di olive leccino Agnoni, ciliegia caramellata e chutney di fico.

Da Aventina c’è spazio anche alle portate vegetariane, tra le quali il Gazpacho di parmigiana e le Polpettine di verdure arrosto con crema di fagiolini e datterini gialli. Per gli amanti dei condimenti una ragionata carta degli oli extravergine di oliva in cui si spazia dalle cultivar siciliane a quelle pugliesi, da quelle umbre a quelle toscane, da quelle laziali a quelle lombarde. A deliziare i golosi, invitanti dessert come l’originale Cannolo siciliano di Piana degli Albanesi farcito con ricotta di pecora, oppure l’omaggio allo chef bistellato Francesco Bracali con il Cappuccino tiramisù, il dolce al cucchiaio Crema di latte Salvaderi, composta di albicocche e crumble al cioccolato e sale, oltre alla linea di pasticceria dedicata in esclusiva ad Aventina dalla vicina Casa Manfredi.

Momenti pre-cena da abbinare ad alcune birre artigianali del Birrificio Lariano o alla miscelazione che valorizza il made in Italy, con una ristretta selezione di gin, grappe, rum e amari squisitamente italiani, tra i quali l’introvabile liquore al carciofo di Agnoni o ancora i soft drink del Südtirol.

L’IDEA IMPRENDITORIALE

Patron di questa impresa è Andrea Ceccarelli, imprenditore del settore immobiliare, coadiuvato da Francesco Rosati, general manager, rientrato dall’Olanda dopo una esperienza pluriennale ad Amsterdam dove ha lavorato in prestigiose compagnie di settore come l’esclusivo member club Soho House. I due si sono conosciuti appunto in Olanda e l’idea di Andrea di dare nuovamente vita alle meravigliose botteghe di un tempo ha trovato in Francesco il perfetto braccio esecutivo, forte della sua esperienza nell’accoglienza. Originario di San Benedetto del Tronto, Francesco ha sposato il format che riunisce, sotto una unica insegna, tante eccellenze della tavola con l’idea di servire le specialità sia per l’acquisto al dettaglio che per il consumo in loco, grazie al ristorante che offre un menu basato sull’ampia offerta gastronomica a scaffale e sul banco del fresco.

Aventina – Carne e Bottega

Viale della Piramide Cestia, 9 – Roma

Telefono 06 66594151 – Email info@aventinaroma.com

Orari di apertura:

Bottega 9:30 – 14:00 / 16:00 – 20:00 | Ristorante 18:00 – 22:30

Chiusura: domenica

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