Sara De Bellis

Roy Salomon Caceres, storia di un sogno sudamericano

Tre anni  fa guardavo la mia cucina in un’ottica solo italiana; ma continuavo a sentire che le mancasse qualcosa: erano le mie origini. Perché la mia cucina deve parlare di Me, di Roy Caceres, ed io mi definisco un albero che è cresciuto in Italia con radici sudamericane.

Roy Salomon Caceres nasce a Bogotà, in un giorno d’aprile di calda primavera, ed è l’umana dimostrazione che la perseveranza emulsionata alla determinazione a credere nel proprio talento, possa davvero portare alla realizzazione anche dei sogni più arditi.

Roy Caceres oggi è Chef e Patron del Ristorante Metamorfosi*, un distensivo spazio romano giocato sulle tonalità calde della terra, dove linee geometriche e materie di design contemporaneo disegnano i contorni netti della Sua incredibile storia che potrebbe definirsi, parafrasando un felice clichè, un Sogno SudAmericano. “Io non ho avuto maestri. Sono nato come lavapiatti. Dovevo pagare casa, aiutare la mia famiglia. E questo è stato un bene e un male. Un male perché, senza indicazioni, ho dovuto faticare il doppio. Un bene perchè da solo ho potuto costruire liberamente la mia strada”. 

Occhi neri, sguardo intenso, postura composta, idee chiare, tono vivace e rilassato al contempo in una perfetta proprietà di linguaggio colorata da note latine. Mentre racconta tratti della sua articolata vita, le riflessioni si mescolano veloci ai ricordi d’infanzia, alla famiglia, ai cibi, ai nonni, ai pranzi della domenica; pennellate cariche d’emozione che definiscono filosofie d’azione arricchite poi da colte citazioni: un blend di pensieri articolati come la chioma di un albero, che rivelano la sua incessante curiosità, la sua energia vitalistica, il suo coraggio nella lucida determinazione, la sua grinta pacata e risoluta.


Gli chiedo di darmi tre definizioni alla sua cucina, mi risponde così: “la mia cucina, o almeno quella che vorrei che fosse, è emozionale, di gusto e di testa. Perché c’è sempre la testa dietro, c’è sempre un pensiero. I miei piatti nascono da un’idea, da qualcosa che mi ha emozionato e che vorrei trasmettere ai nostri ospiti, cercando di emozionare anche loro”.

Come hai conquistato Roma?Tra i piatti più celebri del Metamorfosi, che apre nel Novembre del 2010, c’è “l’uovo carbonara”, un piatto che voleva conquistare il romano e dimostrare come una cucina contemporanea come la nostra potesse prendere per la gola, ricreando la cremosità della carbonara, tutto il suo gusto concentrato, anche se la carbonara non c’era. E’ un piatto che piace ed è piaciuto molto, che oggi rivela una grande differenza tra quello che era e quello che è: due stili di cucina”.

Fichi, mandorle, limone

Raccontami un piatto che hai elaborato partendo dalle tue origini. “Adesso ho raggiunto la maturità per giocare con disinvoltura con le mie origini. Prima avevo più paura, e solo chi ha paura di sbagliare ci pensa tanto. Ora ho più sicurezza su quello che voglio proporre. Per esempio il nostro Ceviche di capasanta con amarillo e spuma di Lulo fresco, che è un frutto fresco che faccio importare dalla Colombia. Ha una grande acidità che gioca molto bene con la dolcezza della capasanta”.

Cos’è la tecnica per te? “Io credo che più ne sai e più riesci a lavorare la materia, perché “solo chi capisce le ragioni dei suoi gesti può modificarli”: questa è una frase di Hérve This che mi ha colpito molto. La tecnica è un bagaglio dove puoi attingere per raggiungere la tua idea del piatto. Così è stato per l’Antipasta, nato per ricreare la pasta senza la pasta, riproducendo la consistenza e concentrando il sapore: per farlo abbiamo studiato la tecnica che in Cina si utilizza per le tagliatelle di riso”.

Foto: Matteo Bizzarri

Quando racconti utilizzi sempre il plurale. “Si, è vero. Secondo me da soli non si fa niente. Da soli è difficile creare qualcosa di grande. E’ importante avere un gruppo di persone che crede, che si sentano parte di un progetto”.

Cosa pensi della tendenza al vegetale dell’alta cucina? “La tendenza è chiara e stimolante, anche perché dal vegetale è più difficile estrarre sapori appaganti. Ma io non rinuncerei mai alla proteina”.

Cosa pensi della cucina Italiana e quanto guardi fuori dalla finestra? “Mi piace molto vedere cosa accade fuori dall’Italia perché noi abbiamo talmente tanto che spesso ci addormentiamo sugli allori. Abbiamo le migliori materie prime, ma bisogna andare a vedere cosa fanno gli altri, chi ha meno e per questo ha più voglia di fare come René Redzepi, che ha creato una cucina sofisticata con rape e patate. Bisogna darsi da fare”.

Foie gras, prugne, cassis

Disegnami il profilo dello chef contemporaneo.Lo chef contemporaneo non deve pensare solo al piatto, è soprattutto uno chef-ristoratore, come nel mio caso. Deve far quadrare qualità e conti, con molta attenzione alla parte etica del prodotto. L’esperienza viene aumentata se racconti come quel prodotto ha raggiunto quelle caratteristiche qualitative e come si è deciso di esaltarle. Perché quello che racconti è ciò nel piatto che non si vede, e se non lo racconti è come se non ci fosse. E’ così che si potenzia l’esperienza a tavola. In fine dei conti lo chef contemporaneo è uno chef che deve sapere raccontare una storia, nella SUA storia”.