Sara De Bellis

Categoria: MY STORY BOX

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Arriva il piano nazionale per le riaperture. La Fase 2 sarà operativa dal 4 maggio con mascherine e distanze fino all’atteso vaccino. E sarà una fase delicatissima, perché se verranno commessi errori grossolani, saremo al punto di partenza. Per la ristorazione invece, ancora nessuna nuova, solo tanto Delivery.

Un piano nazionale che tiene presente delle peculiarità regionali: così il Premier Conte ha illustrato le prime ipotesi che potrebbero fissare le nuove coordinate delle linee guida da seguire per affrontare e superare anche la famosa Fase 2, che prenderà il via lunedì 4 maggio.

Il Premier ha parlato di “una riorganizzazione delle modalità di espletamento delle prestazioni lavorative, un ripensamento delle modalità di trasporto, nuove regole per le attività commerciali”.

Inevitabile per ripartire, ma cosa si potrà fare concretamente? Il ministro della Salute Roberto Speranza ha spiegato che il Governo sta lavorando perché il 4 maggio “i cittadini possano uscire, sempre che i dati lo consentiranno”.

Per la Ristorazione nulla di nuovo, se non per il Delivery e Consegne a domicilio che non sono sufficienti ad evitare la crisi del settore, che tra l’altro rischia di essere una delle ultime attività a poter ripartire.

Per questo, dopo il primo appello del 2 aprile, il comparto dell’imprenditoria enogastronomica si è nuovamente mobilitato, chiedendo una serie di provvedimenti (ne abbiamo parlato qui)

Queste azioni sono necessarie nella consapevolezza della centralità che il turismo enogastronomico, l’artigianalità e l’ospitalità rappresentano – sottolineano gli esponenti del comparto – una leva strategica per il rilancio economico del Paese e il principale strumento di valorizzazione del Made in Italy“; appello che però sembra non sia stato ascoltato.

Cosa succederà invece dal 4 Maggio?

Uso di guanti e mascherine

Ogni volta che usciremo di casa, molto probabilmente, dovremo indossare guanti e mascherine, anche se andremo a far visita ai parenti.

Le mascherine e il distanziamento sociale contro l’infezione da Covid sono due misure che dovremo mantenere fino a quando non ci sarà il vaccino da Coronavirus, ha detto il Premier Giuseppe Conte nella sua informativa al Senato.

Distanza di sicurezza

Per quanto riguarda la distanza di sicurezza, regna ancora il caos. Qualcuno nel Governo, così come nella comunità scientifica, parla di 1 metro sufficiente tra una persona e l’altra per evitare il contagio. Altri parlano di 1,80 metri, altri ancora di 2 metri. In alcuni casi particolari, come negli spazi chiusi in cui c’è il rischio di affollamento, la distanza però potrebbe essere ampliata.

Spostamenti e uscite di casa

Molto probabilmente dal 4 maggio si potrà di nuovo uscire di casa anche senza comprovate esigenze lavorative o di salute. Quindi potremo spostarci per fare una passeggiata, ad esempio, o per andare a fare visita ad un parente, o qualche attività sportiva tipo il jogging o la bicicletta.

La passeggiata probabilmente si potrà fare anche lontano da casa, sempre da soli o in compagnia di una sola altra persona. Tutto questo sempre con grande attenzione al mantenimento delle distanze di sicurezza.

Spostamenti da un Comune all’altro

Spostarsi da un Comune all’altro, e da Regione a Regione, sarà di nuovo permesso, anche se forse non da subito. È auspicabile che la curva dei contagi continui a scendere prima di riaprire tutto e favorire il turismo in prospettiva della stagione estiva.

Riapertura dei negozi

Si ipotizzano riaperture e allentamenti delle restrizioni, ma in base alle fasce d’età. Probabilmente chi ha oltre 70 anni o ha patologie dovrà aver a che fare con specifiche restrizioni. Ci saranno ingressi scaglionati e contingentati per entrare nei negozi.

Per alimentari e supermercati, sulla questione orari è ancora tutto da decidere. L’Esecutivo guidato da Conte starebbe valutando sia l’ipotesi di una riduzione dell’orario di apertura per impedire le uscite in tarda serata, ma anche il suo contrario, cioè un’estensione degli orari proprio per diluire le code.

Bar e ristoranti

Per quanto riguarda bar e ristoranti l’attesa potrebbe essere più lunga: la priorità oggi è mettere i locali in sicurezza. Quando saranno garantiti dispositivi di protezione al personale di bar e ristoranti, sarà garantita la distanza di sicurezza tra i clienti (ad esempio con l’installazione di paratie e divisori tra i tavoli, ne abbiamo parlato qui) si procederà con la riapertura.

Intanto, bar e ristoranti potrebbero riprendere tutti la propria attività organizzandosi come molti hanno già fatto in questa fase per consegnare il cibo a casa. Sono già tantissime le attività, anche piccole, che hanno abbracciato il food delivery per non essere costrette a chiudere del tutto.

Parchi e scuole

L’orientamento del Governo riguardo ai bambini sarebbe di allentare “un po’” sulle uscite. Forse i più piccoli si potranno portare al parco? Per ora tutto tace. E, ancora una volta, l’attenzione ai bambini e alle loro famiglie viene messa da parte.

Riguardo alla scuola, quasi impossibile immaginare di mandare bambini e ragazzi in classe prima di settembre, ma nel caso la ministra per le Pari Opportunità Bonetti ha anticipato che “probabilmente sarà necessario per i bambini indossare guanti e mascherine”.

La titolare del ministero per le Pari Opportunità e la Famiglia si dice comunque favorevole al ritorno a scuola il più possibile anticipato e comunque sempre in sicurezza, ha aggiunto che “se servono le mascherine ci devono essere”.

Palestre e centri fitness

Le palestre potrebbero dover rimanere chiuse, almeno in un primo momento: nessuna data per le riaperture è stata ipotizzata. Per le palestre è probabile vengano introdotte misure più severe, come la continua pulizia e la sanificazione delle attrezzature e delle aree comuni, oltre al distanziamento di un metro, l’uso di mascherine e di guanti e il divieto delle attività e delle lezioni di gruppo.

Parrucchieri e estetiste

Anche qui nulla ancora si sa sulle date di apertura, ma sicuramente per parrucchieri e estetiste sarebbe obbligatorio il rispetto di misure simili a quelle per le palestre: dovranno garantire la sanificazione degli ambienti e la sterilizzazione degli strumenti.

Spiagge

Che estate sarà? Difficile dirlo. Benché siano diversi gli stabilimenti balneari in tutto lo Stivale che provano a immaginarsi soluzioni per il distanziamento sociale, come le paratie in plexiglas o zone delineate e separate, non sappiamo se nella Fase 2 che coinciderà con l’estate potremo andare al mare o comunque in vacanza.

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26 realtà e più di 34.000 associati tra chef, cuochi, ristoratori, pizzaioli, panificatori, pasticceri, cioccolatieri, gelatieri e responsabili di sala. Tutti insieme lanciano un SOS al Governo e alle Istituzioni presentando otto proposte per la ripartenza nella cosiddetta “fase 2”.

Molta la preoccupazione, tante le parole, ancora troppo pochi i fatti. La Ristorazione e la Produzione Enogastronomica italiana (che tanto hanno contribuito all’Italia stessa rendendola fiera nel mondo) hanno ora concreto bisogno di essere ascoltate, tutelate, sostenute e messe in condizioni favorevoli per ripartire.

Il tempo stringe. A firmare il nuovo appello rivolto al Governo, al quale viene richiesta l’adozione immediata di otto misure essenziali per la sopravvivenza e la ripartenza dei comparti di settore, sono 26 Associazioni che operano e rappresentano la migliore accoglienza, produzione, incentivo al turismo e alla divulgazione dell’identità culturale enogastronomica italiana.

In ordine alfabetico: Adg, Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto; Aig, Associazione Italiana Gelatieri; Ampi, Accademia Maestri Pasticceri Italiani; Apar Associazione Provinciale Pasticceri Artigiani Reggini; Apci, Associazione Professionale Cuochi Italiani; Apga, Associazione Pasticceri Gelatieri Artigiani; Apn Associazione Pizzaiuoli Napoletani; Apt, Associazione Pizza Tramonti; Associazione Ristoranti Follonica; CHIC, Charming Italian Chef; Cibo di Mezzo; Compagnia Gelatieri; Conpait, Confederazione Pasticceri italiani; Conpait Gelato; Consorzio Parma Quality Restaurants; Eppci, Eccellenza Professionale Pasticceria Cioccolateria Italiana; Fic, Federazione Italiana Cuochi; Gelatieri per il Gelato; Imprendisud Gruppo Ristorazione; Jre, Jeunes Restaurateurs Italia; Le Soste di Ulisse; Ri.Un., Ristoratori Uniti; Ristoranti del Buongusto; Ristoratori del Sannio e alto Casertano; Ristoratori Emilia Romagna; Unione Ristoranti del Buon Ricordo.

Le otto richieste sono le seguenti:

1. Cancellazione delle imposte nazionali e locali pertinenti (a titolo indicativo e non esaustivo Tari, Imu, affissione, occupazione suolo pubblico, etc.), credito per utenze relative alle attività commerciali; rateizzazione dei pagamenti degli acconti Ires, Irap previste a giugno e senza interessi;

2. Proroga della cassa integrazione straordinaria per il personale in forza al 23.02.2020 e fino al 31.12.2020;

3. Sospensione di leasing, mutui e noleggio operativi fino al 31.12.2020, recupero delle mensilità congelate in coda al periodo previsto dalla relativa misura posta in essere;

4. Armonizzazione da parte dello Stato delle regole per l’accesso al credito;

5. Credito d’imposta al 60% riconosciuto al proprietario fino al 31.12.2020 con 40% dell’importo a carico del locatario e misura semplificata (cedolare secca);

6. Detassazione (straordinari) sulle risorse umane in organico, detassazione degli oneri contributivi e assistenziali e dei benefits sino al 30 giugno 2021;

7. Possibilità estesa a tutto il comparto ristorazione di effettuare l’asporto;

8. Misure di sostegno a fondo perduto, ristori e indennizzi, per il periodo di chiusura obbligatorio imposto per legge dall’emergenza covid-19 (pari al 10% del fatturato in relazione allo stesso periodo di riferimento).

E voi, cosa ne pensate? Cosa aggiungereste?

Fonte: ANSA TERRA&GUSTO // link qui

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L’Italia ha bisogno di guardare avanti, di fissare una meta, un obiettivo, e di rimettersi in moto il prima possibile. Dopo una prima fase di spaesamento si passerà dunque all’azione che dovrà tenere necessariamente conto di abitudini ed esigenze decisamente modificate dalle disposizioni di legge e circostanze attuali.

Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Come cambieranno i consumi, la percezione del benessere, i comportamenti e le tendenze dei cittadini italiani contesi dalla voglia di riprendersi la propria vita e capacità economiche molto diverse?

E’ davvero possibile riprogettare la riapertura delle attività commerciali, ristorative e turistiche, tenendo conto delle misure di sicurezza con diverse soluzioni, alcune pratiche altre ingegnose quanto discutibili – tra cui box vista mare o barriere di plexiglass tra i commensali – per garantire la sicurezza della clientela senza però dover rinunciare a posti e coperti? Sarebbe meglio ripartire il prima possibile o aspettare tutti settembre?

Come e per quale via la nostra Italia della Ristorazione si rimetterà in piedi? come deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio recuperando valori italiani e tradizionali?

Ogni settimana rispondono i Protagonisti e i Pensatori del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro.”

David Ranucci, Oste fondatore – A Casa Tua, Abbottega, Giulio Pane e Olio, Milano – Baiocco, Miami

Penso che sia impossibile imporre una divisione di plexiglass in un luogo che nasce per condividere. Le persone vanno al Bar o Ristorante non solo per mangiare, ma anche per incontrarsi, per aprisi, non per chiudersi.

Noi stiamo portando vanti dei modelli di riapertura tenendo i presente le distanze tra i tavoli e, di conseguenza, questo porterà – purtroppo e inevitabilmente – alla riduzione del personale. Ma appena avremo possibilità, riapriremo. Riaprire è meglio per tutti, anche perchè le persone avranno voglia e bisogno di uscire, ed è importante cominciare a dare segnali alla clientela che “ci siamo”.

Per questo abbiamo studiato tre fasi di apertura graduale: una “conservativa”, una “parziale” e una “a regime”, tenendo sempre presente che siamo ottimisti e sicuri del fatto che nel tempo, anche se molto lentamente, questa condizione assurda si dissolverà e torneremo tutti al ristorante e alle nostre vite così come le ricordiamo.

Davide Del Duca, Executive Chef e Patron – Osteria Fernanda, Roma

Sinceramente credo, e spero, si faccia comunità tra noi e i produttori italiani, perchè sarebbe davvero importante si tornasse a mangiare e scegliere italiano, sia dalla parte dei cittadini, sia tra i ristoratori, che dovrebbero anche menzionare nei menu le aziende da cui si riforniscono per renderle note ai clienti e stimolare un consumo anche privato.

Dopo un periodo di chiusura forzata è ovvio che le persone vorrano riprendere la propria vita, e molte cose saranno un lusso per molti. Soprattuto noi gourmet ne subiremo le conseguenze. Perchè abbiamo sempre gestito attività con costi importanti, per fare in modo che dei piatti arrivino a tavola e vengano serviti bene, quindi tanta materia prima costosa, perchè miriamo sempre al top, e una cura massima nel servizio.

La ristorazione dovrà cambiare, adattarsi. Ma non credo che questo ritorno alla tradizione ci salverà, credo invece che ci salverà il gourmet e la capacità tecnica di creare piatti innovativi ed interessanti. La tradizione non è facile, bisogna saperla fare, bisogna saper cucinare e non la vedo come un rimedio.

Questo tempo di stop, per esempio, mi ha dato possibilità di approfondire le mie conoscenze tecniche applicandole a prodotti più semplici sempre in linea con la mia filosofia di cucina; perchè il cliente dovrà fare i conti con le proprie tasche e dovremo essere noi ristoratori a ridurre i prezzi lavorando materie prime meno costose, senza mai intaccare la qualità.

C’è da dire che la nostra tipologia di ristorazione, quella gourmet, già fa della distanza tra i tavoli una sua caratteristica. I Box per me sono un’assurdità. I locali sono fatti di cibo e di accoglienza. Preferirei aspettare ed essere più sicuri, senza chiuderci in gabbia.

Non ho optato fino ad ora per il delivery anche per la sicurezza del mio personale. Quando ci sarà la possibilità, tenendo conto di tutte le restrizioni previste dalla legge, aprirò con la metà dei coperti, tutti i giorni e con un delivery maniacale applicando ciò che ho studiato e senza licenziare nessuno. Sto appunto studiando una proposta curata nel minimo dettaglio.

Riaprire a settembre sarebbe davvero problematico, nonostante le sovvenzioni, i costi fissi sono troppo alti. Fosse per me opterei per un’apertura graduale e “a regioni”, magari ripartendo da quelle più “gestibili”.

Andrea Mariani, Ristoratore – Susina, Roma

È la più grossa crisi dal dopoguerra ad oggi comincio così, come tutti. Sono da quasi un mese con il ristorante chiuso, e la mia prima preoccupazione giorno dopo giorno è come poter pagare i dipendenti, la seconda è come poter riaprire, ma dobbiamo farlo appena possibile, altrimenti i debiti ci soffocano, e lo dico io che, per fortuna, avevo un’azienda senza debiti.

Per quanto riguarda la “riapertura”, è vero che si ripartirà tutti da zero, ma a che prezzo? Quanti torneranno al ristorante finita questa storia? O meglio quanto tempo ci vorrà prima che la gente si tolga da dosso la diffidenza che ha oggi nei confronti del prossimo?

Dovremmo capire noi ristoratori, che domani troveremo un mondo cambiato, un mondo differente e dovremmo reinventarci un lavoro. Ci vorrà del tempo prima che la macchina ristorazione si rimetta in moto, perché la paura è entrata dentro di noi ripartiamo da zero, iniziamo a correre per trovare nuove soluzioni. Preferirei, per esempio, aprire subito come take away + delivery almeno è già qualcosa.

Il plexiglas no, non mi piace, soprattutto in un posto piccolo come il mio, ma se mi aiuta a respirare in sicurezza, ben venga.

Fabio Di Vilio, Chef – la Scialuppa Da Salvatore – Fregene (RM)

Io credo che progettare la ripartenza delle attività commerciali sia fondamentale in questo momento,creare un Planning a cui attenersi, delle istruzioni da seguire e soprattutto dare delle idee temporali in modo tale da potersi organizzare al meglio!

Io credo che con delle giuste accortezze igieniche e sfruttando la tecnologia che abbiamo a disposizione si possa gestire la cosa in maniera non dico semplice ma efficace. Siamo stati tutti segnati da questa esperienza e quindi siamo più pronti a prenderci le nostre responsabilità in quanto in noi si è sviluppato un senso civico che si era un po’ perso. L’idea del plexiglass al mare la trova abbastanza inappropriata, si dovrebbe tenere conto di troppi fattori climatici che renderebbero le cose irrealizzabili, cerchiamo di non cadere nel ridicolo.

Secondo me andrebbero dotati i nostri operatori di accessori che possano garantire al meglio la salvaguardia sia loro che dei nostri clienti, mantenendo le giuste distanze di sicurezza generali. Io trovo che come ristorazione si possa ripartire, riducendo anche il numero di ospiti, ma una prima fase di convivenza siamo pronti per affrontarla. Si potrebbe tutto gestire mediante delle app in cui la gente si prenota evitando così code inutili,gestendo così live i posti disponibili.

Emilia Branciani, Imprenditrice – Livello 1, Roma

Parliamo di sicurezza del personale e, nell’eventuale riapertura, di dare modo alle aziende di fare tamponi almeno ogni 5 giorni, di locali sterilizzati, di normative, ma veniamo al punto dolente: avranno voglia le persone di venire a mangiare con l’incubo coronavirus ?

Per quanto mi riguarda ho un locale nuovo, una sala molto ampia, con tavoli già molto distanziati, per cui per me le misure di adeguamento potranno essere messe facilmente in atto, ma se parliamo di ristoranti al centro storico o delle piccole realtà? Sarà un massacro, perchè sono le nostre sono che regalano momenti di svago, felicità e aggregazione. Come potremo interfacciarci con un cliente e sorridere in sala con mascherina e guanti?

Fondamentale e’ il ripristino del turismo, ci sono parecchi colleghi che vivono di quello, altri invece hanno una clientela business. A mio modesto parere, sono per molti versi sfavorevole alla riapertura con limitazioni.

Ma sono consapevole che tutta la nostra categoria non potrà mai reggersi senza sostegno fino a quando ritorneremo alla normalità, una normalità per adesso molto lontana. Ci sarà molto da fare e reinventarsi, di persone nello staff che credano nuovamente in un nuovo progetto di ristorazione.

Purtroppo ad oggi il solo spiraglio e’ il delivery. Bisognerà destare interesse nel cliente, magari facendogli comporre un piatto con tanto di ricetta scritta messa nel pacco, per il resto non voglio pensare nemmeno che turismo e ristorazione siano “finiti”.

Davide Lombardi, Imprenditore e Ristoratore – Cento, Roma

Il nostro ristorante è chiuso dal 7 di marzo, ancor prima ci dicessero di chiudere al pubblico definitivamente. Non avendo dipendenti oltre noi soci, (io e Valerio Chiacchierini), la nostra situazione è meno critica rispetto a tanti colleghi, anche se comunque l’affitto prima o poi bisognerà pagarlo e le bollette delle utenze continuano ad arrivare.

Purtroppo non effettuando in precedenza consegne a domicilio non ce la siamo sentita di intraprendere tutto l’iter previsto per entrare a far parte dei vari portali, considerando in primis la percentuale molto alta che viene decurtata dal prezzo finale dalle stesse. Essendo il nostro un ristorante giovane nel quale io e Valerio abbiamo investito tutto ciò di cui avevamo disponibilità è di facile intuizione la nostra situazione economica in questo momento: fortunatamente abbiamo delle famiglie alle spalle e continuiamo a poter mangiare.

Il futuro è molto incerto perché con la potenza di fuoco (600€) promessa dallo Stato, che tra l’altro neanche arriva, non andremo lontani perché il conto in banca continua a scendere, cosa che farà si che qualsiasi richiesta di prestito verrà negata.

Per quanto riguarda le buffonate che stanno ipotizzando in questi giorni, ahimè, le trovo solamente un dare una falsa speranza al popolo italiano.
Ok, distanziamo i tavoli di un metro, due dicono sarebbe meglio, ma poi la gente ci dovrà pur arrivare al tavolo quindi che facciamo delle gallerie per arrivare al proprio posto? Gli operatori di sala li tireranno i piatti? O compriamo, come già visto, i robot per servire ai tavoli? I servizi igienici li chiudiamo? Se un asintomatico starnutisse in bagno contaminerebbe l’ambiente, o sbaglio?

Per quanto riguarda il mare mi viene da sorridere quando vedo quelle gabbie di plexiglass, le refrigeriamo o moriamo asfissiati? In acqua le distanze chi le controlla? E come ci comporteremo con le spiagge libere?
Ritengo, anche a mio discapito, che finché non ci sarà un vaccino e non faranno tamponi a tappeto dovremmo stare tutti a casa, altrimenti andrebbero vani tutti gli sforzi fatti fino ad ora.

Diego Vitagliano, Pizza Chef e Patron – 10 Diego Vitagliano Pizzeria, Napoli e Pozzuoli

Credo che inizialmente ci sarà un cambio radicale di vita ove la gente avrà paura di esporsi e di esuberare, sia per una questione di salute e sia per una questione economica, visto che, ad oggi, dopo 50 giorni di fermo nessun ammortizzatore sociale ci ha aiutato.

I consumi saranno inizialmente limitati -questo è chiaro- ma sarà a noi ristoratori riacquistare la fiducia della nostra clientela cercando, nelle possibilità, di dare la massima sicurezza nella preparazione e nel servizio.

Ci dovrà essere più cura nei minimi particolari ad esempio (cosa che nei miei locali già si svolgeva) un addetto alla pulizia dei bagni durante il servizio, oltre a distanziare e sanificare continuamente l’ambiente.

A parer mio ci vorrà un anno per riuscire in una ripresa del turismo estero mentre diversamente lo sarà per quello nazionale. La fortuna è che, tra poco più di un mese, sarà estate e quindi una percentuale di italiani sicuramente si muoverà da Nord verso Sud e viceversa.
Bisognerà riconfigurare tutto il sistema lavorativo infatti nei miei locali non ci saranno più assembramenti nelle sale di attesa, lavoreremo solo su prenotazioni, divise in tre turni, e forse sarà anche vantaggioso in termini di qualità sia del prodotto che del servizio .

Credo che il mondo gourmet reagirà molto positivamente, certo, resterà sempre di altissimo livello ma si punterà alla semplicità assoluta perché ora la gente avrà fame di semplicità, di calore, di coccole e non di “show”, come si dice a Napoli. Sarà più facile riaprire con le restrizioni per i locali grandi ma comunque bisognerà ridimensionare le spese, i costi fissi e forza-lavoro.

Credo che sia una follia parlare di divisori in plastica tra i tavoli e box in spiaggia se poi che le persone arrivano in una sola auto magari in 4-5 persone. Purtroppo finché non ci sarà un vaccino o una cura nulla cambierà, siamo tutti a rischio per questo io penso che ripartire ora, dopo due mesi di stop, sia una grande cosa per l’ Italia.

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Il bisogno e la voglia di pensare a domani è forte e incalzante. Non tornerà tutto come prima, questo è chiaro, nè a livello territoriale, nè per tutte le attività lavorative. Si prevede una graduale riapertura delle imprese, ma per negozi, aziende, ristoranti, bar e pub ci vorranno ancora settimane e bisognerà osservare alcune misure di contenimento extra-ordinarie per molto, molto tempo. 

Fare pronostici su date, costi, incentivi, sovvenzioni o investimenti all’interno delle attività di ristorazione ed ospitalità in questo momento sembra sia parere diffuso, bisognerà per prima cosa riaprire, e rimboccarsi le maniche. Non bisogna abbattersi, anzi pianificare. Siamo italiani, capaci, creativi, ingegnosi, torneremo a splendere, con fatica si, ma saremo migliori di prima. Ci sarà bisogno di più concretezza, di tornare a spendere dai piccoli produttori, di ripartire dal basso per arrivare in alto, di riattivare un sano meccanismo in nome di un bene comune deve superare ogni tipo di individualismo; lì dove solo un’azione motivata, appassionata, coordinata e sinergica sarà in grado di garantire un approccio efficace e un risultato concreto verso un nuovo modo di pensare e concepire la ristorazione del futuro.

Perchè a quel punto, anche la domanda si presenterà profondamente modificata nella struttura psicologica e nella capacità economica; sarà diversa e limitata ai confini nazionali, crescerà gradualmente, soprattutto in ambito internazionale, mentre i segmenti e i canali di vendita classica si stanno già modificando. 

E come e quanto cambieranno le esigenze, i consumi dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? 

Come, in sintesi, e da dove si ripartirà per ricostruire la nostra Italia? E come la Ristorazione deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali in cucina come nella vita? 

Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Roberto Wirth, Proprietario e Direttore Generale Hotel Hassler e Imago, 1 Stella Michelin, Roma

Con quali strumenti di supera questa crisi?

Ovviamente contenendo il più possibile i costi ma continuando ad investire nel marketing al fine di mantenere elevata la visibilità dell’Hotel su tutti i canali di distribuzione disponibili. Possiamo riassumere questo concetto in: #stayhome #staysafe but keep on dreaming. Dobbiamo far sì che quando si ricomincerà a viaggiare, la nostra immagine sia consolidata e forte come lo era prima della crisi.

Per recuperare i danni di questi mesi, un grande albergo come il suo, può abbassare i prezzi e rivolgersi a una clientela diversa?

Non riteniamo che abbassare i prezzi possa aiutarci in alcun modo. Come lei sa, per gli alberghi di lusso, un elevato standard di servizio è fondamentale ed il servizio è fatto dalle persone. Diminuendo i prezzi rischieremmo di non essere in grado di fornire gli standard di servizio per cui l’Hassler è famoso nel mondo e rischieremmo di danneggiare l’identità ed il DNA del nostro albergo. Continueremo a rivolgerci ad una clientela nazionale ed internazionale di alto livello.

Quali promozioni si possono ideare per rilanciare l’industria alberghiera e il turismo?

Più che di promozioni, penserei ad un modo per incoraggiare i clienti a viaggiare di nuovo. Dopo questa crisi il mondo non sarà più lo stesso, dovremo rassicurare i nostri clienti che l’Hassler sarà un luogo sicuro, dove, ancora più di prima i clienti saranno al centro della nostra attenzione. Dovremo renderli partecipi di quanto faremo in termini di sanificazione cosicchè non considereranno rischioso viaggiare e soggiornare presso di noi. Alcune compagnie aeree hanno già iniziato divulgando dei video in cui mostrano come disinfettano e puliscono gli aerei dopo ogni volo. Dovremmo ispirarci a loro.

Quante prenotazioni e per quanti mesi a venire sono state cancellate?

Nel giro di due mesi abbiamo ricevuto cancellazioni per più di 4.000 room nights a partire da marzo fino ai mesi di agosto e settembre e quel che è peggio è che stiamo ricevendo pochissime prenotazioni.

Dopo questa crisi Roma può ridisegnare la sua offerta turistica e puntare a un turismo di maggiore livello, lavorando d’intesa con le istituzioni per creare attrazioni culturali capaci di generare flussi mirati?

Non solo può ma deve! Prima della crisi, su suggerimento del nostro direttore, nonché proprietario dell’Hassler, Roberto Wirth, avevamo creato un piccolo comitato di hoteliers di lusso per dialogare con le istituzioni al fine di rilanciare l’immagine di Roma e lavorare di comune accordo per generare flussi mirati. Avevamo già avuto diversi incontri ed eravamo stati anche ricevuti dal Vice Sindaco e dall’Assessore alla Cultura e Turismo. Speriamo vivamente, in un futuro prossimo, di poter continuare in tal senso.

Gastone Pierini, Imprenditore, MOMA Ristorante – 1 Stella Michelin, Roma

L’enogastronomia ed il turismo Italiano, in conseguenza del Coronavirus, stanno subendo un pesantissimo danno economico ed un gravissimo danno d’immagine agli occhi del mondo intero, pensare oggi ad una “riconfigurazione” non è proprio facile. Personalmente sono convinto che non vedremo più un turista Europeo fino alla prossima primavera, non solo perché tutti gli altri paesi Europei, vivono ancora nella prima fase della pandemia, ma soprattutto perché tutta la fase successiva al contagio sarà lunga e molto complessa, non conosciamo ancora bene la misura del protocollo sanitario che verrà applicato, ma ascoltando le prime indicazioni, anche questo non fa ben sperare.

La sola speranza di riconfigurare al meglio entrambi i settori, è attualmente rappresentata dal turismo Asiatico, sicuramente il primo ad uscire dalla pandemia e senz’altro il primo che riprenderà a viaggiare: rivolgersi con maggiore attenzione verso quei mercati, potrà dare sicuramente ottimi risultati.

Per il resto, il turismo Europeo, come già detto, se tutto andrà bene, lo potremmo rivedere per le festività Natalizie, mentre invece per quello Americano, considerala la nota diffidenza propria della popolazione, forse a primavera, a condizione però che sia loro garantita la massima sicurezza.

Se vogliamo valutare solo l’aspetto psicologico, credo che nella prima fase del Post Pandemia, i cittadini Italiani saranno talmente traumatizzati da quanto accaduto e ugualmente talmente felici che la quarantena sia finita, che la loro percezione del benessere, sarà completamente cambiata, rispetto al prima.

La costrizione forzata, quella sensazione di impotenza che tutti hanno vissuto avrà cambiato molto la loro percezione del benessere, sicuramente d’ora in avanti, al benessere, abbineranno immediatamente il concetto di muoversi in libertà.

Le esigenze di ognuno nel Post Pandemia, saranno quelle di riappropriarsi dei propri spazi, delle proprie abitudini, ma nello stesso tempo vorranno molta più sicurezza negli ambienti che frequentano quotidianamente: il posto di lavoro, il bar per le colazioni, la pausa pranzo, l’aperitivo, la cena con gli amici, tutto sarà visto con occhi diversi, perché nulla sarà come prima, magari prima non si dava molta importanza a tante cose, ma da adesso in poi, tutti saranno più “esigenti”, nessuno vorrà più ripetere la esperienza passata. Probabilmente questo influenzerà molto anche sui “consumi” dei cittadini, i quali saranno anche in questo caso molto più esigenti di prima, vorranno maggiori informazioni sul cibo, sulla sua provenienza, sulla sua reperibilità, sulla sua conservazione e naturalmente saranno molto più attenti e critici, sul prezzo.

Credo che il mondo Gourmet subirà un grave contraccolpo: in un mondo senza Coronavirus già le aspettative erano tante, nel post-covid il livello di attenzione al dettaglio dovrà essere ancora più alto.

Nel mondo Gourmet, nulla è lasciato al caso, l’ambiente, l’atmosfera, il servizio di sala e sopratutto la cucina, ma “niente sarà più come prima”, i protocolli sanitari, le mascherine protettive, la distanza tra i tavoli, i percorsi da seguire ecc., avranno un impatto negativo sulla clientela, ma l’ospite, in nessun modo dovrà percepire alcun disagio. Naturalmente tutto questo si trasformerà in un notevole aumento dei costi, ma considerato il momento così delicato, sarà assolutamente sconveniente rivedere i prezzi dei menù, perlomeno nella prima fase di riapertura.

Oggi per la ristorazione classica, il passaggio dall’offline all’online, i servizi di delivery e la consegna a domicilio, sembrano essere la sola possibilità di poter sopravvivere. Purtroppo credo che il necessario adeguamento a questa nuova modalità di lavoro, inciderà molto negativamente su tutti quei ristoranti che non abbiano la possibilità strutturale di adeguarsi alle normative che regolamentano il delivery, questa prevede spazi operativi e percorsi dedicati esclusivamente a quel tipo di servizio, al contrario invece, questa nuova modalità di lavoro inciderà molto positivamente su tutti quei locali che dispongano di spazi adeguati. Ma sono fermamente convinto che per fare ripartire il nostro bellissimo Paese ci sarà bisogno di un grande senso di responsabilità in ognuno di noi ed in tutti i settori, il vero cambiamento può e deve avvenire soprattutto dentro di noi, anche perchè, cito, “il cibo diventerà una scelta consapevole a favore della propria salute e di quella del pianeta per una economia che favorisce l’agricoltura, il territorio e le tradizioni “.

Oliver Glowig, Executive Chef, Barrique – Monte Porzio Catone, RM

Personalmente utilizzerò ancora più materie prime italiane e legate al territorio locale sia per sostenere l’economia italiana sia perché l’Italia offre da sempre una grande qualità e varietà. Non bisogna per forza utilizzare alici del Cantabrico oppure germogli olandesi, non è necessario: ora più che mai è fondamentale che si dia più attenzione ai nostri prodotti. A parte questo, il mio stile di cucina non cambierà. Le materie prime sono state per me da sempre protagoniste nel piatto, creando armonia grazie al sapiente abbinamento degli ingredienti.

Per quanto riguarda l’esigenza di aumentare le distanze tra i tavoli, per fortuna nei nostri ristoranti abbiamo tanto spazio. Al Barrique i tavoli sono molto grandi e da sempre distanziati (anche tra gli stessi commensali) e, da EPOS, sicuramente toglieremo qualche tavolo ma confidiamo nella bella stagione: sulla terrazza esterna gli spazi sono davvero grandi. Questo rassicurerà, insieme al rispetto di tutte le norme sanitarie che stabiliranno, gli ospiti.

Lavoriamo da sempre per la maggior parte con una clientela locale e italiana: in questo periodo di fermo, i nostri clienti ci stanno scrivendo e non vedono l’ora che riapriamo. Certo, in generale purtroppo mancheranno i clienti stranieri quest’anno e non sarà indolore per tanti anche se a noi impatta poco. Sarà una ripartenza difficile ma bisogna crederci e ripartire fiduciosi.

Con Felice Mergè, il patron di Poggio Le Volpi, abbiamo deciso di pensare positivo. Siamo stati e saremo, ancora per un bel po’, chiusi nelle case e credo alla riapertura ci sarà una grande voglia di uscire, di andare nei ristoranti, di muoversi (se sarà possibile). La gente uscirà, ormai stanca di mangiare sempre le stesse cose a casa. Certo, bisogna dare una attenzione in più ai prezzi. Offrire magari anche menù scontati con dei prezzi accessibile per tutti. Io sono convinto che la buona cucina vince sempre

Carlo Maddalena, impreditore – Giulia Restaurant, Roma

E’ inutile che ci prendiamo in giro, la ripresa sarà difficile e lenta. Il nostro settore sarà l’ultimo a rimettersi in moto e con delle limitazioni importanti. Verrà a mancare la clientela internazionale per un lasso di tempo non trascurabile e gli italiani, se da un lato avranno una gran voglia di normalità, dall’altro si ritroveranno impauriti, nella condizione di doversi ridimensionare e darsi delle priorità. Questi sono indubbiamente dei dati ti fatto… ma è altrettanto un dato di fatto che noi tutti abbiamo tirato su le nostre attività con passione ed enormi sacrifici, abbiamo assunto dipendenti, preso impegni importanti, stretto rapporti con clienti. In definitiva abbiamo creato e creduto in un progetto e faremo come sempre i salti mortali per perseguirlo, adeguandoci ad un panorama completamente diverso da quello che conoscevamo.

E li dovremo fare da soli questi salti mortali, non potendo contare sull’aiuto di uno Stato che, prima ti obbliga   a fermarti per motivi sacrosanti, ci mancherebbe, ma che poi non perde occasione per voltarti le spalle,   dimostrandosi come sempre inutile, inadeguato, ingordo, e dando come unica alternativa alle imprese di indebitarsi per sopravvivere. Un’analisi dell’azienda ancor più minuziosa sarà indispensabile per la sostenibilità economica della stessa, con l’individuazione ed il taglio di inutili frizzi e lazzi, concentrandosi ancor più su qualità di servizio e prodotti, pur contenendo i costi di gestione.

L’unico modo per motivarsi a venirne fuori, a parer mio, è quello di vedere la ripartenza come un’opportunità per cambiare qualcosa, non identificandola in un ripiego, in un disagio, ma bensì in un nuovo obiettivo.

Dovendo rispondere alle nuove esigenze derivanti dal consolidamento dello smart working, con ogni probabilità il delivery entrerà a far parte delle nostre abitudini, con un’offerta che si completerà anche con la fascia di ristorazione più alta.

Giulia ripartirà dai clienti italiani, dalla città, dal quartiere, in controtendenza con una esterofilia fortemente radicata specialmente nella ristorazione del centro storico, andando a recuperare un rapporto diretto con il territorio che si era andato via via perdendo ed attuando un’attenta politica dei prezzi.

Stefano Marzetti, Executive Chef – Mirabelle, Roma

Non possiamo immaginare quello che accadrà domani perchè non abbiamo mai vissuto nulla del genere. Probabilmente fino alla fine del 2020 questa esperienza cambierà la ristorazione, anche ad emergenza finita i ristoranti serviranno solo clienti individuali, tavoli ben distanziati, massimo per quattro persone. Questo virus è cosmopolita, non conosce frontiere e differenze nè di religione, nè di sesso, nè di razza. Per batterlo per adesso bisogna rimanere a casa, e preparare il rilancio.

Dovrebbe, a mio avviso, cambiare il modo di fare ristorazione, molta più sostanza e meno apparenza, materie prime di qualità, e forse potrebbe aprirsi un nuovo capitolo per il made in Italy, vero, di qualità estrema, profondamente legato alle sue radici e alla sua tracciabilità.

Anche nelle case degli italiani, i social lo dimostrano, sta tornando una grande voglia di piatti della tradizione e quelli del comfort food. Questa è la chiave per ripartire, è anche un modo per raccontare la sicurezza dei prodotti italiani, per valorizzare filiere e produttori, in questo momento anche loro in grande difficoltà. Noi chef dobbiamo essere bravi ad avere un dialogo più stretto con i nostri fornitori e valorizzare il made in Italy nei nostri piatti, così come facciamo da sempre al Mirabelle, e far sentire il cliente ancora più coccolato: il servizio dovrà essere ancora più attento in tutti i dettagli. La ristorazione, a tal proposito, dovrà valorizzare ancora di più questo grande patrimonio anche per aiutare le aziende italiane e ripartire tutti insieme con molta più umiltà. La ristorazione tornerà ad essere e il fulcro del turismo, rispettando tutte le procedure igienico sanitario verrano adottate. Abbiamo tutti capito quanto la ristorazione è fragile. Le tempistiche per un ritorno alla normalità sono lunghe ed imprevedibili, anche le persone saranno diffidenti e sospettose.

I Grandi rimarranno Grandi se faranno un passo verso una maggiore umiltà e semplicità, e andranno bene le attività che puntano sul concreto. Per uscirne servirà il cuore, rimboccarsi le maniche e sviluppare nuove prospettive lavorative. L’Italia ha senso in sè ma molto di più riconnessa al mondo.

Sara Blandamura, imprenditrice e Sommelier, Le bollicine di Sara – Bistrot, Roma

Le Bollicine di Sara ha chiuso esattamente in corrispondenza del suo primo anniversario. Immaginando le riaperture ti dico che la vedo molto dura, per me ad esempio il mio Bistrot era nato per condividere, festeggiare, degustare insieme, non di certo per entrare mangiare in modo circospetto e andar via velocemente.

Penso, leggendo chi ne sa più di me, che le regole saranno talmente tante e talmente rigide che saranno applicabili per pochi, per gli spazi prima di tutto. Un problematica comune ai bistrot, pub, piccole trattorie piccole, bar e poi non potendosi avvicinare, come potremo versare un calice? Come potremo poggiare un piatto? Mi sembra incredibile ma la situazione è questa.

Si ipotizzano carrelli per portare il tutto in modo che il cliente possa prendere da se le pietanze (mah!!!!). Quindi solo i ristoranti gourmet penso siano attrezzati per spazi ma dovranno modulare l’offerte, e forse anche i grandi ristoranti da ricevimenti e banchetti che però dovranno dimezzare i loro coperti, anche più che dimezzare.


Certo le persone avranno una predisposizione psicologica diversa ed una disponibilità economica diversa, sicuramente si tornerà ad un offerta più semplice ed economica, io credo che comunque dovremo dare almeno un estetica appagante ai piatti, perchè mangiare fuori è un esperienza completa non solo un riempirsi la pancia.

Poi c’è la questione dei clienti internazionali, anche qui tutto sarà da modulare sui piatti tradizionali ma ulteriormente ben fatti, considerando che noi italiani li conosciamo molto bene. Per il delivery invece che dire? Io ci credo poco, giusto per pizze, panini e dolci, non sarà mai come uscire e scegliere un posto dove godere di un’ atmosfera oltre che di un buon piatto.


Di buono sicuramente ci sarà che ci dovremo concentrare su un ulteriore qualità nella semplicità e su un igiene seria che non guasta mai! La semplicità evidenzia sempre le capacità. Un altro aspetto positivo che mi auguro è l’acquisto delle materie prime da fornitori vicini e locali. Questo sarà un grosso plus che ci aiuterà a tirarci su ed anche ad avere più qualità.

Marco Lombardi, Docente, Giornalista gastronomico, il Messaggero, Gambero Rosso

Usciremo da questa crisi più uniti di prima, pubblico e chef e critica, perchè saremo costretti a farlo, riscoprendo che “pranzare fuori” è un’esperienza più sociale, cioè umana, che gourmet.

In particolare gli chef riscopriranno il piacere di restare presso i rispettivi ristoranti, accogliendo i propri invitati come dei buoni padroni di casa, invece di girovagare per festival e televisioni. Speriamo solo che non ci si dimentichi in fretta di questa forma di bellezza, riportando tutto al prima.

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Dalle Alpi alle Coste isolane le ricette per portare sulla tavola i sapori della primavera italiana, scoprire prelibatezze e piatti tipici pasquali, simbologie, leggende e curiosità delle nostre 20 regioni-scrigno. Terza tappa: Molise, Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Per la Prima Tappa clicca qui, per la Seconda clicca qui.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della bella stagione che si sono fatti nel tempo un cibo carico di simbologie, divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Così, dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa. Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua.

– Molise

Se credevate di conoscere tutte le tipologie di lasagne, vi sbagliavate perchè, oltre a quelle bolognesi, a quelle verdi, a quelle ricche napoletane e siciliane ci sono, ebbene si, quelle in brodo.

Il Molise, scisso dagli Abruzzi dal 1963 e regione dal 1970, una delle più piccole d’Italia, ha due province, Campobasso e Isernia. In sua gloria ha le laine del conforto con polpette e brodo, come è d’uso a Montenero di Bisaccia. Per cucinare le lasagne in brodo, preparate un buon brodo di gallina assieme alle sue interiora; amalgamate la carne e le frattaglie del pollo con del macinato, noce moscata, mollica di pane, uova, formaggio, prezzemolo. Ricavate delle polpettine grosse come un cece, cuocetele in brodo.  A parte cuocete le lasagne. Versate qualche mestolo di brodo in una teglia, rivestite il fondo con le lasagne, spolverizzatele di formaggio, mettete una manciata di polpettine e una di tocchetti di formaggio, quindi aggiungete qualche mestolo di brodo e servite caldo.

Si prosegue con Casciatelli, Agnello e insalata buona Pasqua, fatta con uova di quaglia sode e fagiolini verdi. Col grano pestato al mortaio si prepara in Molise, nelle zone di Monteroduni e Sant’Agapito, la PIA.

La  pia è un piatto tipico di Sant’Agapito, paese in provincia di Isernia, dove, per tradizione viene mangiato il Sabato Santo o la mattina di Pasqua.
Richiama antichi riti pagani di primavera, propiziatori di buoni raccolti e di abbondanza. Anticamente per preparare questo piatto veniva utilizzato il grano “spogliato”, cioè  messo a bagno per ventiquattro ore nella “pila” (grosso recipiente di legno a forma di imbuto), poi privato della pula con i colpi di un pesto ( mazzola) in legno veniva “spogliato” fino a quando il grano non era pronto per essere setacciato e cotto a fuoco lento con abbondante acqua salata. Oggi è possibile saltare  questo passaggio utilizzando del grano precotto, in barattolo.

anche la frittata di Pasqua è ricca di simbologie: è molto grande, fatta con uova sempre di numero dispari e preferibilmente più di 101. Durante la preparazione ogni familiare ne deve rompere almeno una per assicurarsi lunga vita. Si aprono anche per i parenti defunti, per alleviare la loro espiazione dei peccati nell’Aldilà. Contiene coratella, formaggio caprino, nepitella, asparagi selvatici.

– Campania

In Campania, ad esempio, la tradizione della Pasqua è molto sentita, sia a livello religioso che gastronomico. Per molte famiglie è motivo di gioia perché ritornano a casa i figli lontani trasferiti al nord, per tanti altri è semplicemente l’occasione per riunirsi con amici e parenti. Ma anche per i tanti turisti che scelgono la Campania come meta delle loro vacanze pasquali, una full immersion nella cucina napoletana non guasta mai.

Ci sono piatti imprescindibili nella cucina partenopea, dal casatiello alla minestra maritata, che sono il cuore pulsante della tradizione, ma non mancano anche altri tipi di primi piatti pasquali meno partenopei, ma comunque tradizionali.

Si parte dalla sera del giovedì santo, con la zuppa di cozze, preparata con pane duro, cozze e polpo.

Il venerdì santo si è invece soliti praticare il digiuno, secondo la tradizione Cristiana ed approfittarne per preparare tutti i piatti della tradizione per il giorno di festa.

Il sabato santo è l’occasione per dare il via libera al casatiello, il più classico e famoso tra i piatti pasquali. Si tratta di un rustico realizzato con pasta di pane a forma di ciambella con delle uova sode intere posizionate sulla superficie. Il termine di questo piatto deriva dalla parola “caso”, che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e richiama la consistente presenza di questo ingrediente all’interno del rustico, insieme a diversi tipi di salumi, quali mortadella, prosciutto cotto e salame, con l’aggiunta di pecorino romano, parmigiano, strutto e ciccioli di maiale.

Nella provincia di Caserta è diffusa anche la variante dolce del Casatiello, preparata con uova, strutto, glassa, zucchero e sopra, al posto delle uova, ci sono i tipici confetti campani chiamati “Diavulilli”, presenti anche nella ricetta degli struffoli.

Altro rustico della tradizione pasquale in Campania è la Pizza ‘Chiena Napoletana, formata da una sfoglia alla base di strutto, farina e lievito di birra, ed un ripieno di uova, prosciutto cotto e crudo, pecorino e parmigiano grattugiato, provolone e scamorza.

Il pranzo pasquale inizia con la tipica fellata, un antipasto di affettati misti, il cui termine deriva da “fella”, parola napoletana che indica la fetta, poiché tutti i salumi sono tagliati a fettine più o meno sottili. Nella fellata troviamo il salame napoletano, il capocollo, la ricotta salata, il provolone e uova sode. In alcune zone del casertano non è raro trovare anche la mozzarella di bufala.

Si prosegue poi con la minestra maritata, che vede l’accostamento della carne agli ortaggi e che è stata a lungo la pietanza del regno di Napoli prima di essere sostituita dai maccheroni. Il nome deriva dal fatto che gli ingredienti, la carne e le verdure miste come cicoria, scarole, verza e borragine, si sposano, ovvero si cuociono insieme creando un unico sapore.

In alcune famiglie si prepara anche la pasta al forno con sugo e provola, oppure sformato ricco di tagliatellepasta pasqualina fettuccine alla maestosa. È poi il turno dell’agnello con piselli e uova prima di arrivare a mettere le mani sulla Regina indiscussa della tavola di Pasqua in Campania: la famosa pastiera napoletana, così buona che molte pasticcerie ora la preparano durante tutto l’anno e non più solo a pasqua.

Si racconta che, per la sua bontà, l’imperatrice Maria Teresa D’Asburgo, che non rideva mai, dopo averla assaggiata avesse fatto uno dei suoi primi sorrisi facendo nascere il detto napoletano “magnatell ‘na risat”.

La pastiera, di colore giallo, altro non è che una torta di pasta frolla croccante, con il morbido ripieno di ricotta, uova, zucchero, frutta candita e grano bollito nel latte. Nella ricetta originale viene inoltre aromatizzata con cannella, canditi, scorze d’arancia e vaniglia.

Nel salernitano, la versione è leggermente differente e sostituisce il riso al grano, mentre a Mondragone la si prepara senza ricotta. In provincia di Napoli, invece, nella zona di Torre del Greco, si è soliti preparare la pastiera di pasta: una sorta di frittata di pasta fatta con i capellini e zucchero, vaniglia, cannella e fiori d’arancio, dalla consistenza morbida e croccante allo stesso tempo.

– Puglia

Le celebrazioni pasquali in Puglia a tavola sono sentite per lo più tra i secondi piatti e i dolci, dove l’agnello la fa sempre da padrone.

Un classico è l’Agnello con patate al forno, irrorato con vino rosso o rosato e la variante con le patate prima fritte nel tipico olio pugliese a bollore per dare loro una sfumatura dorata e un sapore più profondo, poi finite in forno.

Capace di combinare il simbolismo dell’agnello con quello dell’uovo, immagine dedicata al concetto di rinascita e resurrezione, la ricetta del Brodetto di Pasqua con uova e piselli e pecorino. 

L’antipasto qui si chiama Benedetto e annovera i prodotti tipici delle terre di Puglia: capocollo di Martina Franca con fette d’arancia e olio Evo, ricotta frescaasparagi, taralli bolliti e uova sode; ed è così chiamato così per via del ramoscello di ulivo che è abitudine porre sul piatto una volta pronto, in segno di benedizione per tutti i commensali.

L’agnello è padrone anche del comparto dolciario della Pasqua pugliese, con la ricetta del tipico Agnello in pasta di mandorle. La regione è celebre per la sua cultura dolciaria e la sua nascita è legata ai monasteri benedettini della città di Lecce, dove fu preparato la prima volta. Ricca per fascino estetico e valore simbolico, la ricetta prevede un grande uso della pasta di mandorle che rappresenterà in seguito la figura dell’animale.

Poi panzerotti in una gustosa variante: le pastatelle pugliesi, conosciute anche come boconotti, un esterno d’impasto dolce ricoperto da zucchero a velo con un interno di marmellata alle ciliegie. Un piatto capace di ingolosire chiunque, finger food solitamente di breve durata sulla tavola per via della facilità con cui viene consumato.

A simboleggiare la liberazione dal peccato originale è tipicamente la scarcella, un grande biscotto in pasta frolla realizzato con ingredienti tipicamente poveri e alla portata di tutti: farina, olio, uova. La forma è variabile ma spesso le si dona l’aspetto della colomba pasquale, indicando la nascita di una nuova vita. È possibile assaggiare scarcelle a forma di coniglietti, cestini, cuori e molto altro, comunemente decorate con uova sode o ovetti in cioccolato e confetti.

Scopri la ricetta su: Scarcella di Pasqua, dolce della tradizione pugliese

Base di una grandissima quantità di dolci pasquali è la pasta di mandorle, fusione di sapori come quello della mandorla con quello del limone, della ciliegia e del cioccolato bianco. Tra i diversi prodotti preparati con questa pasta ricchissima e speciale ci sono la cassata, il rollò, le cassatelle, le cassatine, la frutta di martorana o la frutta di pasta di mandorle, spesso presenti sulle tavole della regione soprattutto in concomitanza della Pasqua.

– Calabria

La tradizione calabrese a Pasqua arriva a tavola grazie con una selezione di salami, pancetta e soppressata unita a formaggi del territorio come caciocavallo, caciotte, ricottine con pecorino. Il tutto rigorosamente accompagnato da pane casereccio, funghi sottolio, olive “ammaccate” e filetti di melanzane. Si prosegue con un primo piatto carico di Sud: Fusilli con salsiccia e nduja con passata di pomodoro, nduja sbriciolata senza budello, cipolla e olio extravergine d’oliva.

Per non passare bruscamente al secondo piatto, cosa c’è di meglio che concedersi un ottimo Timballo nduja e cacio? Questo piatto è  un’esplosione di sapore che unisce tutta la piccantezza e il gusto intenso della cucina calabrese con una deliziosa croccantezza data dalla gratinatura in forno.

Per prepararlo sono necessari mezzi, caciocavallo silano, nduja, Parmigiano reggiano grattugiato, pangrattato, olio extravergine d’oliva e origano. Per Secondo: capretto al forno con patate, semplice con patate, aglio, olio, acqua, origano e sale. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso locale.

E arriviamo al momento tanto atteso dei biscotti pasquali: le Cuzzupe sono una sorta di biscotti morbidi fortemente radicati nella tradizione, comunissimi nel periodo di Pasqua e le Nepitelle, altra ricetta tipica calabrese ravioli dolci ripieni di marmellata di uva, mandorle, uva sultanina, cannella, cacao e liquore.

– Basilicata

La cucina Lucana è ancora poco conosciuta ma molto emblematica e ricca di simbolismi legati ad eventi religiosi e tradizioni che non devono essere perduti nel tempo.

In Basilicata, a Pasqua, l’usanza tipica è quella di unire tre alimenti che configurano la sacralità della morte e risurrezione del corpo di Cristo. La simbologia vuole che l’uomo chieda purificazione attraverso l’elemento/alimento madre, il cibo.

Il pranzo pasquale è indirizzato dall’ unione dei tre alimenti che compongono il sacrificio e la redenzione: l’uovo, simbolo della morte e risurrezione nella Pasqua; il formaggio, derivato dal latte, simbolo di purezza e di verginità; il verde colore dei vegetali, che Madre Terra.

Si pane lucano il Piccillato di Pasqua, realizzato con farina 00, vino bianco, lievito, uova, latte e scarso in sale. Torta salata di Pasqua per antipasto, ripiena di toma di pecorino, salame a dadini, uova e pepe.Un altro antipasto è il Tortino di patate e asparagi fresco e saporito. Si prosegue con Ravioli ripieno di funghi cardoncelli e minestra di cardi, fra i secondi piatti non può mancare l’Agnello alla lucana realizzato con petto o spalla di agnello, patate, pomodorini, mollica di pane, cipolline, pecorino e sapori; o il Capretto al forno con Muscari realizzato appunto con carne di capretto, muscari o comunemente conosciuti come lampascioni, mollica di pane, pecorino, aglio e sapori. Fra i dolci Pasquali tipici troviamo lo Squarcieddo.

– Sicilia


In Sicilia, terra molto legata alla tradizione religiosa, la Pasqua è una festività molto sentita. Durante la settimana santa, in passato si mangiavano solamente farinacei: si preparava quindi “il pane di cena”, pane dolce tipico della Sicilia orientale, impastato con la farina di Majorca, che nella provincia di Catania veniva invece usata per la cucchia, una specialità di pane che si cucinava per festeggiare la nascita di una figlia femmina. Il cibo umile è al centro di vari rituali durante la Settimana Santa: in provincia di Caltanissetta, ad esempio, dal Mercoledì Santo (giorno di processioni in tutta la Sicilia) in poi si portano presso i sepolcri patate, legumi e dei fusti di zagara detti cruneddi.

Le tradizioni culinarie pasquali del pranzo domenicale sono invece molto elaborate. Comune a tutta la Sicilia è l’agnello, che però presenta diverse ricette a seconda della zona: a Palermo si arrostisce e si serve con le patate, a Ragusa è accompagnato dall’impanata pasquale, una focaccia di origini spagnole, mentre a Trapani si cucina l’agnello alla menta.

In più, tipico di Messina è u sciusceddu, una ricetta antiche che vede polpette cotte in un brodo leggero e poi ricoperte dalla “conza”, una morbida crema di ricotta, formaggio e uova che, con il calore del forno, formerà una leggera crosticina dorata mantenendo una consistenza interna simile a quella di un soufflé; mentre ad Agrigento si prepara “il tegame pasquale d’Aragona”, formato da uova, zafferano e cannella.

Piatto forte del pranzo sono, però, i dolci. Il più importante e famoso è la cassata, che nasce come dolce pasquale ma è ormai presente in tutti i periodi dell’anno. Diffusa in tutta la Sicilia, ha origine nella Palermo araba e rispecchia nella sua composizione i diversi strati culturali della città. 

Il suo nome deriva dall’arabo quas’at (scodella), dal recipiente in cui ricotta e zucchero venivano mescolati. Inizialmente la ricetta si limitava a zucchero, ricotta rigorosamente di capra e pasta di pane, ma si arricchisce quando viene inventata la pasta reale o pasta di mandorle, detta anche Martorana perché inventata nel 1100 dalle suore di una chiesa palermitana chiamata appunto della Martorana, per decorare la chiesa con dolci a forma di frutto (che diventeranno tipici della festa di Ognissanti e saranno chiamati frutta di Martorana). In seguito, i dominatori spagnoli aggiungono cioccolato e Pan di Spagna e in epoca barocca viene introdotta la frutta candita come decorazione.

Tipici tra le tradizioni culinarie pasquali sono anche pupi cu l’ova, ciambelle a forma di agnello, colomba o altri simboli pasquali al cui centro viene posto un uovo con ancora il guscio. La simbologia dell’agnello sacrificale e dell’uovo è frequente nei dolci: abbiamo infatti un agnello fatto di pasta di mandorle, con lo stendardo della resurrezione, che si mangia anche in tutto il periodo precedente alla giornata di Pasqua. A Favara, in provincia di Agrigento, l’agnello è ripieno di crema di pistacchi.

L’arrustuta di Pasquetta

Una vera e propria istituzione della cultura pasquale siciliana è poi l’arrustuta di Pasquetta e le stigghiole, budella di agnello arrotolate intorno a un porro o una cipolla lunga e condite con sale e limone, in una ricetta di origine greca.

– Sardegna

Semplicità, genuinità e sapori antichi: queste le prerogative dei piatti chiamati ad imbandire la tavola sarda nel giorno di Pasqua. Un tripudio di sapori che delizia il palato e celebra la tradizione sarda in un giorno di festa. Chi volesse sbizzarrirsi e preparare un menù tipicamente sardo non avrà che l’imbarazzo della scelta, tanti e variegati sono i gusti e i piatti tipici della tradizione enogastronomica dell’isola. 

Si parte dagli antipasti: pomodori secchi, Pecorino Sardo, salumi e carciofi spinosi locali sott’olio si adageranno su un letto di pane carasau, il pane croccante in fogli sottili caratteristico della tradizione culinaria sarda.

A Pasqua in Sardegna si è soliti cucinare la Panada, piatto unicoa forma di ‘cestino’ di pasta ripieno di carne di agnello, carciofi e patate, cucinato anche nella variante con i piselli.

C’è anche quella a base di carne di maiale o di anguille, se si sceglie il menu di pesce. Mentre un altro primo piatto sempre molto gettonato è quello dei Culurgiones.

CULURGIONIS OGLIASTRINI

Culurgiònis o Culurgiònes sono senza dubbio il piatto più famoso della cucina tipica ogliastrina, originariamente preparati solo in famiglia, oggi rappresentano una delle maggiori realtà economiche nel campo della pasta fresca e nel panorama della gastronomia ogliastrina e sarda.

La semplicità degli ingredienti dei culurgiones, ne fa nel passato un piatto povero, appartenente alla cultura agropastorale della zona.

Per prima cosa si lessano le patate, si sbucciano e si schiacciano per bene. Alle patate si aggiunge dell’olio d’oliva o del grasso (in passato si usava il grasso di vitello o manzo fresco o dello strutto di maiale), del pecorino (fresco o stagionato), sale, menta e aglio a piacimento. La sfoglia può essere preparata con una miscela di farina e semola o di sola semola, questa viene impastata con un po’ d’acqua tiepida salata e chiusa pasta originando una spiga detta in sardo “sa spighitta”.

I culurgiones vengono cotti tramite bollitura e serviti classicamente con del semplice sugo di pomodoro e pecorino grattugiato.

E i secondi? Un’apoteosi di arrosti di carne, come vuole la tradizione sarda. L’agnello arrosto cucinato con lo spiedo, oppure al forno con patate o in umido, con cuori di carciofi spinosi, prezzemolo e un pizzico di zafferano, esistente anche nelle varianti con piselli e patate. Agnello e capretto sono cotti in diversi modi, per esempio i piedini vengono fritti.

Molto diffusa “sa Cordula“, una treccia fatta con le interiora dell’agnello. Si può mangiare infilata con uno spiedo e arrostita, oppure in umido con piselli (prisucci) e passata di pomodoro. Non manca il porceddu, il famoso maialino sardo.

E poi, dulcis in fundo: le Pardulas ovvero le formaggelle di ricotta, dolce tipico pasquale sardo. Si tratta di cestini di pasta con la forma di stella e un cuore di ricotta vaccina o di pecora, a seconda dei gusti, insaporito da zafferano e scorze di agrumi e decorate con una glassa impreziosita da praline colorate.

Spazio, quindi, al torrone di mandorle e miele – famosissimo quello di Tonara – Mostaccioli, dolci di forma romboidale a base di mandorle, cannella e Sapa, glassa dolcissima ottenuta dal mosto cotto. Ancora, le Sebadas, ravioli fritti farciti di formaggio fresco, limone e ricoperti di miele fuso.

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Dalle Alpi alle Coste isolane le ricette per portare sulla tavola i sapori della primavera italiana e scoprire le prelibatezze d’Italia, i suoi piatti tipici pasquali, le simbologie, le leggende e curiosità legate alle preparazioni tradizionali delle nostre 20 regioni-scrigno. Per la prima Tappa -Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria- clicca qui.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della bella stagione che si sono fatti nel tempo un cibo carico di simbologie, divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Così, dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa. Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua.

– Emilia Romagna

I dolci della tradizione pasquale sono sempre molto semplici, soprattutto in quelle regioni a vocazione contadina come l’Emilia-Romagna dove la tipica Pagnotta Pasquale con uvetta viene accompagnata dalle uova sode benedette e dai celebri salumi e salami caserecci; si prosegue con il Pasticcio di maccheroni in pasta frolla – anche detto pasticcio ferrarese, un piatto antico le cui origini risalgono al ‘500 caratterizzato da uno scrigno di frolla dolce e un sapido ripieno di maccheroni, ragù bianco e besciamella, un piatto della tradizione che non manca mai sulle tavole delle case e dei ristoranti della città emiliana), nonchè le celeberrime lasagne verdi alla bolognese, la versione con la pasta all’uovo verde (agli spinaci o all’ortica) si servono tradizionalmente durante il pranzo di Pasqua.

La umile e contadina Tardura – che in dialetto romagnolo, significa “tiratura”, è una minestra con un gusto quasi identico ai passatelli romagnoli, solo che viene “tirata” anziché impastata e passata). Piatto antichissimo, sopravvive con gioia sulle tavole più tradizionali.

Tra i secondi l’agnello arriva su molte tavole (con i piselli alla romagnola o stufato al finocchio e non manca il suo fegato all’aceto balsamico) ma a sorpresa è spesso insidiato dal coniglio, alla cacciatora o in porchetta. Come dolci troviamo la panina pasquale e la ciambella, antichi e semplicissimi, ancora sfornati dalle nonne.

 – Toscana

L’astinenza quaresimale dalla carne, in Toscana è rotta dall’agnello, spesso cotto in fricassea. In Lunigiana, dove si sentono le influenze liguri, si prepara la Torta pasqualina, secondo un rituale che prevede di dividere l’impasto in 33 panetti, tanti quanti gli anni di Cristo.

Nella provincia di Massa Carrara la Torta è di riso ed è dolce, ma – sempre di riso – torna salata in Versilia e si chiama Putta, cioè con tanto pepe e pecorino stagionato. La Putta della Garfagnana è invece fatta anche con il farro. In ogni caso va gustata fredda, come antipasto durante il pranzo di Pasqua e viene servita accompagnata dai classici companatici quali uova sode, salumi e formaggi.

Tipica del Casentino è la Panina (e qui si sente l’influenza dell’Emilia-Romagna), un pane insaporito di spezie, zafferano e uvetta, da mangiare con le uova benedette. Tra gli altri pani più tipici, la focaccia di Pitigliano, pagnotta salata che ha un disegno a quadri sulla superficie guarnita di foglie d’ulivo.

Il Buglione invece è uno stufato di agnello marinato nel vino, che aiuta a stemperare il sapore forte della carne, ed è cotto con la pancetta e il pomodoro, servito con dei crostoni di pane toscano leggermente tostato che serve a raccogliere il sugo formatosi durante la cottura.

La Schiacciata di Pasqua, che è tutto tranne che sottile, è il dolce di Pasqua tipico diffuso in buona parte della Toscana con nomi leggermente diversi e con piccoli cambiamenti che ad un orecchio esperto permettono di attribuirla al senese, alla Valdelsa o all’empolese. C’è anche chi la chiama sportellina, il nome con cui viene definita a San Gimignano. Qualunque sia la definizione rimane il dolce caratteristico delle tavole pasquali della Toscana, la cui peculiarità consiste nell’intensa lavorazione manuale dell’impasto, nella lunga lievitazione naturale e nel distintivo profumo di anicini.

– Umbria

Regina indiscussa è la Torta di Pasqua, chiamata anche Pizza di Pasqua. Una torta salata a base di uova, farina e formaggi misti, soffice e gustosa, cotta in forno a legna dopo una lunga lievitazione. Nella tradizione veniva preparata dalle donne di famiglia il giovedì santo e non poteva essere consumata prima della mattina di Pasqua con salame, capocollo, uova sode colorate, cioccolato e vino rosso, tutto rigorosamente benedetto.

La mattina del Sabato Santo, infatti, si prepara un cestino con la tipica torta salata, del sale, le uova, i salumi, il pane, il vino e la ciaramicola (dolce caratteristico del Perugino) e si porta in chiesa per la benedizione dei cibi. È elevato il loro valore simbolico legato alla tradizione cristiana: l’uovo che rappresenta la Resurrezione, il pane emblema di Cristo, il vino che richiama il sangue di Gesù, la carne che evoca il sacrificio.

La giornata prosegue con un grande pranzo che prevede un primo piatto a base di pasta fatta in casa: gli “agnolotti” ripieni di carne, le tagliatelle, i tortelloni di Norcia o gli strangozzi spoletinisecondo la zona o la tradizione di famiglia. Come secondo, tipico della Pasqua umbra è l’agnello, cucinato arrosto e servito con fette di limone per esaltarne il sapore.

A Perugia, il pranzo della domenica di Pasqua si chiude con la Ciaramicola, una soffice ciambella lievitata di un bel colore rosso carico, ricoperta da una candida meringa e da una pioggia di confettini di zucchero: il rosso e il bianco ricordano proprio i colori simbolo della città. Secondo tradizione questa ciambella rappresentava l’amore, perché veniva regalata dalle ragazze ai propri fidanzati il giorno di Pasqua.


Tipica dell’orvietano, della Valnerina e delle zone del Trasimeno è invece la Torta di Pasqua dolce, aromatizzata con buccia di limone e cannella, che si accompagna indifferentemente ai salumi e al cioccolato. 

– Marche

La domenica mattina si fa una colazione con salumi, uova sode e Crescia di Pasqua o pizza al formaggio. La Crescia di Pasqua è una variante della pizza al formaggio: ricca di formaggio (soprattutto pecorino) e con una spruzzata di pepe, va mangiata insieme ai salumi, alla coratella d’agnello, frittate di erbe e frittata con mentuccia. La ricetta è molto simile a quella della pizza al formaggio, tanto che in alcuni posti Crescia di Pasqua e pizza al formaggio sono sinonimi. Fra gli affettati non deve assolutamente mancare il ciauscolo.

Se si è sopravvissuti alla colazione, allora poi si può passare al pranzo di Pasqua. Come primi: passatelli in brodo di gallina, tagliatelle o ravioli al sugo, mentre i secondi sono a base di agnello. Per i dolci, ci sarebbe la tradizionale Pizza dolce di Pasqua.

– Lazio

Sapori forti delle campagne e gustose raffinatezze locali, si sposano in un connubio gastronomico ricco di particolarità, impreziosito da numerose preparazioni culinarie: la tavola di Pasqua, a Roma e nel Lazio, è un sincero omaggio alla tradizione gastronomia territoriale.

Il simbolo del pranzo laziale è l’abbacchio, che da secoli campeggia sulle tavole regionali. Tradizionalmente, il termine “abbacchio” indica l’agnello giovane, lattante, pronto per la vendita. Che sia intero, mezzena, spalla e coscio, costolette, testa o coratella, le sue carni, tenere e saporite, rivestono un ruolo di primo piano nella gastronomia territoriale, oramai da millenni. Un ruolo così importante, che il suo commercio, già particolarmente fiorente nella Roma Antica, nella Roma dei Papi era addirittura tutelato con leggi e decreti “ad hoc”.

Anche nel mondo moderno viene tutelato dal marchio IGP dal 2009. La denominazione Abbacchio Romano IGP caratterizza esclusivamente agnelli da latte allevati nei territori della regione Lazio, di massimo 8 kg di peso e con un’età compresa, all’atto della macellazione, tra i 28 e i 40 giorni.

La cucina regionale, nelle sue diverse sfaccettature, conosce innumerevoli per preparare l’abbacchio, ma i più gettonati restano sempre quelli tradizionali: alla Romana (al forno con patate, vino bianco e rosmarino), alla Cacciatora (cotto al tegame, con aceto, rosmarino, aglio e salvia) o a Scottadito (cucinato alla brace, tendenzialmente si utilizzano le sole costolette, condite con rosmarino, olio, pepe e limone).

Altro ingrediente forte della tavola pasquale è la Ricotta Romana. Come l’abbacchio, la ricotta è un altro alimento di origine millenaria, che accompagna le abitudini gastronomiche territoriali oramai da tempo immemore.

I cenni storici più antichi sono le descrizioni delle tecniche lattiero-casearie fornite da Columella nel suo “De Re Rustica” (il più importante trattato agronomico dell’età latina) e le norme di Marco Porcio Catone, sulla pastorizia nell’epoca repubblicana. La ricotta si ottiene dalla coagulazione delle proteine contenute nel siero del latte, che viene separato dalla cagliata durante la caseificazione. Il nome “ricotta”, (dal latino recocta) deriva dall’alta temperatura a cui avviene il processo di coagulazione, che porta il siero a “ricuocere”, donando origine al prodotto. La Ricotta Romana,tutelata dal marchio DOP a partire dal 2005, si ottiene esclusivamente da siero di latte di pecora, proveniente dal territorio regionale. Il suo sapore, delicato e lievemente dolciastro, è uno dei più caratteristici (e popolari) della gastronomia territoriale.

Tra le numerosissime Pizze o Torte di Pasqua, realizzate con ricette differenti, nei diversi territori del Lazio, figurano la Pizza Grassa di Leonessa (a base salata, impastata con burro, spezie e salumi locali) e quella della Tuscia Viterbese, la che viene realizzata in due versioni, dolce o al formaggio, entrambe con la caratteristica forma a fungo. La prima, dolce, si distingue per una forte nota di cannella. La seconda, quella al formaggio, conserva il sapore marcato del pecorino. Altrettanto caratteristica è la Pizza Pasquale della Sabina, una focaccia di forma conica, impasta tata con farina di grano tenero, uova, rum, zucchero e canditi, dal sapore dolciastro o lievemente salato.

Da Roma in giù, invece, la Torta Pasquale è una ciambella dolce, a base di liquore o semi di anice, dall’impasto consistente e dal sapore delicato. A seconda dell’area di produzione (le province di Roma, Frosinone o Latina) la “Torta” può essere glassata, oppure arricchita con uova sode.

Altre preparazioni, dolci e salate, legate al periodo sono la Torta Pasqualina di Anagni (a base di pasta frolla, farcita con un ripieno di ricotta), il Tortolo di Pasqua di Sezze (luna piccola pagnotta di pane dal sapore non proprio dolce: ecco perché c’è chi ora lo consuma insieme alla corallina, tipico salame romano. Farina, uova, olio extravergine, un bicchiere di sambuca, zucchero, lievito naturale e lievito di birra: questi i suoi ingredienti) e la Tosa di Pasqua (una preparazione dolce, a forma di bambola o di ciambella, a base di farina, latte, uova e semi di anice).

Sono tipici di questo scorcio stagionale anche Cavallucci e Pigne di Palestrina (biscotti di pasta cresciuta di dimensioni notevoli, grandi più o meno quanto una piccola torta, guarniti con confetti colorati) e Cavallucciu e Pucanella (pani dolci aromatizzati) di Amatrice: cavallucci per i bambini, pigne o pucanelle (bambole) per le bambine da consumare durante le scampagnate di Pasquetta.

La colazione completa comprende: salame corallina, torta salata, uova sode, pane casareccio caldo, pizza sbattuta (da mangiare insieme alle uova di cioccolato), frittata con i carciofi e la coratella d’agnello con carciofi.

Il salame detto corallina è una specialità di salume con gli inserti di grasso di maiale nel ripieno ben evidenti. La coratella di abbacchio, invece, è un piatto a base di interiora d’agnello che vengono sminuzzate, e cotte in padella con la cipolla dopo averle insaporite, alle quali si uniscono i carciofi già preparati per essere aggiunti.

Pasqua viene in primavera e il carciofo è il simbolo di questi giorni che viene usato sia per la colazione che poi per il pic-nic del giorno di Pasquetta cotto alla brace, magari con le “matticelle”, i tralci della potatura della vite. Sia a sud di Roma con il Carciofo di Sezze, che a nord con il carciofo romanesco di Cerveteri, il Lazio ha una grande varietà di carciofi locali DOP.

Ma facciamo un passo indietro. Nella colazione di Pasqua a Roma non può mancare la “pizza sbattuta”, ossia un dolce simile al pan di spagna che non va confuso con la Torta Pasqualina. A Roma la Torta Pasqualina è una pizza salata ripiena di spinaci, ricotta e uova.

La pizza di Pasqua è una torta salata lievitata, tipica anche di molte zone del centro Italia a base di farina, uova, pecorino o parmigiano. Viene servita per tradizione a colazione della mattina di Pasqua oppure come antipasto del pranzo pasquale, o ancora usata nelle scampagnate della Pasquetta.

Impossibile non citare la Coratella con i carciofi, Regina delle Tavole di Pasqua. Chi (come me) ama le interiora dell’agnello e il quinto quarto in generale, la coratella è qualcosa di irrinunciabile.

Roma, e tutta la regione, è poi un tripudio di minestre in brodo come la la stracciatella (sorella della Tardura emiliana e tipica del lunedì di Pasqua), Fritto di carciofi, Gnocchi alla romana, Agnello arrosto con patate o alla brace, salumi di ogni sorta, ricotta salata, uova sode e uova di cioccolato.

Le uova di cioccolato: la tradizione di colorare le uova a Pasqua risale all’epoca romana, come raccontato da Plinio. La prima tinta adoperata fu il rosso, come il colore del sangue di Cristo. Si racconta che quando Maria di Magdala annunciò la Resurrezione di Cristo, Pietro disse: “Ci crederò quando le uova nasceranno rosse”. Allora Maria scoprì il canestro e si accorse che le uova erano tutte rosse. Nel Medioevo durante la Quaresima era vietato mangiare le uova, perché di origine animale. Così si affermò l’uso di colorarle durante la Settimana Santa con disegni geometrici e prevalenza dei toni rosso e azzurro. Queste uova, poi, nel giorno del Venerdì Santo venivano portate in chiesa per essere benedette, così da poterle consumare la mattina di Pasqua.

– Abruzzo

La colazione del giorno di Pasqua è ormai chiaro che non è una colazione come tante altre e, per sottolinenare questa differenza, in Abruzzo si chiama sdiuno, una sorta di brunch, che inizia dalla colazione e diventa direttamente pranzo dal tono informale.

Si parte con la Pizza di Pasqua, anche qui un impasto non troppo soffice, aromatizzato con l’anice e arricchito con l’uvetta. Poi le Mazzarelle che sono involtini di coratella di agnello avvolta in foglie di indivia (lattuga o scarola) legati con budelline di stesso agnello, preparate in padella con il sugo di pomodoro, anche registrate dal Ministero delle politiche agricole alimentari nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani.

Lo sdiuno diventa pranzo e ci procede a suo di Timballo, Agnello, uova e Formaggi. Ancora una volta, le ricette variano a seconda dell’area e del modo in cui sono state tramandate all’interno della regione stessa: troviamo un timballo fatto di scrippelle (fritattine sottilissime di acqua, farina e uova preparate in padella) e pallottine di carne a Teramo, oppure composto da sfoglie, o da pasta secca al forno ricoperta da un guscio di pasta frolla o sfoglia.

I puristi del Timballo affermano che quello vero abruzzese sia il teramano, realizzato con le scrippelle e le polpettine di carne. Qualunque sia l’originale, del timballo esistono molte versioni, tra cui anche alcune in bianco con macinato, carciofi e zucchine, e vale la pena assaggiarle tutte almeno una volta. I secondi piatti pasquali includono generalmente la presenza di agnello, che sia alla brace o sotto forma di “agnello cace e ove”, piatto che arriva dall’antica tradizione pastorale abruzzese ed è il perfetto connubio di agnello, formaggio pecorino abruzzese, e uova, le regine della pasqua.

L’uovo e il formaggio anche gli sono ingredienti principi di fiadoni e fiadoncini di pasta salata e dolce, e si trovano in altre moltissime preparazioni come nei “fegatini e cicoria” e nella pizza di Pasqua al profumo d’anice.

Pet chiudere gli antichi e simbolici “pupe e cavalli”, che sono i dolci che si donano ai bambini che prevedono la decorazione con la ghiaccia reale o con la ghiaccia all’acqua, codette e palline argentate o gocce di cioccolato e gli occhi con chicchi di caffè; un’altra usanza vede invece donare agnellini di pasta di mandorle e le pepatille fatte col tritello, miele, mandorle, scorza di arance e pepe.


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Dalla Crescia valdostana all’Aceddu cu l’ova siciliano passando per Cimma e Fugassa, Mazzarelle e Coratelle, Pastiere e Scarcelle: 3 tappe per scoprire le prelibatezze d’Italia, i suoi piatti tipici pasquali, le simbologie, le leggende e curiosità legate alle preparazioni tradizionali delle nostre 20 regioni-scrigno. Prima tappa: Valle d’Aosta, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Liguria.

La Primavera, così come la Pasqua, non la puoi fermare, non la puoi recintare. La natura si risveglia dal torpore invernale e, coincidendo con uno dei momenti fondamentali nell’anno liturgico cristiano, amalgama a sé quell’insieme di gesti agropastorali propiziatori per il raccolto della futura bella stagione che si sono fatti nel tempo cibo divenendo tradizioni gastronomiche che, ben oltre i dialetti, uniscono l’Italia tutta.

Con le dovute varianti da regione a regione, ma tutte inneggianti ai frutti della buona primavera, la tradizione di origine cattolica prevede che si festeggi con l’agnello o il capretto al forno, erbe di spontanee, verdure di stagione e formaggi spesso lavorati assieme e chiusi in fragranti torte rustiche, poi, chiaramente tante uova, simbolo di vita, rinascita, rinnovamento.

Dalle Alpi alle calde coste isolane sulle tavole di Pasqua e Pasquetta non possono così mancare pani poveri e saporiti, torte ricche e farcite, frittate e frattaglie, risotti e lasagne, carni da cortile, arrosti e brodi, dolci e brioche, colombe e cioccolati.

Le tradizioni di origine ortodossa vogliono inoltre che la Pasqua sia per eccellenza occasione per ritrovarsi in compagnia numerosa.

Ma se la Pasqua 2020 ci impone ci stare a casa e soli, ecco una ragione in più per cimentarsi nella preparazione di ricette meno note e sperimentare i sapori della primavera italiana superando così, almeno a tavola, i confini razionali e regionali. Buona Pasqua

– Val d’Aosta

La Crescia di Pasqua valdostana è un pane-focaccia perfetto per accompagnare i salumi, impastato con formaggi stagionati, uova, olio evo e abbondante pepe nero. Nel nome e negli ingredienti ci ricorda la “sorella marchigiana” con le uniche differenze che nella versione valdostana non compaiono il latte, il formaggio a pezzetti e gli albumi vengono montati a neve per donare alla crescia una consistenza più soffice.

Tra le prelibatezze annoveriamo anche la Torta Pasqualina, una torta rustica che protegge un tripudio di erbe primaverili e selvatiche come ortiche, foglie di papavero campestre e di primula, germogli di luppolo, tarassaco, piantaggine, erba cipollina, salvia, rosmarino, foglie di erba San Pietro e quelle che la natura offre, sempre perfetta accanto allo Spezzatino di agnellone in umido, una ricetta antica che lo rende gustoso eliminando il suo gusto “selvaggio”.

– Lombardia

Capretto ed erbe spontanee (nelle valli prealpine, come a Bergamo e in Valtellina), poi tante uova (simbolo di rinascita e che venivano benedette in Chiesa assieme agli agnelli), formaggi, focaccia dolce e torta salata pasquale lombarda, insolita e poco conosciuta, che è una deliziosa pasta sfoglia farcita con un impasto di pollo rosolato, prosciutto, parmigiano, asparagi, sale pepe, timo e prezzemolo.

Nel Pavese e nell’Oltrepò, insieme con l’insalata novella e al salame crudo sono indispensabili le torte: di erbe spontanee, di carciofi e di riso. Caratteristico il dolce a forma di cestino con dentro un uovo sodo che si offre ai bambini, il cavagnè dl’euv.

Nel lodigiano si riempiono le uova con tonno e insalata russa, poi c’è anche il brodo caldo, spesso con la stracciatella nuova e prezzemolo e il capretto arrosto. Tipico dolce pasquale è l’agnello di pasta sfoglia farcito con crema pasticciera o chantilly.

A Pavia, dove era tradizione sacrificare l’ultima gallina o il gallo per il brodo del risotto, si vanta l’invenzione della colomba, simbolo di salvezza e resurrezione, dolce ora diffuso in tutta la penisola. La colomba pasquale è un dolce simile al panettone, arricchito di una copertura di amaretto e mandorle. La storica azienda milanese Motta decise di confezionare questo prodotto nei primi del Novecento, ma la sua storia però ha origini ben più lontane.

LA LEGGENDA PAVESE
Si narra che verso la metà del VI secolo, il Re Alboino, sovrano dei Longobardi, dopo avere lungamente assediato la città di Pavia, riuscì ad occuparla il giorno della vigilia di Pasqua del 572.
Il sovrano prima di dare la città alle fiamme, decise di accettare i doni che i cittadini volevano offrirgli. Così ricevette in dono dodici meravigliose fanciulle che avrebbero dovuto deliziare le sue notti e, mentre rifletteva sulla sorte di Pavia, si presentò al suo cospetto un vecchio artigiano con dei pani dolci a forma di colomba:
“Sire, – disse il vecchio – io ti porgo queste colombe quale tributo di pace nel giorno di Pasqua”. All’assaggio i pani risultarono così buoni da spingere il sovrano ad una promessa: “In onore di queste colombe, rispetterò la città e i suoi abitanti”.
Ma in realtà, quel buonissimo dolce, nascondeva un sottile inganno: quando il Re Alboino iniziò a chiedere alle fanciulle quale fosse il loro nome, si vide rispondere sempre la stessa cosa, cioè ‘Colomba‘.
Alboino comprese il raggiro che gli era stato giocato, ma rispettò lo stesso la promessa di salvare Pavia e i suoi abitanti.

Oltre alla colomba pavese e lombarda, c’è quella diffusa in Sicilia, chiamata anche ‘palummedda’ o ‘pastifuorta’. Si tratta di piccole colombe in pastaforte, realizzate con zucchero, farina doppio zero e cannella. Hanno una forte consistenza, da qui il nome di pasteforti. Tramandata dai nonni ed ancora prima, si dice che fosse regalo di scambio tra i fidanzati. Ma questa è un’altra storia.

– Piemonte

Accanto alla frittata rognosa – con salame o salsiccia sbriciolati – tipica delle zone rurali, abbondano poi Agnolotti del Plin, vitello tonnato e agnello al forno con patate (con la particolarità che deve essere lasciato a marinare almeno per tutta la notte) arrosti di maiale o vitello, salsa verde obbligatoria (bagnet Verd) e la ciburea (sorella del Cibreo toscano?) preparata con con le parti meno nobili del pollo (frattaglie, ali, collo) cotte in umido con le patate, anche detta in “bagna”.

Altro piatto tipico della Pasqua in Piemonte sembra sia il Tonno di coniglio alla Piemontese: un piatto che si consuma freddo, ideale come antipasto del pranzo di Pasqua o come portata del pic-nic di Pasquetta. Potete accompagnarlo con crostini di pane rustico o usarlo per farcire panini integrali.

– Veneto

“Xe Pasqua! Xe Pasqua! Che caro che go, se magna ea fugassa, se beve el cocò.” È Pasqua! È Pasqua! Sono contento, si mangia la focaccia e si beve l’uovo.

Risi e Risotti con gli asparagi, capretto o agnello al forno con le erbette, mostarde di mele cotogne e semi di senape, insalata pasqualina (un’insalata mista con i fiori di primula, i cipollotti novelli, formaggio, uova sode, panna fresca, erbe aromatiche, erba cipollina e olio EVO) e sua Maestà la fugassa.

Sembra infatti che in Veneto “non è Pasqua se non c’è fugassa“, una “focaccia” dolce un tempo cotta a legna di antichissima tradizione risalente alle prime feste cristiane in onore della Resurrezione di Gesù celebrate sempre con grande solennità.

Si narra anche, oltre a Pasqua e proprio per la sua carica benaugurale venisse preparata in occasione dei fidanzamenti e donata alla famiglia della futura sposa con dentro l’anello.

– Friuli Venezia Giulia

Anche qui asparagi selvatici, agnelli al forno, brodi e pinza triestina, un particolare e amatissimo dolce non dolce tipico pasquale, una sorta di brioche perfetta sia con salumi e formaggi, sia con miele e confetture.

Sulla pinza è tradizione fare tre o quattro tagli sulla sommità dell’impasto. Questi taglio “a croce”, comune a molti pani, hanno per tutti un duplice significato: nella tradizione cristiana simboleggiano il martirio di Cristo, nella pratica servono a far lievitare meglio l’impasto. Oltre le erbe spontanee e agli ortaggi di primavera anche gli animali da cortile contribuivano a far ghiotta la Pasqua: alla gallina o al tacchino o al coniglio si univa anche carne di manzo per fare el brodo taià (misto), poi la minestra con il riso o con le tagliatelle fatte in casa.

Da segnalare la tradizione che ancora oggi si ripete a Timau, legata alla schultar, la spalla di maiale affumicata. La sua preparazione inizia con la salatura a secco e poi l’affumicatura con i legni profumati. Una volta cotta viene portata in chiesa per la benedizione insieme al salam cuet, salame affumicato. Le specialità vengono accompagnate dalla pinca o sirnica, tradizionale pane dolce pasquale croato con uvetta e scorza d’arancia.  

A Trieste e Gorizia, anche qui spalletta di maiale o prosciutto caldo cosparso di crema grattugiato o in salsa e, nella zona del Carso anche da fiori di finocchio selvatico, uova sode colorate e gelatina, il tutto accompagnato dalla tipica pinza. Della merenda goriziana sono tipiche anche lis fulis o fulje o fule, un dolce piuttosto curioso di origine medievale, che mischia insieme dolce e salato, si tratta di polpettine con pane raffermo grattugiato, zucchero uova, formaggio, scorze di agrumi, erba cipollina brodo di maiale. Alcune varianti prevedono canditi e pancetta o lardo, chiodi di garofano e diverse spezie.

– Trentino Alto Adige

Anche nel periodo pasquale si possono degustare dei piatti tipici, come le polpettine pasquali in Trentino fatte con polpa di agnello macinata, rosmarino, scalogno e prezzemolo, avvolte in una rete di maiale, fatte rosolare nell’olio caldo e poi infornate o lasciate cuocere nel sugo.

Ma la Pasqua coincide anche con il periodo della raccolta degli asparagi bianchi di Zambana, in Trentino, protagonisti di tortini di asparagi e risotto agli asparagi, capretto, e per dolce la Corona pasquale tipica del Trentino: un impasto di farina, latte, uova, zucchero, burro, panna fresca e succo di limone, a cui viene data la forma di corona e guarnita poi con uova sode.

Esiste e resiste poi un’usanza propiziatrice che vede regalare dai padrini e madrine ai figliocci un pane a forma di gallina o coniglio chiamato Fochaz che viene benedetto in chiesa. Questo pane in particolare accompagna il prosciutto Pasquale (osterschinken) tipico dell’Alto Adige, ricavato dalla coscia di maiale senza stinco, senza fesa e senza filetto.

– Liguria

La razza dei genovesi è come quella dei pellerossa, si sta spegnendo poco a poco. È un peccato per il mondo, cui abbiamo regalato due cose grandi come l’America e la torta Pasqualina”. Così scriveva il giornalista Giovanni Ansaldo nel 1930. L’origine di questo piatto tipico si perde nella notte dei tempi e la paternità è contesa. Ma i liguri possono vantare di avere dalla loro parte un documento del 1500 di Ortensio Lando, che cita la pasqualina genovese nel “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano”, apprezzandola a tal punto da scrivere: “A me piacque più che dell’orso il miele”.

La Torta pasqualina è la celebre torta rustica della Pasqua genovese realizzata con un ripieno ricco di bietole, uova e prescinseua (più spesso sostituita con la ricotta) e maggiorana fresca: la vera tradizione vuole sia fatta con ben 33 sfoglie in riferimento all’età del Messia. Esiste anche una variante molto diffusa che prevede l’aggiunta di carciofi, cipollotti e piselli,.

Poi c’è la Cima ligure (Cimma in diletto, un suggestivo piatto povero realizzato con la pancia di vitello lavorata come una tasca e farcita da diversi ingredienti, spesso un impasto di formaggio, piselli e carote, poi cotta in un brodo vegetale e fatta riposare sotto un peso),

Il metodo e la grande cura nella preparazione di questa specialità popolare e tradizionale sono ben raccontati e descritti nella canzone in dialetto genovese cantata da Fabrizio De Andrè e scritta con Ivano Fossati, A Cimma, dedicata proprio alla ricetta tipica ligure. (il link del brano qui).

Grandi protagonisti anche le interiora d’agnello – il cosiddetto Giancu e neigru d’agnelletto (una sorta di “sorella coratella” di cuore, fegato, milza, polmone, rognone, tagliati a strisce e cotti con olio, aglio, prezzemolo, vino bianco, sale e pepe, da mangiare il sabato santo) – uova a barchetta e Agnello al forno con le patate. 

Tra i dolci spiccano invece i Cavagnetti di Brugnato dalla forma di un piccoli cestini con il manico, dal quale deriva il nome, dentro ai quali viene posizionato un uovo intero, guscio compreso. L’impasto a lunga lievitazione, realizzato con farina e lievito di birra, zucchero, burro anice e buccia di limone grattugiata cuoce con il suo uovo in forno per circa mezz’ora.

Il Cavagnetto, ovvero cestinetto, è considerato il dolce pasquale tipico del Comune di Brugnato in quanto un tempo veniva preparato il giorno della vigilia e portato in chiesa dai bambini per la benedizione, quindi mangiato in famiglia il giorno successivo.

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Italia blindata fino a dopo Pasqua. Nonostante questo la voglia di pensare al dopodomani è più forte, e già si cominciano a fare previsioni per le riaperture. Con la fine dell’emergenza però non tornerà immediatamente tutto come prima, nè a livello territoriale, nè per tutte le attività lavorative. Si prevede una graduale riapertura delle imprese, ma per negozi, aziende, ristoranti, bar e pub ci vorranno ancora settimane e bisognerà osservare alcune misure di contenimento per molto, molto tempo. 

Difficile dare una data certa per vedere rialzate le serrande italiane. Nonostante il previsto futuro attenuarsi delle misure di contenimento e la possibilità di usare lo “stop and go” degli inglesi, le prime attività a riaprire potrebbero essere quelle della filiera alimentare e farmaceutica, mentre in fondo alla lista rimangono i luoghi che creano assembramento come pub, discoteche, sale eventi, bar e ristoranti. E anche quando verranno riaperti, norme straordinarie rimarranno in vigore per molto tempo ancora, tra cui il famoso metro di distanza tra i clienti e servizio al tavolo. 

Anche la domanda, a quel punto, sarà profondamente modificata nella struttura psicologica e nella capacità economica; sarà diversa e limitata ai confini nazionali, crescerà gradualmente, soprattutto in ambito internazionale, mentre i segmenti e i canali di vendita classica si stanno già modificando. E come e quanto cambieranno la percezione del benessere, le esigenze, i consumi dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? 

Come, in sintesi, e da dove si ripartirà per ricostruire la nostra Italia? E come la Ristorazione deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali in cucina come nella vita? 

Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono 7 Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Sandro Serva, Patron – La Trota dal ‘63, Rivodutri (RI) – 2 stelle Michelin

I consumi seguiranno di più la bussola della qualità e dell’autenticità del prodotto. Prevedo una crescita della spesa a dettaglio da parte delle famiglie, ma anche il mondo della ristorazione non si sottrarrà a questa tendenza, anzi ne sarà uno dei principali promotori. 

Smetteremo di parlare di percezione e inizieremo a parlare di “primato del benessere” in tutte le sue declinazioni, in nome di un principio-guida, quello della prevenzione. Cibo e alimentazione ne sono e ne saranno i simboli più rappresentativi. 

La fisicità fa parte del nostro modo di interagire, è un tratto caratterizzante della nostra italianità. Per qualche tempo, dovremmo metterla da parte. L’allenamento di queste settimane è duro, ma sono certo che quando ripartiremo saremo in grado di rivalutare alcune attitudini e gesti comportamentali che spesso abbiamo lasciato indietro, anche con i nostri più vicini e storici collaboratori, colleghi e clienti. 

Il turismo esperienziale sarà la chiave per ripartire. Ma questa volta dobbiamo farlo mettendo al centro l’ambiente, costruendo un modello di sostenibilità in grado di dialogare con tutte le altre sfere dello sviluppo economico. Il mondo dell’enogastronomia non deve rimanere indietro, ma cercare nuove e costanti sinergie con il territorio e i servizi turistici sostenibili che esso può offrire. Qui il lavoro di squadra farà la differenza. 

Come reagirà il mondo gourmet? I clienti gourmet non avranno timori a fare spostamenti o a spostarsi, ma crescerà anzitutto attenzione e sensibilità su tutti gli aspetti, ovviamente anche quelli legati alla sicurezza. Spetta a tutti gli operatori gourmet farsi trovare pronti: tavoli distanziati si ma non vorrei vedere personale di sala con la mascherina. Ovviamente ci adegueremo se necessario! Il primo ingrediente di qualità rimane l’ospitalità, unica quella italiana. 

Quando inciderà sulla ristorazione classica la vendita all’online?Inciderà più di prima, soprattutto nel breve periodo e soprattutto nelle metropoli dove ci sono sistemi e procedure più organizzate. Ma l’alta ristorazione non verrà toccata da questo processo, seppure già offre servizi di qualità anche in questo campo. La nostra azienda per esempio da tempo organizza banchetti e cene a domicilio ma tutto viene realizzato in loco con cotture espresse: non possiamo permetterci di stravolgere la nostra cucina portando cibi già precotti

Come si rimetterà in piedi la nostra Italia?Ci vuole tempo. Un anno e poco più per riorganizzarsi e ripartire, dobbiamo ricavare il bene da questo male. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, ma serve onestà intellettuale e memoria: anche nel nostro settore alcune mode estemporanee hanno generato, spesso tra i giovani, illusione e falsi miti. Questi ultimi faranno più fatica a ripartire e dovranno mettersi in discussione se vogliono diventare competitivi. La mia generazione ha sfidato ingenuamente la natura e oggi sta perdendo. Chiedo alla nuova generazione di convivere con essa, costruendo un futuro migliore. Io sono molto fiducioso. Viva l’Italia! Viva la cucina italiana ! 

Gabriele Muro, Executive Chef – ADELAIDE al Vilòn, Roma

Oggi, come in tutto il pianeta, il ristorante Adelaide al Vilòn è fermo. Si cerca però di non restare fermi con la mente, studiando nuove soluzioni per quando si ripartirà. Sono sicuro che tutto questo sconvolgerà per sempre la ristorazione italiana ma noi chef, ristoratori, camerieri, abbiamo il dovere e, quindi dobbiamo essere pronti, di rilanciare le attività di ristorazione, più carichi che mai. 

Saranno tutte nuove aperture, è per questo che sarà una seconda occasione,  per poter magari aggiustare il tiro e migliorare, allargare la propria fascia di mercato, aprirsi ad orizzonti magari sottovalutati. Di sicuro la strada è in salita, sarà dura e ricca di ostacoli, ma ricordiamoci sempre che noi abbiamo il vantaggio di vivere nel Paese più bello del mondo, dove da sempre la cucina e il cibo sono al centro della vita. 

Quindi quando tutto questo passerà, ritorneremo ad essere “invasi” da viaggiatori curiosi affamati della cultura del nostro amato Paese più che mai, perché puoi fare a meno di visitare altri posti, ma l’Italia no. E poi ci siamo noi, gli italiani, che tanto abbiamo amato cucinare a casa in questi giorni ma che desideriamo anche tanto tornare a mangiare fuori, a vivere un’esperienza al ristorante con lo stesso spirito di un viaggio: curiosità ed emozioni, il sapore della vita. 

Angelo Lucarella, imprenditore – Pasticceria Le Gourmandise, Bari

Non è un momento facile per tutti noi, ma dobbiamo essere fiduciosi. In questi giorni il più grande obiettivo deve essere quello di sconfiggere il “nemico” e tornare alla normalità. Quando tutto sarà passato avremo tanta grinta e i nostri clienti, sono sicuro, non ci faranno mancare il loro supporto tornando a gustare la nostra pasticceria da banco.

Qualche preoccupazione in più ci viene dal catering per cerimonie. Per esempio, quando ripartiranno matrimoni ed eventi? In tanti stanno decidendo di rinviare le proprie feste al 2021 e il nostro settore potrebbe soffrire: noi guardiamo oltre perché dopo la pioggia arriva sempre il sole. Siamo sicuri che la gente tornerà a festeggiare e noi ad accompagnare i loro momenti di gioia. Finirà presto. Da parte nostra un piccolo contributo alla risoluzione del problema: stare a casa; facciamolo e tutto, presto, ricomincerà e sarà più bello di prima.

Cristiano Iacobelli, chef – micro birrificio artigianale Atlas Coelestis, Roma

Sarebbe bello pensare che queste difficoltà ci possano donare la forza di migliorare ma non ci credo fino in fondo. Sarà un post pandemia critico per molti, si ridisegnerà il tessuto sociale e si vedrà ancor più marcatamente il divario tra chi potrà continuare a vivere con la consueta normalità e chi non lo potrà più fare. 

Comunque vada questo momento metterà a disposizione di tutti nuovi strumenti per valutare la vita a 360 gradi. Enogastronomia e turismo sono da sempre un pilastro della nostra economia, e penso che soprattutto il turismo dopo un periodo di difficoltà riprenderà la sua performance solita; la ristorazione e l’enogastronomia non legata al turismo per intenderci bisognerà adeguarsi alle nuove esigenze di un popolo colpito duramente che avrà forse nuove priorità con cui confrontarsi.

Se per gourmet si intende per mondo la ricerca da parte del consumatore del “buono pulito e giusto” questa non potrà che premiare chi in questi anni ha investito tempo risorse e cuore nel proporre già tutto questo perlomeno lo spero perché sarà per noi l’unica speranza di salvezza professionale.

Dovremo poi valutare attentamente la situazione, capire la tendenza e forse destinare qualche risorsa anche per questi canali online e delivery, ma onestamente penso che questo potrà continuare a funzionare per alcuni micro settori della ristorazione, perchè il fascino di una cena non può essere sostituito e il ristorante dovrà tornare ad essere un momento di gioia svago e perché no, di cultura.

Per noi la strada, da questo punto di vista, era già tracciata. Da tempo scrivo sui miei menù la sintesi di ciò che cerchiamo di essere “sapore, sostanza, sentimento, ricerca, pensiero, semplicità” e questo non è uno slogan pubblicitario, se abbiamo lavorato bene in passato il futuro ci verrà incontro perché per noi ieri era già domani.

Giuseppe Marchese, Direttore Generale di Ragosta Hotels Collection – Palazzo Montemartini Rome, A Radisson Collection Hotel + Hotel Raito e Relais Paradiso a Vietri sul Mare + La Plage Resort a Taormina

Il momento che stiamo attraversando dobbiamo necessariamente viverlo come un’occasione per guardare al futuro e dovremo investire tutte le nostre energie per interpretare le nuove esigenze dei nostri ospiti. 

Le nostre destinazioni rappresentano per antonomasia il nostro Paese – Roma, la Costiera Amalfitana, Taormina – e ripartiremo proprio da questo. 

Sarà la chiave che ci permetterà di far tornare in Italia quanto prima il mercato internazionale: la bellezza inconfondibile di location uniche, l’attenzione nella scelta delle materie prime e l’impegno di tutti, abbiamo già tutto quello che serve per far si che quando sarà il momento, sarà più bello di prima.

Chiara Magliocchetti, imprenditrice – Pianostrada – Pizza Amerina, Roma

Nel giro di poche ore, nel giro di pochi attimi si è passati dal rumore fragoroso delle chiacchiere dei clienti, dai profumi invadenti pieni di golosità al totale silenzio, alle luci spente. Ristorazione sospesa in attesa del rientro in gioco della “normalità”. Che nulla sarà come prima ce l’abbiamo ben stampato nella nostra mente.

Quando arriverà il momento della riapertura per i ristoranti? La strada sarà ancora lunga e piena di slalom tra minuziosi ostacoli. Dovremo esser pronti a muoverci in un nuovo scenario che ci spingerà ad un compromesso tra la realtà economica e l’importanza di mantenere la propria identità.

Gli italiani avranno belle energie da utilizzare, ma con un chiaro filtro economico e, alla nostra riapertura dovremo fare i conti con una parte mancante, l’energico turismo enogastronomico straniero, per citarne uno, che si affaccerà timidamente almeno verso il prossimo settembre.

Restare uniti. Questo è il semplice imperativo. Non perdere l’entusiasmo , che è ciò che da la carica a questo lavoro ed e’ ciò che questo lavoro ti restituisce. L’Italia tornerà a spendere e dovremo dare vitalità alle nostre materie prime, ai nostri artigiani con il valore del loro lavoro, filosofia da noi già adottata nel nostro piccolo. La spinta sarà tutta per riaccendere il motore del nostro Paese.

Per muovermi con ottimismo in uno scenario spettrale, direi che potremmo prendere questa occasione per ottimizzare le nostre possibilità, per imparare a tirar fuori il meglio di noi. Il Governo dovrà fare la sua, sostenendo le Nostre attività per non vanificare le famose energie che sostengono il famoso entusiasmo. Di tempo ne servirà, ma noi, pazientemente, ci ricostruiremo.

Luca Mastracci Pupillo, imprenditore e Pizza Chef – Pupillo Pura Pizza, Frosinone e Priverno (LT)

Io non sono made in Italy, di più, sono made in Ciociaria, made in Agropontino, e appena  saremo pronti per tornare alla normalità, si procederà su questa strada. Credo che sia proprio in momenti come questi che si evidenzia quanta forza ci sia nel nostro Paese, quanto sia importante il nostro Made in Italy e quanto valgano i nostri artigiani. 

Andare a comprare un prosciutto o un formaggio estero per me non ha mai avuto molto senso perchè abbiamo prodotti straordinari sotto il naso ma, in questo momento, ne ha ancora meno.  Quando tutto tornerà alla normalità, tutti dovremmo necessariamente tornare a lavorare con il nostro territorio, rifornirsi dagli artigiani locali che si stanno trovando in grande difficoltà  per ripartire e riattivare in modo sano l’economia italiana.

In questo periodo di “crisi” io sto riscoprendo la falia, un pane antico di Priverno, il nome deriva dal nome della signora che lo produceva e sfornava, la Signora “Lia””. La notizia della bontà del suo pane-pizza si sparse presto e, a chi chiedeva “chi lo fa questo pane”, la risposta era “lo-Fa-Lia”; da lì “FaLia”.

In questo momento ho attivato una doppia produzione, in pizzeria e per le persone che non possono permettersi molto alle quali lo distribuisco gratuitamente. Ecco, la riscoperta della tradizione e la solidarietà concreta sono le vere vocazioni di questo momento.

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Dal Revenge Spending – ovvero la “spesa della vendetta”- alle previsioni su come la Ristorazione d’Italia si rimetterà in piedi facendo leva sugli innumerevoli punti di forza di un Paese unico al mondo, ripensando la propria offerta enogastronomica in modo oculato, sano e lungimirante, ottimizzando le possibilità di una tabula rasa inattesa, sofferta e, proprio per questo, preziosa più che mai. La parola ai protagonisti del Settore. Ogni venerdì.

Lo chiamano Revenge Spending, ovvero la “spesa della vendetta” che sembra seguirà la quarantena da coronavirus e che già in piena corsa in Cina. Così come riporta l’articolo di Bloomberg News di qualche giorno fa, che include i pareri degli analisti, “gli acquirenti cinesi stanno lentamente tornando negli sfarzosi centri commerciali e boutique dove hanno guidato la crescita dell’industria del lusso globale mentre le misure di quarantena del coronavirus si rilassano”. 

Anche il quotidiano China Daily ha recentemente pubblicato un altro articolo per inquadrare quello che sarà l’umore post-quarantena dal titolo Recovery wish list being drawn up, ovvero: “Lista dei desideri post-crisi in fase di elaborazione”, sul podio proprio andare al ristorante, viaggiare, festeggiare e fare shopping.

Dopo la Cina anche in Italia, dopo una prima fase di ansietà e spaesamento, si passerà all’azione che terrà necessariamente conto di abitudini, esigenze e possibilità economiche decisamente modificate dalle circostanze attuali. E come cambieranno i consumi, la percezione del benessere, i comportamenti e le tendenze dei cittadini in tempo di post-pandemia? Come si andrà a riconfigurare l’enogastronomia italiana e il turismo? Come reagirà il mondo gourmet? Quanto inciderà sulla ristorazione classica il passaggio dall’offline all’online, i servizi di food delivery e la consegna cibo a domicilio? Come, in sintesi, si rimetterà in piedi la nostra bella Mamma Italia della Ristorazione, e come deciderà di ottimizzare le tante possibilità di una crisi che, letta al contrario, potrebbe essere un’occasione più unica che rara per cambiare il mondo in meglio e recuperare i valori tradizionali? Cosa dicono, cosa ne pensano i nostri Chef, Pizzaioli, Ristoratori, Imprenditori, Produttori, Albergatori, Psicologi e Giornalisti? Ogni settimana rispondono 7 Protagonisti e Intellettuali del Settore sul tema “Ristorazione e Futuro”.

Riccardo Di Giacinto – Chef Patron, All’Oro – Roma – 1 Stella Michelin

Questa che ci si presenta è una chance per ripartire con eccellenza e qualità, questa è l’unica chiave di lettura possibile.

Noi siamo l’Italia, abbiamo il Paese più bello del mondo, abbiamo delle frecce importantissime al nostro arco e dobbiamo ricominciare a piccoli passi, riconquistare una clientela ripartendo da Roma e dai romani, pian piano allargando il cerchio alla regione, poi all’Italia; da ottobre i primi a tornare saranno i cinesi, poi il turismo ricomincerà ad essere dinamico e mondiale.

Il problema non è oggi, né a 60 giorni, lo Stato è intervenuto in maniera rapida con ciò che poteva permettersi, ma la strada è lunga. La vera ripresa la vedo dal 2021, ma non so se potrà essere paragonata al “Boom Economico” del Dopoguerra, le persone sono diverse, la vera Guerra e la vera povertà noi non l’abbiamo vissuta come i nostri nonni; ci manca lo spirito di vero sacrificio che ha permesso, in quegli anni, la rinascita di un Paese. Ma il popolo italiano è forte e pieno di risorse. Vedremo.

Francesco Apreda –  Chef, Idylio – Roma – 1 Stella Michelin

Abbiamo fiducia e coraggio di ripartire, sappiamo che tutto cambierà e dobbiamo sicuramente ridimensionarci e riposizionarci su un’offerta diversa con nuove idee. Consapevoli di avere la forza giusta dobbiamo ripartire con la giusta energia ma ottimizzarla lentamente per capire come reagirà il mercato. 

Sicuramente siamo consapevoli di essere un motore giusto per la ripartenza, la ristorazione sarà il punto di unione per unirci intorno ad un tavola, quindi sicuramente ripartire con prezzi più accessibili, tante materie italiane per aiutare il Paese e avere un processo di marketing ad hoc per parlare della nostra bellezza, della storia di un Paese che ha pochi rivali ed è pronto a farsi nuovamente conoscere al mondo per quello che vale: è ancora tantissimo quello che possiamo fare. 

Questo periodo di lunga riflessione ci aiuterà ad avere il giusto slancio per ripartire più uniti di prima, consapevoli di avere al nostro fianco l’appoggio del nostro team che ci aiuterà con stimoli ancora più incisivi. Forza Ragazzi non vedo l’ora di rivedervi in cucina!

Francesco Martucci, Pizza Chef e Patron – I Masanielli, Caserta 

Per ripartire tutti, le prime azioni riguardano le decisioni dello Stato, che dovrà permettere alla gente di avere tempo e modo di rialzarsi (visto che il decreto cura Italia è inutile) ed abolire tutte le tasse almeno per i primi tre mesi.

Il Paese uscirà a pezzi da questa situazione, non riusciremo a contare le aziende che avranno dovuto chiudere, purtroppo. Rimarrà solo chi ha spalle larghe abbastanza (e ce ne sono pochissimi nella ristorazione). Rimarrà chi è stato virtuoso sacrificando per il lavoro i risparmi di una vita (se mai basteranno). Io la sto vivendo come una sorta di selezione naturale, cinica e spietata.

Valerio Salvi, Ristoratore e Sommelier – Taverna Cestia, Roma

La Taverna Cestia è aperta dal 1967. Io sono la terza generazione al timone ma nessuna delle precedenti ha dovuto fare i conti con una situazione così. 

Parlo da ristoratore, da commerciante: quando torneremo al lavoro, dovremo confrontarci con una clientela nuova, diversa e sostenere una domanda che non avrà più la capacità economica di spendere come prima. 

Noi dovremo saper offrire lo stesso un’offerta enogastronomica valida e di contenuto, con intelligenza, attenzione al food cost, sostenendo le spese e facendo quadrare i conti.  Il mio auspicio, il mio desiderio, la mia promessa sarà quella, Stato permettendo, di dare il massimo facendo spendere il minimo; fare insomma la mia parte perchè si riattivi l’ingranaggio ristorativo e sociale.

Antonio Gentile, Chef – 47 Circus Roof Garden, Roma

La ripresa sarà dura e lenta per tutti i settori. Noi, che lavoriamo con il soprattutto con il turismo, avremo maggiori difficoltà. Credo che il centro di Roma soffrirà di più rispetto alla periferia, gireranno pochissimi stranieri e sarà complicato tenere in vita tante piccole realtà del centro storico.

Dovremo essere bravi adesso a ricordare agli italiani quanto sia bella l’Italia! È vero la tabula rasa può non essere negativa, ma nel ripartire poi bisogna essere forti e decisi, ci sarà poco spazio per i preziosismi e si punterà tutto sulla sostanza.

Proprio per questo, credo che bisognerà puntare a tutti i costi sul made in Italy, soprattutto in cucina. Dare spazio ai piccoli produttori, allevatori e soprattutto noi Chef dobbiamo cercare di creare piatti con un food cost più bassi, dando così la possibilità a tutti di muoversi con maggiore tranquillità. 

Perché, sicuramente, usciti da questa crisi sanitaria dovremo affrontare quella economica ma, nonostante tutto, penso che le persone avranno voglia di concedersi qualche piccolo sfizio e, una volta usciti dal periodo di reclusione, magari perché no, venire a cenare su una delle terrazze più belle di Roma.

Caterina De Angelis, Albergatrice – Hotel Diana Roof Garden, Roma

Per ripartire punteremo principalmente sui nostri pilastri:

1 – location: terrazza/giardino pensile con piante e fiori, che sono curati anche in questo periodo di quarantena, che sono per noi la giusta cornice per una location di effetto, calda ed accogliente in particolare all’aperto;

2 – accoglienza e servizio al cliente, insistendo in particolare sul giusto equilibrio tra professionalità e cordialità; 

3 – ricerca della qualità dei cibi. Selezione ed esplorazione di prodotti anche di nicchia. Con la ripartenza è nostra intenzione procedere selezionando prodotti locali di qualità per valorizzare particolari aziende del territorio della nostra regione nella condivisione e nel sostegno reciproco;

4 – scelta di vini in  abbinamento ai piatti proposti  selezionati sul tutto il territorio nazionale, anche qui con particolare attenzione verso le piccole aziende di valore e da valorizzare.

Angelo Troiani, Chef Patron – Il Convivio Troiani, Roma, 1 Stella Michelin

Qui è il mondo che si deve curare, che deve guarire. Credo che la questione sarà lunga, soprattutto per il nostro settore che vive di turismo e clientela internazionale. Tutto questo avrà un costo molto alto in termini aziendali, molti non riapriranno, molti dovranno inventarsi nuove formule. 

Noi rimaniamo positivi e stiamo continuando a lavorare con un servizio di “delivery non esclusivo”: la qualità del Convivio e un’offerta di ricette tradizionali più semplice, a prezzi medi che potranno apprezzare tutti. Alcuni di questi piatti credo inoltre che rimarranno nella futura proposta de “Il Convivio” così come il Delivery, che adesso è un’esigenza, ma nelle grandi città affianca di norma l’offerta ristorativa. E la clientela, romana dapprima, poi sempre più ampia, appena potrà tornare, ci troverà pronti ad accoglierli. 

Questo momento di fermo per molti è anche un momento di riflessione. Il mondo vive di equilibri. Nessuna cosa è casuale e molto dipende da noi. E mangiare bene fa bene a noi e fa bene al mondo, potenzia le difese immunitarie, salvaguarda la natura, protegge l’ecosistema. Credo che il futuro sarà fatto di una cucina più vera, di una cucina di prodotto e cucinata bene.

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Come sta reagendo l’Italia della ristorazione? Quali sono le riflessioni, le polemiche, le speranze, le paure degli imprenditori del settore? Cosa cambierà, cosa lascerà dietro sé questa profonda crisi e come ripartiremo?

Abbiamo raccolto le opinioni di giornalisti del settore, ristoratori, chef e patron, abbracciando le preoccupazioni, gli sfoghi, gli avvilimenti, gli stati d’animo noir; rispettando la posizione di chi ha preferito non sbilanciarsi in un momento così delicato, ma comunque cercando di definire un quadro incredibile quanto reale che delinea i contorni di una crisi che coinvolge l’Italia intera e che, forti di una ritrovata identità nazionale, l’Italia intera dovrà affrontare per guardare nuovamente con fiducia il domani. Questa volta insieme.

Tanti punti di vista, ci chi la ristorazione la vive, la ama, la costruisce; tante le considerazioni sociali, economiche, umane. Come e da cosa ripartiremo? E quali sono i concetti che dovremmo tenere a mente perché i sacrifici di questo lungo tempo non siano stati vani?

Licia Granello, Giornalista e Scrittrice – La Repubblica, Vanity Fair

“Niente sarà più come prima”, dicono. Ristorazione compresa. Come una iattura. Facciamo che niente sarà più come prima, ma in meglio? Più attenzione a come coltiviamo e alleviamo, più rispetto nei rapporti (quanto si detestano sala e cucina?), più sensatezza nel pensare e praticare il cibo, non come un giocattolino – Dio stramaledica il foodporn – ma come parte essenziale e sacra delle nostre vite.”

Peppe Guida, Chef Patron – Osteria Nonna Rosa, Vico Equense (NA) – 1 Stella Michelin

“Aldilà di ciò che si dice che il virus potrebbe essere stato prodotto in laboratorio – e tutto può essere vista l’idiozia dell’uomo –  questo è un piccolissimo assaggio che la natura ci sta dando per farci capire che siamo al punto di non ritorno o quasi.

Si fa una corsa spasmodica ad armamenti e varie, e non si pensa seriamente alla ricerca scientifica, si investe sul “calcio”, per esempio, e non alla salvaguardia del pianeta e dei suoi abitanti umani e animali.

Si dovrebbero creare dei movimenti in continuazione, il mondo dovrebbe essere la nostra Missione prioritaria. Detto questo la crisi secondo me avrà effetti devastanti sul mondo del food nulla sarà come prima. Ci vorrà tempo molto tempo prima che si metta in assetto tutto e questo spero che lo capiscano gli italiani di spendere e rimanere in Italia insomma lasciare i soldi qua. Tanto abbiamo visto dall’Europa e dagli Stati Uniti che considerazione hanno di noi. Io da oggi farò di tutto anche per non usare termini di altre lingue, tipo  “Crumble” sarà “Croccante”, e basta.

Siamo italiani orgogliosi e fieri  di esserlo, tutto il mondo ci invidia, per questo dobbiamo “pretendere” di aver il nostro “Made in Italia”.”

Marco D’Amore, Ristoratore – Ristorante D’Amore, Capri (NA)

“La situazione è complessa sia a Capri che in tutta Italia, fino in Europa e nel resto del mondo. In questi giorni stiamo imparando come il tempo diventi sempre più veloce: quello che pensavamo il 23 febbraio 2020 è, ormai, preistoria. L’ottimismo dell’epoca, infatti, nonostante fosse supportato dall’analisi matematica (bassi tassi di cancellazione degli hotel nel medio-lungo periodo) ci faceva supporre che ci sarebbe stato un solo “momento difficile”; ma oggi sappiamo che non è così: siamo di fronte ad una situazione unica, eccezionale, mai affrontata prima, soprattutto nel nostro settore, quello del turismo e della ristorazione moderna.

Tutti, me compreso, siamo sempre alla ricerca di una “comfort zone” nella quale collocarci e fare delle previsioni, ma ora, purtroppo, con uno shock economico e sociale così importante, e prolungato, non sarà più così: bisogna cambiare il modo di pensare. Nessuna ricetta, infatti, vecchia o prefabbricata, può essere applicabile. Non abbiamo paragoni con il passato e la storia,  in questo caso, non ci può aiutare.

Si sente, quindi, parlare di: Piani Marshall;  sarà meglio la FIS (Fondo Integrazione Salariale) o la CIGD (Cassa Integrazione Guadagni in deroga)? Diamo 500 o 600 euro ai disoccupati del turismo? (ma poi a quali lavoratori? Solo turismo o anche pubblichi esercizi e commercio?); e così via. Sicuramente servono azioni a breve termine per mettere in sicurezza il reddito delle fasce più deboli, non affievolire la liquidità delle aziende e stimolare la domanda, ma ci sarà bisogno di un nuovo modo di pensare, non convenzionale, circa gli interventi strategici da attuare. Bisognerà ripartire tutti insieme per capire come reperire al meglio le giuste (ribadisco giuste e non infinite) risorse finanziarie necessarie: Governi locali, Stato, Europa, Banche, investitori ma soprattutto i cittadini privati che siano imprenditori, lavoratori, consumatori, tutti dovranno lavorare per creare questo “contro shock economico”. Ripeto, noi cittadini per primi.

Per favore, niente finanziamenti a pioggia stile IRI; niente MES, niente Piani Marshall  “aglio e olio” o peggio “aumm aumm”, (tanto per restare in ambito gastronomico). Piuttosto ragionare in modo post Covid 19: la competenza deve tornare centrale, la passione, la dedizione, l’innovazione devono essere messe in risalto perchè questi saranno gli ingredienti alla base di una rinascita, insieme ad interventi economici “shock” da attuare per il prossimo futuro per rilanciare la domanda in quanto è sarà l’obiettivo principale che dovremo proporci. Ultima cosa: competenza, passione, dedizione ed innovazione sono veri e propri pilastri che a noi Italiani non mancano di sicuro! Ci riprenderemo.”

Mauro Mattucci, imprenditore – Ape 50- Tivoli (RM)

“La situazione del nostro ristorante è nel bel mezzo di una grande evoluzione con l’ ampliamento significativo della cucina, il completo stravolgimento del grande bancone, cuore pulsante del locale e pronto ad essere trasformato in parte zona show cooking e panini a vista e in parte cocktail bar di tendenza.

Abbiamo uno staff di 10 persone e dobbiamo necessariamente pensare positivo. D’altra parte siamo abituati al cambiamento; lo abbiamo fatto subito con la nostra apertura 8 anni fa puntando alla qualità estrema e ai fatti veri più che pubblicitari.

Ricordo con orgoglio il commento, dopo alcuni anni della nostra apertura, di un concittadino importante e dai bianchi capelli; lui che aveva avuto per tanti anni a Tivoli una importante concessionaria Alfa Romeo di quando il marchio incuteva rispetto e ammirazione pura mi disse “ voi non avete cambiato una via ma, avete cambiato un paese” . Intendeva dire che con il nostro approccio ad una ristorazione diversa avevamo radicalmente cambiato le regole.

Ecco noi di Ape 50 saremo pronti, se servirà, a ricambiare le regole. In Cina in questo momento , come cita un articolo del “ Il Sole 24 Ore” è già l ora del “revenge spending”,  letteralmente, spendere per vendicarsi. Negozi, ristoranti, catene riaprono, con le giuste precauzioni, e fuori si formano già le prime code.

Qualche giorno fa un articolo del quotidiano “China Daily” si descriveva il senso dell’ umore post-quarantena: si (ri)cominciano a scrivere le liste delle cose da fare per riprendersi. Ai primi posti ci sono: andare al ristorante, viaggiare , festeggiare e fare shopping. Ape 50 è positiva: forza e coraggio.”

Angelo di Masso, Pastry Chef – Patron – Pan dell’Orso, Scanno (AQ)

“In questi giorni di chiusura forzata per una giusta causa comune, ho rispolverato le mie passioni che passano da un disegno ad un pentagramma, sempre in bianco e nero. Così com’è la vita. Bianca e candida come il suono di un nuovo giorno. Nera come uno sguardo cupo che non conosce la luce. Ma, per affrontare qualunque ostacolo dobbiamo avere questi due colori. Perché essi sono la lancetta del metronomo che scandisce il tempo, il suono e ci fanno percepire quanto sia importante il contatto umano.

Ecco, questo è quello che mi manca. Ho sempre amato stringere la mano ad ogni nuova o vecchia conoscenza, perché attraverso un gesto noi doniamo noi stessi ed allo stesso tempo arricchiamo l’animo dell’altro. Penso sempre a chi è meno fortunato, a chi vive questa quarantena come una prigionia. Certo che ce la faremo, e torneremo più forti di prima. Ma solo se tutto ciò che sta accadendo ci avrà insegnato che l’umanità è un dono che dobbiamo preservarlo con cura e amore.

Sul fronte imprenditoriale credo ci sarà un grande entusiasmo, una rinascita, una grande voglia di Italia, di grade unione, di grande forza e coinvolgerà tutto, la ristorazione, la pasticceria, il turismo italiano, tutto.”

Nausica Ronca, Chef Patron – Osteria Nonna Nannina, Cava dè Tirreni  (SA)

“La ristorazione è stata colpita duramente, come il resto dell’Italia. Noi soffriamo di più perchè patiamo una nazione mal amministrata.

E’ vero, il nostro settore è totalmente fermo, ma credo che questa imprevedibile situazione non abbia solo generato difficoltà, credo anzi, a volerne dare una lettura più ampia, che abbia fatto del bene a chi già non navigava acque facili, perchè agli stipendi ci penserà la cassa integrazione e/o potrà usufruire di qualche agevolazione, anche bancaria, che sarà messa in atto per favorire la ripresa.

Chi invece cavalcava l’onda e andava bene, si è riposato un pò, perchè non penso che un mese di fermo possa inficiare una buona gestione economica, organizzata con lungimiranza per poter far fronte agli imprevisti.

In ogni caso si può ripartire e si può ripartire in modo intelligente, cercando di far fronte a quelle che sono le esigenze di una popolazione provata, senza aumentare i prezzi. Anche perchè questo periodo ha fatto riscoprire alle persone i valori, lo stare in famiglia e desidera cose semplici come una pizza marinara, una margherita, un fritto di paranza che fanno bene anche al food cost.

Credo inoltre che bisogna ripartire da zero ma in modo oculato, cercando di fare chiarezza e fare delle riflessioni su ciò che andava o non andava bene nei nostri locali. Adesso che stiamo a casa, abbiamo tutto il tempo per trovare delle soluzioni migliorative. Quindi se tutti facessero questa riflessione potremmo avere una ristorazione innovativa e sana. “

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